Il Segreto rivelato


Il segreto si impiglia nelle maglie

si attorciglia in spire fumose

s’insinua nei meandri della pelle

nei vicoli ciechi della mia mente

non trova dimora che sia eterna

non conosce requia

né penitenza

Il segreto giudica il passato

con toga di catrame

impugnando lo scettro

di Thor martello

con un fulgido colpo

rimestando le pene.

Il segreto è bieco

in torbido bitume

si fa sempre più pesante

ansimante e berciante.

Il segreto è pena d’ergastolo

che si appresta all’uscio

basta un attimo e con mano lesta

lui si mostra scintillante

e in chiassoso fragore

il mondo s’impossessa.

Femminile


E come un turbine, un pensiero sale

e femmina di cera liquida spande.

Un volto, un luogo, un’immagine

nel tepore quieto,

nel silenzio ombrato,

un sospiro,

un lembo sceso,

un’intima carezza.

Il sole dietro un velo,

un frullo d’ali,

l’intimo istante,

nel cosmo esultante.

Non mi seguire! L’asino non sta in groppa!


 

 

Non mi seguire, io non so dove vado!

Blatero, blatero e ho mille pensieri, di ogni colore, forma e dimensione, cazzate mie, che mi stanno a cuore.

Mi sporgo da questo balcone  e guardo di sotto, lancio l’occhio, lo getto con baldanza e attendo… la lenza tira, tira più forte e tira ancora, allora io l’acchiappo,  e mentre risale aspetto. Aspetto e attendo. Mi guardo le unghie: belle, curate, ma non smaltate, non è ancora estate e io aspetto… aspetto.. Guardo su, i piccioni che con spinte di reni si sollevano un po’ ansanti, mentre rondini leggiadre li scalzano baldanzose. Come ippopotami stanchi con sirene flessuose .

Quando mi perdo, tra considerazioni inutili quanto un camino all’inferno, mi trovo a rimirare il mio pescato: colori lucidi, nuovi, freschi e guizzanti! La tentazione di metter mano è forte e non resisto, tocco quei corpi lisci, e ammiro il riflesso ambrato. Mi suscita emozione, mi sento immobile, poi improvvisamente, piango.

Piango le storie che scorrono sulle mie dita, sento l’armatura incombere e impettita mi ergo paladina!

La solita stolta creatura di sempre: non valgo davvero una cicca in terra, ma palpito in cuore, nel petto fremo e agogno sempre un giusto Terreno.

Sarà il volere del Signore, sarà sempre, ma io non posso aspettare in fermo: devo pensare, dire, scrivere qualcosa, qualunque cosa mi renda palpabile.
Non si insegna niente a ‘sto mondo e l’asino non sa stare in groppa. Allora, perdonate il mio favellare lesto, non sono il dotto, non sono il maestro.

Prendete le parole come più vi piace, fatene collane, o ciliege sulle orecchie: io non mi offendo, mai, se il fallo non è netto.

Il nevo ha da levare le tende


 

Sono diligente, ma non porto la carrozza e sono incostante, ma consistente.

Mi scuso per il gioco di parole, intendo che per quanto volubile nel continuum dei miei doveri, sono una persona responsabile e perciò ho fatto l’impegnativa per togliere di mezzo la creatura bulbosa dal mio capo: il neo/nevo.

Il mio medico è stato molto gentile, cosa che ho apprezzato dopo aver fatto la fila d’attesa dietro sette persone, arrivando mezz’ora prima dell’orario. Lo so che è una cazzata, che si va venti minuti prima della chiusura dello studio, ma dovevo lavorare, perciò… , ma soprattutto perché non ci mettevo piede dopo un’esperienza che mi ha stritolato il cuore e di cui non parlerò perché non serve, davvero.

Quindi, il mio medico anch’egli afflitto da nevi, ma in realtà sereno perché li toglie come il cappotto in estate, mi ha controllato, confermando la mi a necessità, dato il punto critico in cui il suddetto inquilino è ubicato.

Impegnativa in mano, primo passo; ottenere l’intervento, secondo.

Mi sento già meglio, più attiva rispetto a un evento passivo: i nei ti si installano senza che tu li richieda.

Sono stata proprio brava e mi sento una persona migliore!

Addirittura ?

Mi sono montata la testa, ma non è colpa mia, è colpa del neo, davvero, è molto sicuro di sé, rasenta l’arroganza.

Sono arrivate, sono arrivate!


Sono arrivate! Sono arrivate!                 

Leggiadre e garrule sono arrivate!

Non più il tubare a tutte l’ore

ma strida di giubilo dal fondo del core!

Sorrido e mi svelo bambina ancora

‘ché primavera è giunta per me solo ora

L’odore


l’odore è tatto

l’odore è immagine

è l’abito in pelle

è l’alito caldo

l’odore ci riporta

ci incatena insieme

ci attrae nella folla

colmando in abbraccio

l’odore chiama a casa

l’odore è la tua storia

è l’infanzia sopita

è l’amore mai scordato

l’odore è bianco

è pavimento lucidato

è corsie d’ospedale

è il male e l’ammalato

l’odore è il seno pieno

il capo di neonato

il volto familiare

il paese natale

 

 

 

Panico da neo


 

Sono in fase “panico da ricerca medica su web”. Non si fa, ma va’ ?

Lo so che non si fa! Insomma, mi è presa ‘sta cosa dei nei…

Ho tolto un neo qualche anno fa che mi stava crescendo e mi sono decisa a farlo togliere quando mi sono accorta che non ci dormivo la notte: mi pareva di sentirlo espandersi, mancava solo che parlasse! Ho fatto bene e poi mi sono sentita liberata (come l’eco del seno quando hai un dubbio, per voi maschi non so): il neo o nevo, in effetti era profondo sotto cute, ma benigno.

Ne ho uno in testa, nascosto tra i capelli, che il dermatologo mi aveva consigliato di togliere in un secondo momento. Io avevo chiesto due in uno, ma effettivamente era un po’  troppo e poi c’è il discorso di rasare un lembo di cute… Ora mi è presa la fissazione che questo neo sia da togliere, da controllare. In realtà va fatto comunque, ma anche questo mi pare che voglia parlare. Non lo posso vedere, per cui me lo sono fotografato! Boh, chi ci capisce.. sembra una verruca (bleah!), infatti il medico che avevo prima l’aveva classificato così, invece il dermatologo a suo tempo disse che trattavasi di nevo. Il dermatologo, quello bravo, quello che è primario e fa anche privato, quello che fai una fila di ore con appuntamento prenotato e infila i soldi nel taschino e poi, post intervento, ti fa andare per la medicazione un’altra decina di volte e i soldi sempre nel taschino… quello bravo sì, il genio, gli altri sono scemi!

Ora, l’altra volta ho sborsato più soldi di quelli che avevo e ‘sto giro vorrei evitare. Ho deciso, domani si va dal medico per l’impegnativa, anche se ho del lavoro, incastrerò in qualche modo..

Non si naviga in rete per queste cose, davvero, io sono per il medico di base, ma se lo fate e vi viene il panico, motivo di più per controllare nel giusto ambito.

Ho l’adrenalina un po’ in circolo adesso, mi sento un po’ le viscere strette…

Faccio sempre così, odio andare dal medico, principalmente per la fila, sono scema lo so, non temo il dottore, è il contesto!

Sogno sempre che ci sia un ambulatorio dove vai per appuntamento e trovi l’infermiera sorridente che ti accompagna dal dotto professore/ssa, poi, a visita avvenuta, loro ti prendono appuntamento dallo specialista che ti ospiterà in egual modo.

Sogna sogna! Non c’è niente da fare, avrò sempre paura di trovare uno stronzo cafone! Poi, penserò all’esito.

Vado a farmi un caffè, che è meglio!

Troppa enfasi! Calm down!


 NOOOO!!!

              S ì

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 MA DAII!!!

Giving - Chocolates - Male   Tieni

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  NON MI DIRE!

         ….

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  NON CI CREDO!

Affari tuoi

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  MA VATTENE, VA’!

 Ciao

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  MA VIEEEENI!

    Deciditi

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 AIUTOO!!

    Chi che cosa dove?

     SCARPE SCOORDINATE’!

              Ma vaffà…

 

 

La mia Italia


La mia Italia è il posto da cui la vita è partita. Bello, non è sempre stato bello. Il nord-est ha paesaggi degni di nota, la pioggia a me piace, la malinconia struggente di ascoltarla picchiettare sui vetri, in un freddo pomeriggio cupo, rimane un mio bisogno. Eppure l’Inghilterra mi è stata più congeniale. L’Italia della mia infanzia era dimentica della fame dei nonni, voleva cancellare, bisognava guadagnare, spendere. Si andava alla Standa e si vestiva in felpa e jeans. I ragazzi erano paninari, imitando lo stile di Drive-in, poi si è capito che i nostri anni ’80 imitavano gli americani ’50… C’era Happy Days, Saranno Famosi e noi giocavamo ai telefilm ( povera generazione!). La mia compagnia costante è stata la televisione, mentre le Alpi svettavano dalla finestra, io ne imparavo i nomi a scuola, dalle foto. Non c’è stato alcuno a insegnarmi sul campo. Non c’era tempo, bisognava andare a lavoro e io imparavo a vivere da una scatola ammiccante. C’erano i campi giù dabbasso e noi si scendeva a giocare tra bambini. Avessimo saputo il nome di una pianta di un fiore… ricordo quest’erba dal fusto viola, una bambina la chiamava pianta pane uva, e noi la si rosicchiava come un bastoncino di liquirizia! Poi c’erano i gelsi per arrampicarsi e quelle more bianche, come larve. Con la bici ce ne andavamo a zonzo e non è che fossimo vigilati: si finiva sulla strada principale molto spesso e per culo siamo andati avanti.

La mia Italia quindi parte dalla provincia, da una terra fredda, realmente, di rapporti strani, pensavo di essere adottata, evidentemente non solo in famiglia (negando la somiglianza coi miei), ma anche in terra natia. Ero diversa, lo pensano in tanti, lo ero davvero. Colpa dei miei, un po’ asociali, ma io ero così assetata di sorrisi, di ciarle, di attenzioni! Così la mia Italia nazionale è arrivata dalla  televisione e tutto andava a meraviglia: c’erano luci, lustrini e ragazze, tettone e sorridenti, mentre gli uomini sfoggiavano i Rolex e i capelli impomatati. Era la stessa Italia che si vedeva dall’Albania in fondo.

A scuola ho imparato l’Inno e per mia imposizione l’ho voluto sentire caro, ma è durata poco, perché la terra che ti nutre, getta il suo seme e se oggi la penso in tutt’altro modo (che il Cielo sia ringraziato!), mi rendo conto che ci infarcivano di idee pericolose, non so come, non in casa mia, ma i grandi per darsi un tono parlavano di inno odioso, di un Verdi che sarebbe stato meglio. Io ci credevo, d’altronde se la tappezzeria non si intona, va cambiata!

Povera ignoranza nostra, ma come si fa! Senza storia, senza contenuti, i vecchi avvizziti negli ospizi con la loro memoria privata e i bambini intossicati da un’illusoria fantasia di benessere, tra l’ossigenato biondo e la macchina sportiva.

La mia Italia poi è cambiata negli anni ’90, quando i colori accesi e le chiome gonfie hanno lasciato il passo al rigore di abiti scuri e pessimismo diffuso.

In qualche modo l’AIDS, il buco dell’ozono, le guerre civili in Africa, la fame terrificante e le mattanze, hanno smosso qualche scrupolo, aggiungendo il disastro di Chernobyl, la caduta del muro di Berlino e dell’URSS.

Ho visto la gente cambiare espressione in corsa. La mia Italia è diventata un po’ isterica: l’allegria del piccolo schermo sempre più forzata, mentre le sue pietre miliari venivano calpestate e giovani ninfette date in pasto alle fantasie degli abbonati.

L’Italia a quel punto l’ho vissuta in diretta, nella vita quotidiana, mentre in tv esploravo il mondo musicale, cercando altre risposte.

La mia Italia in quegli anni era delusa, triste e corrotta, mentre la mia terra era un cappio stretto al collo, la mia famiglia una bugia collassata e io scrivevo su ogni foglio che mi si parava davanti.

La mia Italia era un mondo nascosto dalla tapparella abbassata, mentre scrivevo al buio e mi chiudevo in me stessa.

Ho scordato la mia Patria per un po’ di tempo, perché non era casa mia,trovando rifugio emotivo in una monarchia.

Sono tornata poi, e con occhi diversi l’ho amata di più. L’Italia vista da un’altra angolazione mi è piaciuta di più.

Questo è un Paese che nasce dal mondo, divenuto nei secoli teatro di battaglie importanti, guerre devastanti, mentre il popolo sovrano si adattava al suo padrone, maledicendolo da lontano e chinando il capo, in attesa della sua caduta e del nuovo arrivato.

Siamo noi l’Italia e non è un’opinione, né una frase fatta: noi siamo ancora quel popolo adattato, che vive passioni intense, col conflitto della colpa, perché la colpa noi lo sappiamo, c’è sempre, molto prima del peccato! e digrignando i denti aspettiamo che qualcuno ci liberi dal ladro, che ci metta la faccia e poi vedremo se ci piace.