“Qui, è tutto sistemato.” Berta, soddisfatta del suo operato, si allontanò dalle trappole strategicamente piazzate nel cuore del bosco. Si incamminò saltellando allegramente, nel suo scorribandare cominciò a canticchiare come sempre, la solita nenia.
tra le zanne la belva aspetta,
la bocca aperta,
la gente non sa
che il passo avanzando
nessuna fretta
poi si perderà,
ha preso cuori di uomini forti
coperto di nebbia
le menti confuse
a casa cessa l’inutile attesa
di gente che più
tornare non sa.
degli scuri questa è la terra,
la nostra canzone
ti condannerà.
La ragazza non pensava alle parole, come tutti i bambini della valle, cantava a memoria la canzone che conosceva da sempre, come una preghiera. Non faceva caso al vento gelido che si alzava nel frattempo, al cinguettio che si spegneva, agli animali che si dileguavano. Saltellava ignara colma di energia e desiderosa solo di godere la vita.
Giunta allo specchio d’acqua che chiamavano “la pozza”, essendo una piccola raccolta d’acqua probabilmente alimentata da un rivo d’acqua sotterraneo, si mise seduta con un balzo su un tronco adagiato sulla riva.
Immerse i piedi sporchi nell’acqua fredda ridacchiando per il solletico alle dita.
Il freddo la calmava e questo le permetteva di riflettere, cosa per lei inconsueta. Capitava sempre più di frequente che si ponesse domande, ma non lo riferiva a nessuno, neanche al padre, perché sapeva di andare contro il volere dei Savi.
Nessuno aveva mai contraddetto le regole, nessuno aveva mai posto dubbi, lei stessa non si spiegava i propri pensieri e temeva di essere pazza, ma la pazzia era solo una leggenda.
Nessuna malattia al villaggio, nessuna debolezza, erano concetti frutto della fantasia. Le fiabe del crepuscolo narravano di lotte, battaglie, creature avide e rovesci di potere, gente sola e disperata. Il monito dei genitori ai figli era chiaro: abbandonare le regole significava perdersi e trovare solo desolazione. C’era un mondo sconosciuto al di là delle montagne, un mondo avverso e pericoloso. Berta non ricordava di gente bandita, ma le vecchie portavano ancora i nomi nella memoria dei propri cari smarriti, non sembrava però che li usassero per intimorire i piccoli. Nomi che venivano sussurrati, nascosti in filastrocche segrete, tramandate ai figli per non dannarli alla nebbia delle montagne.
“Gordon capello d’oro, con Rico lesto di lancia, in viaggio con Dora dalla Vista e Gilda la sarta, trovano Tharo voce tonante e Mirta la ricca di grazia; insieme a Fusto il giovane e Saro il fabbro per mano con Lidia la bella e Visco il mano di ferro, sono in grande compagnia: Juno il pescatore, Lucio il cantore, Vianna la sposa con Frida la gioiosa, poi Radho il bugiardo e Dogo che mai riposa, Lara occhio di falco e Gricio il vinaio…”
I nomi erano scolpiti nella memoria, mai trascritti, mai rivelati, solo sussurrati nella filastrocca segreta. I Savi non ne erano a conoscenza, nessuno dei bambini sarebbe diventato uno di loro, perciò le madri non temevano che il segreto sarebbe stato rivelato.
Berta si chiedeva come mai i Savi non morissero. Sapeva che la gente invecchiava e inevitabilmente la vita arrivava alla sua fine. Bastava rispettare le regole e ognuno sarebbe vissuto per l’eternità oltre la nebbia, in case d’oro dagli atri coperti di gemme preziose serviti da coloro che si erano persi nella nebbia, banditi per sempre.
“Perché dovrei farmi servire dalla mia gente?”
Piccoli pesci guizzavano tra le sue dita, mentre la ragazza intristita rifletteva.
“Berta che non ride e grida a squarciagola? Questa sì che è una cosa insolita!”
“Zia…” Aveva sentito? La donna dall’aspetto macilento le si era già seduta affianco.
“Tuo padre ti lascia ancora in giro come una monella? Sapevo che un uomo non sarebbe stato in grado di crescerti nel modo giusto. Quant’è testardo!”
“Zia, papà non mi ha fatto mancare niente, io mi sto preparando alla chiamata del Consiglio. Non devi temere che faccia brutta figura.”
La zia sbuffò impaziente. “Berta, la tua povera madre ti avrebbe già insegnato a essere una donna rispettosa delle regole, elegante e colta. Sei deliziosa, per fortuna, ma ti manca la conoscenza, se tu vivessi con noi, saresti pronta per un ruolo di grande rilievo. Cacciare conigli, per carità, non oso pensarci senza che mi venga un colpo!”
“Eppure stai bene…”
“Vedi? Sei sfacciata e neanche te ne rendi conto!”
A Berta pareva che la sfacciata fosse la zia, ma non era così gretta da esporlo ad alta voce.
“Vogliamo che alla prossima luna piena tu venga a stare da noi per un ciclo, tuo padre sarà d’accordo. Cerca di non protestare. Noi pensiamo solo al tuo bene.”
“Lo so zia.” Nulla la convinceva di meno, ma da tempo aveva deciso di capire meglio le cose incerte, perciò aspettava l’occasione per studiare da vicino le zie e le loro manovre.
“Brava, mi sorprendi.” Lo sguardo della donna era penetrante e Berta aveva l’impressione di ingaggiare una lotta fisica con lei, come se stesse cercando di penetrarle la testa.
Con un sopracciglio alzato la zia girò il capo e per un po’ rimase ad osservare l’acqua immobile, assorta.
“Bene, sarà interessante. Molto. Faremo un gran lavoro insieme.”
Con un ultimo sguardo, meno duro e più assorto la donna si congedò.
“Alla prossima luna piena.”
“Non mancherò.”