Se lo Stato terrorizza il cittadino.Cercando l’equità e trovando l’Equitalia


 

Mi sento sopraffatta dallo stordimento di fronte all’incognita Equitalia.

Non voglio esprimermi troppo, perchè non sono intenzionata a far politica, ma la libertà è un diritto e il rispetto del cittadino è un dovere che lo Stato mai deve dimenticare. Poichè il potere dello Stato esiste finché la popolazione lo concede. Purtroppo la sensazione di essere prigionieri in casa propria è sempre più forte. La paura è strisciante tra le fila di lavoratori. Passiamo di mano in mano: affaristi, malavitosi, imbroglioni, pavidi e senza scrupoli, ah dimenticavo… porci e vanitosi!

Siamo al punto di temere un errore burocratico, nostro per ignoranza, altrui per errore, ma con la certezza di pagarlo di propria tasca. A diventar più poveri si può fare l’abitudine, ma trovo ironico in modo deprimente che si debba aver paura di non avere abbastanza soldi per pagare ogni forma di tassazione che ci piomba tra capo e collo.

Vorrei fare presente che ogni nostra attività è tassata, ogni acquisto, ogni servizio, tutto, sempre, il prezzo di qualcosa ha una percentuale in sé di tassazione che finisce allo Stato. La proprietà immobiliare è una tradizione italiana, per la casa l’italiano ha sacrificato tutto, non si è risparmiato, perché ci hanno insegnato essere l’unica certezza. Ricordo che fino pochi anni fa, ancora si diceva che dalla prima casa nessuno ti poteva cacciare. Fino a pochi anni fa. Per chi non sapesse, è proprio D’Alema che ha fortemente appoggiato Equitalia, una presa in giro in più per chi ha votato per una vita un partito sperando in equità e ritrovandosi equit..alia!

Si arriva a temere lo Stato in questo modo perché le regole sono troppe, impossibile conoscerle tutte, se sbagli paghi però e le richieste sono impossibili da soddisfare, così da non dormire nel terrore di mancare qualche pagamento per errore, e non importa se ti sei svenato una vita, non conta per nessuno, o peggio se non li hai i soldi, perché la colpa è tua, cittadino. Tu vuoi un suolo su cui camminare, vuoi aria da respirare, cibo, servizi per i giovani, per i vecchi, vuoi Giustizia? Paga!

Beato il furbo che ha tutto, ma non risulta per niente, perché potrà sorridere mentre i vicini perderanno la casa e andranno a lavoro a piedi per continuare a pagare, mentre i figli in questo Paese cattolico vengono prima tolti ai poveri e poi se riavranno i soldi, gli saranno resi. Perché tutto questo? Quale mente bacata ci ha fatti arrivare a questo?

Eravamo caciaroni, un po’ furbetti, con le case in mattoni, ma un piatto di spaghetti sempre pronto per chiunque arrivasse. Ora siamo allo spasmo, nel terrore fanatico e io ho paura, paura di come evolverà la rabbia della gente, a causa di orrendi uomini che ingordamente hanno svuotato le casse pubbliche e hanno il coraggio di stare ancora lì, per riderci in faccia, per farci sentire immondi, vittime inermi che hanno scelto i propri aguzzini.

Tutto questo è ingiusto e non si può chiamare Democrazia in alcun modo.

Dello scrivere


Qualche attento osservatore potrebbe aver notato che sto scrivendo come stessi vomitando, senza controllo e a getto continuo.

La verità è che sono un po’ in tensione in questi giorni e lo scrivere mi sistema, mi fa uscire un po’ di cose e la pressione interna è meno forte. Mi rendo conto in realtà di ciò che metto in righe, e la differenza tra uno scritto e l’altro è dato dai miei pensieri, come per tutti sono un gioco a rincorrersi e basta allungare il piede per trovarsene uno di fronte.

Questo è il mio modo di affrontare le cose, ma non solo, è la mia passione, quella che va al di là del fine, al di là del talento, della resa. Amo scrivere tanto quanto amo stare stesa sul mare con le palpebre abbassate e lasciarmi cullare .

Mi scuso ed è un po’ che penso di scriverlo, se non sempre sono all’altezza, non è che non ci tenga. Si vuole ospitare l’arrivato in una casa degna e magari con un pizzico di vanità, lasciare in lui un amore per la nostra calda accoglienza.

Io vorrei scrivere in modo eccellente, ancor di più emozionare, rendere tangibili le fantasie della mia mente e dare loro un senso, condividerle, ma… scrivo sopra ogni cosa e chissà che col tempo venga meglio, non è detto.

Siamo tanti, un mondo di scrittori, in quanto scriventi, ma a pochi è dato d’aver il dono e io sono umile in questo. Ho il piacere però di leggere a mia volta lo scritto altrui e devo ammettere che c’è qualche mente stimolante, qualche scambio che mi stuzzica, mi fa venire nuove idee o mi porta a riflettere, a studiare ( letteralmente, ce n’è sempre bisogno!).

Comunque, questo è il mio museo, l’esposizione vivente del mio pensiero, tra il più e il meno ed è un’opera buona, volendo, di carità verso chi mi incontra nella vita reale, così che mi trovi un po’ meno ansiosa, meno contratta o graffiante.

Scrivo e scrivo ed è strano affermarlo, dal momento che batto i tasti e mi manca un po’ l’inchiostro, per una certa nostalgia delle dita macchiate, del crampo al polso e polpastrelli tagliuzzati. Come l’omo che col puzzo esprime il proprio sudato lavoro! Non so stare senza burle, mi spiace.

Signora delle Messi


Signora mia, con la falce imbracciata, in sfida con Dylan alla scacchiera?

La mano ossuta col dito puntato, il capo nascosto dal manto fosco, occhi ardenti d’inferno, furenti o forse infocati di  segreta passione, un amore inconfessato per l’umano trapassato?

Ad un genere appartieni o femmina ti fanno per atavico retaggio? Sorridi mai delle miserie mortali o ti soffermi a rimirar lo slancio, la passione, il fallace affanno?

Noi fummo da cenere materia di qualche alito vivente infuso, creazione bizzarra e incompresa, ma di dove sorgesti tu, di quale parte arrivi mesta?

Non ti fo la colpa di far la messe allo scoccar de l’ora, a ognuno il suo mestiere, mi chiedo a volte se ti costi l’atto, se t’invogli il rifiuto a procedere al cospetto d’un innocente. O forse tu c’hai vita imperitura, già conosci il suo destino e lo vegli nel cammino dal tribolar allo mirar lo Divino?

Non giungerà mai risposta a questi miei dilemmi, se non al tuo approdare che sarà lo salpar mio, da me non attenderti allora mansueta obbedienza.