Luca non torna


Il viaggio in treno è stato lungo, per fortuna.
Ho salutato tutti. Con un messaggio sul cellulare.
Ho fatto i bagagli, ho staccato tutto, dato le chiavi alla portinaia, troppi perché avesse da protestare.
Sa che il proprietario non se la prenderà con lei.
Ho avvisato in banca che mi sarei trasferita e avrei fatto sapere. Sì, tranquilli: quei due soldi restano a voi.
Ho percorso all’alba per l’ultima volta le strade in cui sono cresciuta.
Ho annusato l’aria per ricordare, ho cercato volti che sapevo ancora celati dal sonno, nei propri letti.
Ho lasciato le lacrime asciugarsi nell’aria fredda del mattino.
Sono scesa senza fretta dal vagone, ho osservato tutti trascinarsi per uscire, per arrivare.
Ho raccolto i miei borsoni e mi sono seduta sulla prima panchina, a perdere tempo, tempo mio.
L’odore della stazione non è piacevole, ma non mi importa affatto: sa di speranza, possibilità e fa paura, una vertigine nelle budella che mi fa desiderare di correre, gridare e rannicchiarmi a terra.
Un sorriso per me, uno sguardo incuriosito e qualcuno si accorge che esisto, non saprà mai chi sono.
Mi alzo e con calma mi avvio.
Scendo la gradinata che dalla stazione mi porta sulla strada della città nuova e sconosciuta.
Non l’ho scelta, ho solo preso il primo treno disponibile e sono scesa al capolinea.
C’è il sole.
Il cellulare vibra.
Guardo per l’ultima volta il suo nome sullo schermo, spengo il cellulare ed estraggo la scheda.
Vado in un bar piccolo e accogliente, ordino un caffè e un croissant che mi farà venire l’acidità di stomaco.
In bagno faccio pipì e getto la scheda, avvolta nella carta igienica, poi tiro lo sciacquone.
Addio.
Lavo le mani.
Mentre faccio colazione osservo il posto. C’è una ragazza dietro al bancone e sembra parecchio affaccendata.
Mi avvicino e le chiedo se hanno bisogno di aiuto, io ho già lavorato come barista.
Mi guarda, chiede le solite inutili referenze, che offro senza entusiasmo. Mi capisce. Sorride divertita.
Pretende che passi un paio d’ore con lei dietro il banco per prova e io sono felice.
Ritira i borsoni nella stanza di servizio e si complimenta con me per la mia destrezza.
So che osserva le mie mani, la mia gola, e le mie gote ombreggiate. La mia voce è scura.
So che capisce, ma non chiede. Non ho voglia di spiegare!
Qualcosa scatta e decide di offrirmi l’appartamento, una scatola ammobiliata, sopra il bar.
Mi assumerà in settimana, le servono i miei documenti.
Sospiro.
Li osserva, ne fa fotocopia e me li restituisce sorridendo.
Continua a chiamarmi Lucia e capisco che Luca non torna.

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