Solita partita della domenica, soliti spalti, stesse urla.
L’entusiasmo è ciò che mi traina, dovrei essere ormai anestetizzato, sono troppi anni e non si illude più nessuno che il gioco sia pulito. Niente fair play.
Eppure, torno, non manco mai. Le pacche sulle spalle, le battute i cori, saranno anche un modo per sentirsi gruppo, ma a me non frega niente. Quelli più giovani mi chiamano zio, mi conoscono da sempre e a me non frega niente.
Gli altri mi chiamano amico e io racconto le solite buffonate, loro ridono e vedo lo sforzo, vogliono tutti avvicinarsi. Stare vicino a me sembra meglio di una vittoria in campo e perché? Perché non manco mai.Vengo qui da sempre e siccome mio padre era lo “zio” prima di me, ora sembra tacito che io abbia ereditato il titolo. Le trasferte sono il peggio, io non le sopporto, ma vai e diglielo.
Se non fosse, se non fosse per quello, li avrei mandati a cagare.
Mi volto e sorrido allo stesso sorriso di sempre.
Un’amicizia storica, solida e riconosciuta come sacra: nessuno osa sindacare. Un’alleanza intoccabile.
Eppure io penso a un bambino annoiato che finge di scalpitare per accontentare un padre che incute timore col solo sguardo e che nei silenzi minaccia cose impossibili da tollerare. Penso all’amico che mi accompagna ad ogni partita, perché è affidato a mio padre e la storia non si è mai capita. Ricordo solo un funerale pochi anni dopo in cui il mai visto padre del mio amico veniva celebrato e osannato da tutti, ma capivo dal suo sguardo smarrito che per lui era uno sconosciuto. Allora, quelle domeniche da sopportare in due diventavano man mano speciali e mentre Ricki si appassionava davvero, io mi appassionavo a lui.
Un abbraccio stretto mi riporta al presente e capisco dall’ovazione che abbiamo segnato, ma non me ne frega.
Lo stringo anch’io e mi immergo nel suo odore, mi aggrappo al suo entusiasmo che rischiara un po’ il lutto del mio cuore, le colpe che mi porto dentro e che mai ho permesso lo imbrattassero.
L’unica cosa che ho salvato è lui e lo rifarei ancora e un’altra volta.
Gli darei tutto e lui non vuole niente, gli basta starmi accanto e nessuno osa indagare.
Siamo sempre stati insieme, impossibile immaginare diversamente. Le mogli sono una rottura per tutti e nessuno si aspetterebbe che io vivessi con la mia, le lascio i soldi, a palate.
Io mi tengo Ricki e lo stringo e lo vezzeggio.
Lui solo ha le mie lacrime, i miei sospiri e i miei orgasmi.
Ricki è coraggioso, anche se tutti pensano che sia io il leone.
Il giorno del mio matrimonio è corso in camera mia, con gli occhi gonfi di pianto, mi ha picchiato come una furia e mi ha preso, sì lui ha preso me, e sì è assicurato che fossi suo e che mi fosse chiaro. Io ho pianto come un bambino e sono rinato tra i suoi baci e le sue promesse.
Non ho mai toccato mia moglie, non ho mai toccato nessun altro. Ho dato ciò che dovevo e ho preso ciò che non meritavo, ma non rinuncerò mai a Ricki.
Giorno: 8 settembre 2015
Le malelingue
“Vedessi come si è conciata!”
Mi dà un colpo sul braccio, stringo i denti e annuisco. Vorrei bloccarla sul nascere, ma so che ad annuire faccio prima a non dar corda, spero la smetta.
“No, ma tu non ti rendi conto: sciatta, coi capelli sporchi, ma è modo? Ti pare.”
“Già, magari non sta bene.”
Altro colpo sul braccio. Stringo i denti e la presa sul volante.
“Macché, è sempre stata così! Si crede chissà chi e invece se si guardasse. Vedessi i figli, che vergogna…”
Mi sale la bile , ne sento il sapore bruciante in bocca, penso a una sigaretta spenta sul palmo della mano. Sarebbe meno dolorosa? “Mi pare che i figli se la cavino bene, sono in ordine, bene inseriti.”
Mi guarda con tanto d’occhi e ommioddio ho sventolato il drappo rosso di fronte al toro e ora mi arrangio, cavoli miei.
Parte l’acuto e la voce si imposta in falsetto, sorrido negando la mia irritazione, non è possibile che il mio sguardo inganni, vero?
“Ma se la ragazza va in giro coi capelli unti, la evitano tutti. Sono una famiglia così, tutta gente così.”
Io mentre mi tappo la bocca, e lascio il monologo andare avanti fino ad esaurimento spontaneo, penso e mi domando che ha fatto ‘sta gente di male, non lo so. Cosa importa a Bruna l’igiene altrui? Ogni volta che ci vediamo è la stessa storia, persona diversa.
La guardo e le sorrido, perché le voglio bene e mi dispiace che qualcosa in lei la faccia sentire così inadeguata da aver bisogno di demolire tutti e per tutti intendo l’intera umanità. Non mi illudo di essere esente dalla sua lingua affilata, è impossibile. L’occhiata che ha dato all’auto impolverata era un programma. Qualcuno, e per fortuna non io, sorbirà le sue invettive contro la mia trascuratezza. Per fortuna non mi importa.
Tornata a casa, mi chiudo in bagno e sospiro, sfiato, cerco aria.
Vorrei non aver bisogno di piangere la frustrazione che mi soffoca. Impossibile.
Insopportabile guardare nelle pieghe private degli altri, insopportabile ferirsi l’anima ascoltando veleno mortale spillato così generosamente.
-Non ce la faccio più.- Ansimo, piango una colpa non mia e penso ad ogni persona inconsapevolmente maltrattata che mi risulta simpatica per empatia.
So che non saprò dire no al prossimo viaggio, perché Bruna mi pare la persona più ferita.