Il vento abbatte le difese degli irriducibili.
Trapassa le barriere e s’infiltra nelle ossa, scuotendoti dalle fondamenta.
Così fischiava tra le colline, mentre i ragazzi rincorrevano il pallone rapido.
Le finestre si chiusero una dopo l’altra, per forza di mano o perché obbligate dall’irruenza della folata rabbiosa.
Un colpo di porta, qualcosa che crolla e rotola.
Il cielo si fece scuro, cupo, mentre le ragazze strillavano rientrando di corsa nelle case illuminate, come fosse già sera.
I vecchi se la prendevano comoda, il vento non li spaventava mai, li annoiava tutt’al più .
Grida di madri affannate e il pallone rotolò giù, finalmente libero, mentre i ragazzi si affrettavano per evitare una sberla.
Chi di fretta, chi con rassegnazione, ogni abitante si ritirò nel calore della propria abitazione.
Tutti.
Il vento si indispettì e gridò più forte.
Nessuno rispose, nemmeno quel capo chino avvolto dalle ombre; seguitò a camminare tra i vicoli del paese, fischiettando indifferente.
Cadevano i vasi dai balconi, le porte tremavano, i cani guaivano spaventati e quella figura scura passeggiava placidamente.
Il cielo si tinse d’inchiostro e un boato esplose oltre l’orizzonte.
Il vento si gonfiò, si contorse e si lanciò con forza feroce sollevando l’uomo come fosse una silhouette di carta velina.
Grida disperate eruppero da ogni cortile e su per le colline, dentro le crepe nei muri, si immersero in ogni fessura.
La popolazione immobile in un solo palpitante cuore, tratteneva il fiato.
Terrore.
Il terrore gettò il capo indietro e rise, rise così forte, trasportato dal vento che coprì quasi le urla atterrite.
Quasi.
Che ne fu di quel paese, non so.
Tra le colline c’è solo un pallone che corre, su e giù, dal tempo che fu.
Mese: gennaio 2016
Tu ed io e poi nulla
E se tu …
nulla, ti dico nulla, non importa, perché importa troppo.
Non lo capisci?
Mi nascondo in me.
Fuoco e ombra, tutto mi avviluppa e mi torce, dentro.
Sto dicendo addio.
Sto salutando ogni tremito, ogni vibrazione che percorre la mia pelle.
Addio le mie labbra, così protese sul vuoto, su uno strapiombo di incertezze.
Un freddo che mi invade la mente e chiude tutto.
Ogni serranda che cade fa un rumore secco
e io mi spavento.
Se ti dico che so che non mi ami e non accuso,
tu mi dici stupida, che forse è ciò che cerco.
Non lotto più, non lotto per le bugie.
Non cerco illusioni, né dolci sonni.
Voglio un abbraccio stretto, una mano che stringe,
non piangere più, niente più lacrime.
Non per te, lo so, non sono così buona.
Piango l’addio, le scelte, la fine di cose belle.
Non era per me.
Lo sapevo, forse, volevo, ma
Sapevo.
Ce l’hai nel cuore, quel poco valore,
quel poco più di niente e sai che si vede.
Ci cresci assetata d’amore, di calore.
Si vede, si sente.
L’amore che non ti copre in culla,
ti mancherà sempre.
Sarai un vampiro che brama,
una sete che non si estingue.
Mentre le cose quotidiane mordono,
io aspetto un ritorno, un segno.
La vita è occuparsi di cose banali,
carnali certezze, santi noiosi oneri.
Passano i giorni, le stagioni.
Passano e travolgono e prendono
i miei tesori cari, i miei fragili appigli.
Guardo te, perché ci sei, mi dico ci sei.
Tu che mi ignori, che ti volti e aspetti
che mi vesta di certezze e oneri.
Addio alla passione, addio cuore,
addio alle canzoni, alle risate,
alle promesse da mantenere, da deludere.
Addio a me che mi accusi di essere triste.
Lasciami la tristezza per sapermi viva.
Creatura
E perciò ho saltato.
Lo so, sarei potuto uscire dalla porta, ma dovevo rovinare sul cespuglio di rose maledetto.
Non ce la facevo più, c’è poco da spiegare. Ho perso la testa, mi sono infilato le scarpe e la giacca e … ho saltato.
Mi sento stupido, mentre perdo la forza della disperazione e i muscoli iniziano a rallentare.
Sono contratto, dentro e fuori.
Conficcare le unghie nel tronco dell’albero su cui mi appoggio, mi fa sentire più saldo.
Che poi si stiano spezzando, mi dà più sollievo.
Sollevo la mano e incantato osservo il sangue che scorre.
Non resisto e scorro con la lingua il contorno delle mie dita, raccogliendo il nettare prezioso.
Rosso.
Vedo rosso e il sangue pulsa potente nelle vene.
Ho un solo richiamo e lo seguo.
Corro, senza tempo, senza meta, corro e non sento le suole aprirsi sotto le piante dei miei piedi scorticati.
Corro tra i crampi, sobbalzo, cado e riparto, in realtà non mi fermo, neanche inciampando, mi spingo sulle mani e riprendo velocità.
Sento il sudore asciugarsi sulla pelle, lo sento freddo, rabbrividisco, dal contrasto col calore che mi brucia dentro.
Sono imbrattato di fango e corro, sento le spine conficcarsi nei piedi, sento la pelle lacerarsi e corro.
Di colpo, senza preavviso, il fuoco che mi divora si spegne e io semplicemente crollo, sul posto.
Per la prima volta, da quando sono impazzito, mi guardo intorno.
E’ buio, un buio livido, un grumo di sangue rappreso, nero.
A proposito di sangue, sollevo le mani e rabbrividisco: molte delle mie unghie sono saltate, strappate, altre spezzate e sollevate. Non scorre più sangue, è rappreso, come un guanto a coprire le mie mani.
Come le vedo, mi chiedo?
So che è buio, eppure vedo il mio stato di disgrazia.
Fa freddo?
Non lo so nemmeno.
Mi raccolgo, chiudendo le braccia intorno alle ginocchia intorpidite.
Sollevo lo sguardo al cielo.
Ho bisogno di risposte.
Cerco un senso, mentre anticipo il panico che sta montando in fondo al petto.
Non mi chiedo più chi sono, mentre passo la lingua sulle punte delle mie… zanne.
Cosa sono?
Notte
Dietro le nubi, lì, dietro la cortina fuligginosa, stanno i miei sogni.
Non li vedo più, non li sento, come sole sulla pelle, non c’è il calore di cui mi bagnavo.
Gatti neri scendono a frotte dai tetti, come un mare di stendardi le code.
Questa notte è per i tormenti affacciati alla finestra, col dito disegnano un cuore sulla condensa.
Un ululato solitario, un brivido sulla schiena.
Nostalgia del lupo, la foresta sonnecchia e scricchiola, il gracchiare dei miei passi sulla fredda terra.
Se si aprisse la finestra, se si aprisse da sola, forse per un vento pietoso?
Sarebbe un volo d’ali e mai a terra?
Sarebbe cadere e un ultimo sospiro?
Un’emozione proibita.