La mia Italia è il posto da cui la vita è partita. Bello, non è sempre stato bello. Il nord-est ha paesaggi degni di nota, la pioggia a me piace, la malinconia struggente di ascoltarla picchiettare sui vetri, in un freddo pomeriggio cupo, rimane un mio bisogno. Eppure l’Inghilterra mi è stata più congeniale. L’Italia della mia infanzia era dimentica della fame dei nonni, voleva cancellare, bisognava guadagnare, spendere. Si andava alla Standa e si vestiva in felpa e jeans. I ragazzi erano paninari, imitando lo stile di Drive-in, poi si è capito che i nostri anni ’80 imitavano gli americani ’50… C’era Happy Days, Saranno Famosi e noi giocavamo ai telefilm ( povera generazione!). La mia compagnia costante è stata la televisione, mentre le Alpi svettavano dalla finestra, io ne imparavo i nomi a scuola, dalle foto. Non c’è stato alcuno a insegnarmi sul campo. Non c’era tempo, bisognava andare a lavoro e io imparavo a vivere da una scatola ammiccante. C’erano i campi giù dabbasso e noi si scendeva a giocare tra bambini. Avessimo saputo il nome di una pianta di un fiore… ricordo quest’erba dal fusto viola, una bambina la chiamava pianta pane uva, e noi la si rosicchiava come un bastoncino di liquirizia! Poi c’erano i gelsi per arrampicarsi e quelle more bianche, come larve. Con la bici ce ne andavamo a zonzo e non è che fossimo vigilati: si finiva sulla strada principale molto spesso e per culo siamo andati avanti.
La mia Italia quindi parte dalla provincia, da una terra fredda, realmente, di rapporti strani, pensavo di essere adottata, evidentemente non solo in famiglia (negando la somiglianza coi miei), ma anche in terra natia. Ero diversa, lo pensano in tanti, lo ero davvero. Colpa dei miei, un po’ asociali, ma io ero così assetata di sorrisi, di ciarle, di attenzioni! Così la mia Italia nazionale è arrivata dalla televisione e tutto andava a meraviglia: c’erano luci, lustrini e ragazze, tettone e sorridenti, mentre gli uomini sfoggiavano i Rolex e i capelli impomatati. Era la stessa Italia che si vedeva dall’Albania in fondo.
A scuola ho imparato l’Inno e per mia imposizione l’ho voluto sentire caro, ma è durata poco, perché la terra che ti nutre, getta il suo seme e se oggi la penso in tutt’altro modo (che il Cielo sia ringraziato!), mi rendo conto che ci infarcivano di idee pericolose, non so come, non in casa mia, ma i grandi per darsi un tono parlavano di inno odioso, di un Verdi che sarebbe stato meglio. Io ci credevo, d’altronde se la tappezzeria non si intona, va cambiata!
Povera ignoranza nostra, ma come si fa! Senza storia, senza contenuti, i vecchi avvizziti negli ospizi con la loro memoria privata e i bambini intossicati da un’illusoria fantasia di benessere, tra l’ossigenato biondo e la macchina sportiva.
La mia Italia poi è cambiata negli anni ’90, quando i colori accesi e le chiome gonfie hanno lasciato il passo al rigore di abiti scuri e pessimismo diffuso.
In qualche modo l’AIDS, il buco dell’ozono, le guerre civili in Africa, la fame terrificante e le mattanze, hanno smosso qualche scrupolo, aggiungendo il disastro di Chernobyl, la caduta del muro di Berlino e dell’URSS.…
Ho visto la gente cambiare espressione in corsa. La mia Italia è diventata un po’ isterica: l’allegria del piccolo schermo sempre più forzata, mentre le sue pietre miliari venivano calpestate e giovani ninfette date in pasto alle fantasie degli abbonati.
L’Italia a quel punto l’ho vissuta in diretta, nella vita quotidiana, mentre in tv esploravo il mondo musicale, cercando altre risposte.
La mia Italia in quegli anni era delusa, triste e corrotta, mentre la mia terra era un cappio stretto al collo, la mia famiglia una bugia collassata e io scrivevo su ogni foglio che mi si parava davanti.
La mia Italia era un mondo nascosto dalla tapparella abbassata, mentre scrivevo al buio e mi chiudevo in me stessa.
Ho scordato la mia Patria per un po’ di tempo, perché non era casa mia,trovando rifugio emotivo in una monarchia.
Sono tornata poi, e con occhi diversi l’ho amata di più. L’Italia vista da un’altra angolazione mi è piaciuta di più.
Questo è un Paese che nasce dal mondo, divenuto nei secoli teatro di battaglie importanti, guerre devastanti, mentre il popolo sovrano si adattava al suo padrone, maledicendolo da lontano e chinando il capo, in attesa della sua caduta e del nuovo arrivato.
Siamo noi l’Italia e non è un’opinione, né una frase fatta: noi siamo ancora quel popolo adattato, che vive passioni intense, col conflitto della colpa, perché la colpa noi lo sappiamo, c’è sempre, molto prima del peccato! e digrignando i denti aspettiamo che qualcuno ci liberi dal ladro, che ci metta la faccia e poi vedremo se ci piace.
Forse mi sbaglio ma leggo tristezza, forse amarezza nelle tue parole. Leggo un’Italia che ho vissuto con i tuoi occhi razionali e rivedo i cambiamenti che hai descritto: gli anni 80, i vestiti coloratissimi, il crollo del muro e un’opacità nascosta dalla finta allegria della tv. E stiamo lì ad arrabbiarci aspettando qualcuno che venga a salvarci
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Mi hai capito benissimo Samanta. L’amarezza di essere abbastanza sagaci da capire ciò che non va, ma non abbiamo la voglia di cambiare, perché non si sa cosa verrà dopo e poi ci sono troppe cose da fare… chi ha il tempo (la voglia)? Se qualcuno poi si prende la briga di fare lo sforzo per tutti, noi mica lo fermiamo, magari, se ci piace, gli stringiamo anche la mano e lo facciamo eroe nazionale. Non è per cinismo, ma per autoanalisi e consapevolezza del nostro passato.
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Ma in un passato non molto lontano, un passato che abbiamo festeggiato solo l’anno scorso (quindi se abbiamo la voglia di festeggiare dobbiamo anche ricordare) c’erano italiani con la voglia di cambirare e di lottare. Ma la tristezza arriva con questa domanda: forse c’erano questi italiani pronti a combattere perchè ancora non vi era un’Italia?
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Bella domanda, c’era tutto da conquistare di certo. Non solo questo (il cimitero di Praga mi ha piegato la schiena e gli angoli della bocca, ma è un bel ripasso..), c’erano giovani della borghesia infiammati dapprima a livello intellettuale e poi sono partiti all’attacco. Per fortuna. Gli italiani, il popolo, la massa grande, mi sembra abbia avuto più o meno un certo atteggiamento nella storia, di accettazione con rabbia, ma al momento dell’avvento dell’eroe si è ben adoperata, salvo poi riadattarsi al despota dopo. Poi,ancora nuovi eroi coraggiosi… e siamo tutti stati parte di quelle conquiste. In realtà la maggior parte di noi ha continuato nello scorrere del tempo a fare i propri interessi, pronta al prossimo girone.
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Uno “sfogo” davvero col cuore. Bisogna sentirsi fieri di esseri nati in questo
Paese, non tanto di certi italiani, che accorrono sempre in soccorso del vincitore
(Citazione di Flaiano un po’ modificata da me)
Abbraccio
Mistral
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Grazie Mistral, è rischioso esprimere la propria opinione, ma bisogna pur averne e ogni tanto impugnarla. Siamo in sintonia,
ricambio l’abbraccio
Felina
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