Riconoscere di essere altamente sensibili, ipersensibili ci chiamano a volte con tono accusatorio, è difficile. Amare le persone, ma esserne travolte. Vederne troppi aspetti e avere difficoltà di fronte ai toni accesi e alle sfumature. Immergersi nel genere umano con il brivido che precede il concerto del tuo gruppo preferito, rock ovviamente, per poi restare gelati nella folla che ti schiaccia, dalle luci accecanti e la musica così forte da sovrastare la voce del leader, che volevi cogliere più di ogni altra cosa. Un’esperienza esaltante, ma troppo… troppa. Così è vivere quando non si riesce bene a scindere gli aspetti fondamentali da quelli trascurabili. Si è facili alla spinta positiva, come allo scendere nell’ umore nero, appena un certo tono di voce, una svolta imprevista, un’offesa ci toccano come una lama rovente nel burro. Diventa indispensabile poter prendere le distanze quando si rischia di esplodere, perché nulla ci inorridisce più che mostrare le viscere. Non sappiamo però vivere soli, per l’attrazione che condividiamo con gli altri. Amiamo amare e siamo pateticamente leali. Guai a chi ci tradisce, nel senso più ampio. La fiducia non torna mai del tutto e soprattutto diventa una nuova ferita che ci fa dubitare del nostro valore e di quanto siamo amabili. Quando ogni cosa che esponi di te è senza filtro, quando non sai trovare un compromesso tra la totale onestà e il chiudersi a riccio, la persona cui dai fiducia ha un’enorme potere, troppo e che non ha chiesto. Non sai amare senza totalizzare. Chi se ne va, torna sempre, perché essere amati da noi è un’esperienza irripetibile. Peccato che quando chiudiamo una porta è per sempre. A meno che non sia la famiglia. Lì i problemi per noi sono immensi, perché la lealtà associata all’amore ci impedisce di chiudere anche quando restare fa male. Sappiamo rispondere, con precisione chirurgica dissezionare le falsità che ci sottopongono, salvo lasciare un filo di salvezza che non recideremo. Siamo figli, compagni e genitori leali. Anche se non ci vedono, anche se ci sfruttano, anche se ci feriscono. Personalmente, scrivendo respiro, allenandomi mi libero della rabbia e cantano da sola mi libero. Poi, torno al mondo che mi soffoca, alle persone che amo fino a morirne un po’ ogni giorno.
amare
L’estinzione dell’ Eros (e la svendita del sesso)
L’erotismo è una spirale che sale verso l’alto come fumo che si perde tra i sogni appesi. Il sesso che inizia e finisce per esprimersi in se stesso, è un segmento di scarsa immaginazione e poco intelletto. Il consumismo sportivo che viene assiduamente praticato, crea campioni del sesso ad ogni istante. Sprizzano come starnuti col raffreddore. Non c’è più tempo. Non c’è tempo per sfiorare col pensiero, solleticare il peccaminoso appetito. Sono corse di umani criceti sulla ruota di una vita che spreme e offre gadget su gadget di niente. Troppo distratti per l’amore. Per esplorare l’altro, scoprire il piacere e scartarlo piano, come un dono atteso, desiderato. Non c’è tempo per sognare i momenti da passare insieme, progettarli come il viaggio della vita, perdersi in ogni dettaglio per poi scoprire nicchie inesplorate e meravigliosie. Non basta una vita, perché la sprechiamo in cazzate su cazzate di frustrazioni e angosce. Usiamo l’ardore per odiare e incolpare senza vergogna chiunque, quando amare è un ormai un tabù e ben più intrigante. Donne appassite su romanzi che scottano ad ogni pagina, incomprese e trascurate. Uomini confusi che cercano conferme tra numeri di sesso che nessun circo propone. Io vedo giorni che scorrono come lacrime a un funerale, senza possibilità di ritorno. Sogni appesi che nessuna scala mi fa avvicinare. La mia pelle ha sete e ti allontano, perché ho bisogno da così tanto che la tua fretta mi ferisce. Non sono un gadget, sono una persona e vorrei che fosse ovvio. Per tutti noi. Vorrei essere vista. Vorrei che ciò che desidero e come lo desidero avessero un valore. Essere desiderata non mi basta. Non mi accende. Fanculo. A tutto e a tutti. Io mi appartengo, mi proteggo. Valgo anche quando sono invisibile. La nebbia copre e nasconde, non cancella. Aspetto un giorno di sole.
La prigione
Soli e lune e l’incanto
Sommesso il sogno
Leggiadro si spande
Non catene sono mani
Non bavagli sono baci
Perduto il bisogno
Rimane irrisolto
Ciò che mi tiene
L’obbligo affonda
Scalza la corsa
Il canto stonato
La vita dipinta
Ogni catena s’inventa
S’incatena ogni cuore
La pena d’amare
L’altare spoglia.
mani vuote
Lontano i sospiri da me
si dipartono liberi e
io costante rivolto
la terra tra mani
fili tra le dita
sottili bugie
da mangiare
non c’è nulla
tra me e te
non c’è nulla
tra le mani
solo terra
caduta sui piedi
è smarrita la via
che porta via da te.
Persa
Sono così persa
che ogni sguardo
spezza
ogni parte di me
stracciata.
Cerco il gancio
le unghie graffiano
pareti
di vetro liscie
scorrono.
L’orizzonte arride
‘ché ancora seguo
ipotesi
l’amore si dimostra
teoria.
Specchi gli occhi
non guardo più
esposta
tremo la paura
repressa.
L’orgoglio che tira
l’ombra di me stessa
icona
di un’altra me
donna.
Non crollo fuori
non posso cedere
polvere
sotto il tappeto
vivere.
Ché non sono
sola da perdere
aperta
nell’anima lacera
ferita.
Stilla da me
ogni voglia
morta
di me resta
promessa.
Ti lascio, qualcosa di me che hai buttato.
Questo è ciò che ti lascio:
un passato e un’attesa.
Quel che non hai preso,
non saprai avere mai,
non sono che un soffio.
Le tue labbra chiamano
tu non sai cercare
il mio nome fuggito.
Dolce la seta di carne
turgido d’amore
il desiderio che piange.
Lacrimose perle salate
che al cuore sopito
saranno negate.
Millenni a cercare,
tra stelle lontane,
un segno d’affetto.
Parole, pensieri sepolti,
un mondo di vite sparse
e un cuore solo.
La stretta nel petto,
nessuna emozione,
la vita che arde.
Non sono e voglio
più nulla da te,
restami ricordo.
Le fate sono morte
le ali strappate,
il deserto s’appare.
Cavalieri sui muli,
destrieri frignanti,
si aggiorna la corte.
La pelle viva odora,
calda ammanta
un istante d’amore.
Tutto è perduto
colonna di fumo,
all’orizzonte.
Piangi per me,
carezze negate
senti: le campane.
Sospiri ardenti,
singulti sperati,
la eco dispersa.
Amore è tutto,
intorno e sepolto,
trasuda e soccombe.
Piangi per me,
non credo più
non c’è più me.
Irraggiunta
tutto ciò che non sono mi assale
dagli angoli spogli e in ombra
si muove la nebbia ansante
mi copre, mi pressa e gode.
ciò che non provo agogno
e nulla il pretesto di ignorare
assolve la colpa di soffrire
perché l’ingratitudine sporca.
infiniti sguardi persi
nell’orizzonte distante
perennemente immobile
irraggiunto pulsare.
immersa in questo mare
d’onde argento fredde
perdo il sentire e
solo vorrei cadere.
giù, più giù e svanire
e non potendo
mi vesto il belletto
maschera ghignante.
di più la finzione
del vero conta ormai
la storia che non c’è
smonta e rimonta.
per quel cuore perdo
ogni traccia di me
che non vale il capello
d’un amare vivo.
scelte, strade, svolte
e si arriva e si resta
non più in aria il dado
non più l’avanzare.
colpa, ognuno la sua
pago, sempre pago
inutile scontare
l’accordo preso.
spezzata, dentro
sbagliata sempre
e fingermi intera
per non danneggiare.
nulla di me da dare
per me da volere
cerco solo di stare
e non sentire.
Sgranocchiando delusioni
Viaggio sola, cinque minuti e l’auto scorre , la musica bassa, perché a te non piace… perché?
Sono sola, perciò alzo il volume e il sangue risponde e prende a pompare, le vene che vibrano.
Slow motion, osservo con distacco le persone, pare un video musicale, un gioco, sono solo persone.
Un po’ mi spaventa e un po’ di più mi attrae questa possibilità di guardare senza sentire, senza essere parte del quadro.
Perché non ti piace la musica? Per non sentire, per non godere dentro?
Il sesso è un impulso del momento? Io insisto a pensare che la massima eccitazione sia il preludio, il cercarsi, lanciare una corda che sempre più tesa fa torcere le viscere.
Ognuno ha il suo pensiero, c’è chi fugge qualsiasi aspettativa, chi non regge il gioco e basta un’erezione per far sesso.
I pensieri viaggiano da soli e non mi va di ingabbiarli; la stanza buia per me a volte è un rifugio e il sole un isterico grido sparato in faccia.
Colleziono le sensazioni come monili preziosi e sempre più spesso mi scopro intollerante verso l’inutile spesa di parole vane.
A volte, ne sono certa, mi beccano. Sento i miei muscoli facciali immobili e so di avere uno sguardo vacuo e in quel momento mi correggo: sbatto le ciglia e partecipo all’argomento. Sono troppo educata, no. Mi dispiace davvero che io sia così annoiata, non è colpa di chi mi sta di fronte.
Basta, sento il tempo, va, va via in ogni istante la mia vita, si sgancia da me e io ho rabbia.
Ho accettato troppe cose che non volevo: per pigrizia, vigliaccheria e ignoranza. Insignificante, ciò che sono e per troppa onestà verso me stessa, so essere vero.
Volevo quei monili preziosi, quelle emozioni che non capisco perché ci neghiamo.
Dico sempre che amarsi è l’unica cosa gratuita e non si esaurisce, eppure, pare impossibile.
Darsi, cercarsi, desiderarsi è impossibile. C’è troppo altro a cui dobbiamo votarci. Se potessimo tutti smettere di distrarci, immagino crollerebbe tutto un sistema, un’impalcatura che regge il pianeta.
Chissenefrega di gadget e mazzi vari, se a casa puoi giocare tra le braccia di chi ami?
Anche lì, gadget a vendere… ma che te ne fai di sex toys se non c’è la devozione? Se non c’è uno sguardo profondo che incendia dall’interno? Un’erezione e una buona lubrificazione… sono amore?
Voglio ribellarmi a tutto questo, questa vigliaccheria di non farlo seriamente l’amore! Senza ridere e mascherare l’imbarazzo di non sapersi spogliare l’anima, senza quello sguardo non è eroticamente corretto.
Il tempo scorre e il mondo con esso, o forse dovrei dire che la gente si affanna dietro un pallone che corre, ma non sa che la strada è in discesa, perenne.
InXpresso
Ti vedo, mentre ti muovi a scatti, come una belva in catene, ti giri e misuri la stanza coi tuoi passi.
Io, immobile, osservo.
Nella mia fissità strepito e ti prendo a schiaffi, fino a dolermi i palmi, di quei ceffoni sonori, tanto per intenderci.
Nella mia prigione silenziosa lotto per non liberarmi e saltarti addosso, come vorrei fare.
Tu sbuffi, ti gratti la nuca e getti le mani al vento.
Penso che tu sia un commediante, un inutile spreco di movimenti a sottolineare nulla, ad accentare un silenzio.
Io, invece, se mi muovessi appena, non perderei tempo: ti attaccherei alla gola, con un solo balzo.
Finalmente, mi guardi, pensi che io sia calma, tranquilla e quanto ti sbagli!
Intanto cerco un segno, una traccia anche labile del mio affetto per te; ti guardo seria e osservo la tua espressione, la piega della bocca, la tua pelle, il tuo portamento: nulla, irritazione, solo una gran brutta irritazione, potrei cancellarti con un tubetto di cortisone…
Il peggio è guardarti mentre ti convinci che il mio silenzio sia un buon segno e ti rassereni: nessuna discussione, nessun turbamento per te.
Mi sorridi anche e io ti strapperei ogni capello, ma mi torco le mani fino a sentire il dolore e mi trattengo.
Mi spaventa la violenza con cui vorrei scuoterti dentro, vorrei rapire il tuo cuore e insegnargli ad amare, quel vigliacco!
Non serve, ora so che non serve a niente. Sono solo pensieri buoni a riempire pagine per un romanzo che mai scriverò e nessuno avrà mai letto.
Allora, mi riscuoto e guardandomi intorno, ancora una volta mi accorgo d’essere sola,che tu non ci sei.
Quando torni, sarò la solita inutile donna che brucia dentro e si divora, mentre ti sorride con sguardo mesto.
Perché? Perché… Perché!
Let’s get it on…
Perché?
Il mondo intero è racchiuso in un perché, basta domandarlo, esclamarlo, sospenderlo, ma sta lì, tutto intero.
Ripenso ai miei perché, al mio grande punto di domanda su me.
A quando tutto cominciava a essere più netto e sfocato insieme; a quando un sorriso era un dono immenso e i sogni si disegnavano su altro da me, come un salvagente di braccia che mi salvasse dalla mia caduta in acque sempre più profonde.
Volevo un cuore che battesse col mio, ma niente è mai facile e ora capisco cose nuove che spiegano la confusione di allora.
Quando era troppo gentile, mi spaventavo e scappavo, e non capivo il mio terrore, poi guardavo oltre o mi isolavo in sogni nebbiosi. Quando era scortese, ma vicino, mi interrogavo e mi fidavo. Perché?
Perché….
Troppo facile la gentilezza che ti abbraccia e poi gentilmente ti lascia; chi ti guarda da lontano , ma non se ne va, ti morde, ma torna e poi piano piano gentilmente ti sfiora, forse resta. Forse chi non vuole volere, ma cede, resta.
Contorsioni del cuore, ma avevo ragione, un po’ avevo ragione senza saperlo. Per volermi davvero, bisogna che gli sbecchi e i bozzi siano lì, da guardare, pensare, decidere e carezzare. Avevo bisogno di essere voluta su tutto, su chi è meglio di me, solo perché non è me.
Vorrei poterlo spiegare a chi è tanto giovane adesso: avete il diritto e il dovere di amare ed essere amati per ciò che siete, ma non fatevi il torto cercando l’amore di non saper amare. Chi vi sta di fronte ha i suoi cocci rotti, i suoi spigoli all’ombra e se non c’è modo di vederli, niente da fare e se si vedono solo quelli, troppo male.
Ognuno salvi se stesso e il proprio cuore o lo getti in pasto al mondo e non lo richieda più indietro.
Che pulsi, che pulsi forte, pompando la vita fino all’ultima goccia di sangue.
Anche quando fa male, male come fa ora.