Valor di popolo


Mentre il popolo trepidante attendeva,

una voce solenne si erse:

“Italiani, dagli avi inventori, di eroici posteriori,

è giunta l’ora di mostrar lo valore:

gambe aperte, pugno di ferro e terga poderose! ”

Il pubblico lì per lì  non comprendeva,

ma giudicando l’uomo dall’abito griffato,

si profuse in scrosciante applauso

dimostrando una volta ancora

che il giogo col bue funziona.

Il mondo che verrà e la nostra indifferenza


Il nocciolo della questione è la necessità. Ho bisogno di. Molto soddisfacente quando qualche rarissima volta si è la necessità di qualcuno, no, neanche, troppo; piuttosto quando si realizza il bisogno di altra persona da sé.

Tutto ruota intorno a questo, qualcuno la chiama la ricerca della felicità. Oggi, come ieri, ma che nei propri tempi assume una valenza diversa. La condizione umana riveste nel tempo e nello spazio via via differenti connotazioni, ma non posso addentrarmi così in profondità e così ampiamente. Penso alla condizione femminile che è drasticamente modificata e ci consente forse per la prima volta, non tanto di fare ciò che desideriamo, ma di desiderare.

Pare poco, ma scommetto che sia un gran traguardo. Non stiamo tornando indietro, non lo si fa mai, a volte si ricalca un’orma già impressa, ma mai si può rivivere ciò che è stato.

Quando ci si affaccia fuori casa per la prima volta, si è travolti dalle possibilità, precisamente ciò che è accaduto a noi donne. Con foga, temendo di perdere la tanto agognata libertà, ci siamo gettate nella mischia, a gomitate e spintoni: era l’unico modo, signori. Ora, soffermandoci e tirando il fiato, sappiamo che l’orto non ha dato frutto, ma un piccolo appezzamento ce lo siamo conquistato e speriamo di estenderci, quando il raccolto ci renderà abbastanza. Supponiamo che un domani questi non saranno solo desideri.

Siamo diverse tutte e non è una sconfitta che la donna cambi marcia, volendo recuperare un ruolo antico,famigliare, perché è la possibilità di scelta. Nessuno deve obbligare un essere umano su un percorso che non riconosce suo, ma la civiltà e la cultura millenaria potrebbero suggerirci che un mondo migliore, moderno, sarebbe quello in cui a ognuno sia dato strumento di fare il meglio delle proprie capacità e aspirazioni. Lo so che tutto questo è già scritto, ma andiamo, non è raggiunto.

Ripeto una volta ancora che le mie idee sono personali e in continua evoluzione, ma il mio pensiero è meno idealista di ciò che può sembrare. Gli hippie ormai sono in pensione e gli yuppie in bancarotta, io credo nella storia innanzitutto, senza troppa nostalgia, ma come il gran saggio del villaggio a cui chiedere udienza, perché l’esperienza conta, sempre e può capitare che il vecchio saggio non l’abbia compresa, ma il giovane deve fare lo sforzo.

Se anche un domani tornassimo alla terra, tutti noi arando i i campi, ciancicando una spiga, non sarebbe un passo indietro, ma una scelta di progresso, di conservazione globale, per usare un termine che detesto.

La donna mai tornerà indietro, perché chi ha visto non dimentica, la libertà è un’acqua che purifica imperitura, ma niente toglie che potrà essere diverso il nostro futuro, il loro, perché non ci pensiamo più, ma si vive il presente per chi verrà in futuro; può non piacere, ma la natura è impostata a questo modo. Sospetto che questa sia la prima epoca in cui l’uomo non si cura dei posteri, non ha l’orgoglio di lasciare il mondo migliore (fosse anche sbagliando), noi siamo ego allo stato puro, divoratori insaziabili, vanitosi e insicuri.

Non c’è rapporto con la nascita e con la morte, ne parlavo con un dotto-re un giorno. Il non assistere più direttamente alla nascita e alla morte non è un dato positivo, ma ci destabilizza, allontanandoci dalla natura della nostra esistenza.

Viviamo adesso e moriremo, per lasciare un posto arredato meglio, da noi per il prossimo inquilino, ma temo che ci fischieranno le orecchie anche tre metri sotto terra.

Vi rimando per assonanza da Emerald Forest , per ritrovare nel cinema il tema della natura umana e dell’impossibilità di prescindere da essa. Perfetto Sean Connery!

In cammino verso la città-I racconti di Lara e Ruben.2-


Il cammino era impervio, ogni traccia di verde alle spalle, mentre salivano, un mare di pietre da calpestare e il riverbero del sole a ferire gli occhi. Rivoli di sudore a placare la pelle bollente, per ogni passo un dolore acuto, una vescica nuova che pulsava pressante nei calzari vecchi. Le giacche lise fungevano da copricapo, Ruben davanti a Lara a torso nudo, col dorso bruciato dal caldo impietoso. Lei a passo di marcia, allo stesso ritmo dalla partenza non parlava, fissando lo sguardo in un punto lontano tra cielo e terra.

“Non ho mai desiderato fare lo scalatore, davvero, non so se tu mi stia ascoltando, ma giuro che non fa per me questo sport!” gettò lo sguardo verso la ragazza senza fermare il passo, ma lei continuò in silenzio.

“Sei uno spasso, chi avrebbe detto che una ragazza così femminile potesse farmi tanto ridere!” ma dicendolo Ruben capì di aver fatto un passo falso, sapeva in un angolo del suo cervello di averla ferita, senza spiegarsi come.

Lara ebbe un sussulto, cercò di mascherarlo, ma non fece in tempo, così optò per uno sguardo assassino verso il malcapitato compagno che alzò le spalle in segno di resa.

“Senti, non è che volessi offenderti, credimi, sei davvero bella, ma riconoscerai che ti comporti come un generale in battaglia, sempre, senza un momento di svago… non ti ho mai visto ridere!” sperava di aver placato l’ira di Lara, voleva che capisse,”in fondo sei più piccola di me, come diavolo fai a non scherzare mai, io giuro che non ti capisco, mi fai sentire uno stupido!”.

“Perché lo sei, testa di cazzo. Dimentichi troppo in fretta il mio ruolo, io sono il capo. Non serve che tu sforzi troppo quel cervellino di passero per capirmi. Non ti riguarda la mia età, ancora di meno ti riguarda pensare che io sia una ragazza. Sono il tuo capo, ogni responsabilità è mia, se falliamo è mia la colpa e se ti succede qualcosa è ancora colpa mia. Faresti meglio a pensare meno e a fare meglio, non voglio trascinarmi dietro un moccioso con gli ormoni in subbuglio.”

Ruben ci rimase male e non provò a nasconderlo, diede un’ultima occhiata scettica alla ragazza e proseguì cantando di un ragazzo e una ragazza che si amavano, lottando contro ogni avversità per ritrovarsi un giorno, il tempo di un abbraccio, prima di perire.

Lara rimase perplessa, perché ricordava quella canzone, un passato remoto, una bimba stanca tra le braccia della madre, che giocando col suo filo di perle si lasciava cullare, fino allo sopraggiungere del sonno.

Scacciò una mosca immaginaria, stringendo i denti fino a contrarre la mascella in uno spasmo doloroso. Lei era al comando, doveva arrivare in tempo, solo questo contava. Niente più bimbe, niente più canzoni, né calore di mamma. Lara era attesa con trepidazione e sapeva bene il proprio dovere. Ogni cosa si fece sfocata, mentre i ragazzi salivano in mezzo al pietrisco. Ogni passo, un dolore, una nuova piaga nei vecchi calzari.