Viaggi astrali


Un cerchio d’acqua e poi un altro e un altro ancora, in sequenza spingendosi in onde e la goccia che cade, precisa, nel centro, rompe e propaga, energia in orizzonti uguali a se stessi.

Io non so bene se sono la goccia o la distesa d’acqua.

Sono l’acqua bucata in pensieri concentrici.

Mi penso alata, piumata e libera, una nave nell’aria che fende le correnti. Un’immagine antica, un ricordo di ansia, quando in classe le emozioni si facevano vive come braccia strangolanti e guardavo la finestra immaginando di lanciarmi fuori rompendola in mille frammenti e poi via, volando espansa nell’aria, in ogni sua molecola. L’avrei spacciato comodamente per un attacco di panico, ma non lo era, mi viene facile provare la stessa sensazione anche adesso, se solo ci penso. Volevo essere altrove, fuori dal corpo, volevo estraniarmi per essere libera, libera da questo civico coesistere, dalla costrizione del corpo stesso.

Vorrei sapere cose che non so, cose che sfioro con la mente, come una parola sulla punta della lingua che inevitabilmente finisce deglutita. La sensazione di percepire senza capire e poi la pigrizia.. Non ho quella costanza di applicarmi per approfondire, se arrivo ad annoiarmi è dura, eppure al contempo a volte passo ore a cercare un riferimento su un altro riferimento e inevitabilmente studio, ma sono troppo volubile, mi devo appassionare altrimenti… una linea piatta, mi sfugge il pensiero.

Fondamentalmente, c’è un barlume di intelligenza che a metterlo in pratica ci vuole un esercito di neuroni indolenti. Me li immagino lì, al centro connessioni cerebrali, seduti su seggiole troppo piccole per i loro corpi obesi.  Immagino i miei neuroni che si mangiano un trancio di pizza e mandano un film, illudendomi di aver avuto un’idea, mentre loro si fanno un meritato pisolino, tra una scoreggiata e un rutto libero.

Tutto il mio desiderio di viaggi astrali in fondo parte da lì, da un salotto di neuroni indolenti che sparano i loro film.

E tanti saluti alla poesia!

Goodbye my faith


angelo ali fotografia immagine

Sorridere e soffrire nello stesso momento, capita a tutti. A me in quest’anno spesso, troppo spesso, e mi accorgo che il sorriso mi si spegne quando la stanchezza mi satura e cedo, mentre sorrido guardo chi ho di fronte e penso, ma chi se ne frega e di punto in bianco so di cambiare espressione in una mutazione schizofrenica, ma sono finalmente io. Stanca, di quel dolore che penso non andrà mai via, di guardare due occhioni e chiedermi se capiscono che dentro mi stanno lacerando, ho paura allora di far più paura io.

Non tutto va come si spera, quasi mai, eppure ho avuto gioie che non pensavo, perché in fondo mi sono sempre sentita marchiata, non serve andare a chiedersi perché. Se ti senti marchiato ti aspetti che la vita ti faccia lo sgambetto sempre, proprio sul più bello. Temevo di non potere mai avere ciò cui più tendevo, ma ho avuto, con lacrime, grida, rabbia, paura, sofferenza mordace, ho avuto, e allora? Ciò che ho perso quando ci ho sperato, un ultimo miracolo non chiedo altro, mi ha scavato dentro, due volte, per due volte una benedizione e altri due rintocchi a funerale.

Due sì, due no.. è andata bene, per chi porta il marchio sull’anima.

Anche il bue più mansueto può scattare. la rabbia è un buon alleato per reagire, per muovere le gambe e tirare il carro, ma ti logora dentro, ti consuma e non lascia chiudere i lembi aperti.

Tutto qui, due occhioni per ricordare, sorridere e morire un po’ e ancora domani e un altro giorno ancora.

Ringraziare il cielo di tutto cuore per ciò che di più bello mi ha donato e uno sguardo in terra a celare le lacrime per un buco dentro che si nutre di dolore.

goodbye sweet honey, goodbye my faith