Un cerchio d’acqua e poi un altro e un altro ancora, in sequenza spingendosi in onde e la goccia che cade, precisa, nel centro, rompe e propaga, energia in orizzonti uguali a se stessi.
Io non so bene se sono la goccia o la distesa d’acqua.
Sono l’acqua bucata in pensieri concentrici.
Mi penso alata, piumata e libera, una nave nell’aria che fende le correnti. Un’immagine antica, un ricordo di ansia, quando in classe le emozioni si facevano vive come braccia strangolanti e guardavo la finestra immaginando di lanciarmi fuori rompendola in mille frammenti e poi via, volando espansa nell’aria, in ogni sua molecola. L’avrei spacciato comodamente per un attacco di panico, ma non lo era, mi viene facile provare la stessa sensazione anche adesso, se solo ci penso. Volevo essere altrove, fuori dal corpo, volevo estraniarmi per essere libera, libera da questo civico coesistere, dalla costrizione del corpo stesso.
Vorrei sapere cose che non so, cose che sfioro con la mente, come una parola sulla punta della lingua che inevitabilmente finisce deglutita. La sensazione di percepire senza capire e poi la pigrizia.. Non ho quella costanza di applicarmi per approfondire, se arrivo ad annoiarmi è dura, eppure al contempo a volte passo ore a cercare un riferimento su un altro riferimento e inevitabilmente studio, ma sono troppo volubile, mi devo appassionare altrimenti… una linea piatta, mi sfugge il pensiero.
Fondamentalmente, c’è un barlume di intelligenza che a metterlo in pratica ci vuole un esercito di neuroni indolenti. Me li immagino lì, al centro connessioni cerebrali, seduti su seggiole troppo piccole per i loro corpi obesi. Immagino i miei neuroni che si mangiano un trancio di pizza e mandano un film, illudendomi di aver avuto un’idea, mentre loro si fanno un meritato pisolino, tra una scoreggiata e un rutto libero.
Tutto il mio desiderio di viaggi astrali in fondo parte da lì, da un salotto di neuroni indolenti che sparano i loro film.
E tanti saluti alla poesia!