L’estinzione dell’ Eros (e la svendita del sesso)


L’erotismo è una spirale che sale verso l’alto come fumo che si perde tra i sogni appesi.  Il sesso che inizia e finisce per esprimersi in se stesso, è un segmento di scarsa immaginazione e poco intelletto. Il consumismo sportivo che viene assiduamente praticato, crea campioni del sesso ad ogni istante. Sprizzano come starnuti col raffreddore. Non c’è più tempo. Non c’è tempo per sfiorare col pensiero, solleticare il peccaminoso appetito. Sono corse di umani criceti sulla ruota di una vita che spreme e offre gadget su gadget di niente. Troppo distratti per l’amore. Per esplorare l’altro, scoprire il piacere e scartarlo piano, come un dono atteso, desiderato. Non c’è tempo per sognare i momenti da passare insieme, progettarli come il viaggio della vita, perdersi in ogni dettaglio per poi scoprire nicchie inesplorate e meravigliosie. Non basta una vita, perché la sprechiamo in cazzate su cazzate di frustrazioni e angosce. Usiamo l’ardore per odiare e incolpare senza vergogna chiunque, quando amare è un ormai un tabù e ben più intrigante. Donne appassite su romanzi che scottano ad ogni pagina, incomprese e trascurate. Uomini confusi che cercano conferme tra numeri di sesso che nessun circo propone. Io vedo giorni che scorrono come lacrime a un funerale, senza possibilità di ritorno. Sogni appesi che nessuna scala mi fa avvicinare. La mia pelle ha sete e ti allontano, perché ho bisogno da così tanto che la tua fretta mi ferisce. Non sono un gadget, sono una persona e vorrei che fosse ovvio. Per tutti noi. Vorrei essere vista. Vorrei che ciò che desidero e come lo desidero avessero un valore. Essere desiderata non mi basta. Non mi accende. Fanculo. A tutto e a tutti. Io mi appartengo, mi proteggo. Valgo anche quando sono invisibile. La nebbia copre e nasconde, non cancella. Aspetto un giorno di sole.

Ricominciare


Dalle tue parole asciutte ho capito: una folata di vento e si sono serrate finestre e porte, per poi sbattere ad ogni insulto, ancora e ancora. Sbam, Sbam, Sbam!
Ti ho guardato dormire , il tuo volto sul cuscino, mai sereno, neanche nel momento del riposo.
Guardandoti ti ho odiato e dopo anni di immobilismo, come un prurito impossibile da lenire, ho sentito il bisogno imperioso di alzarmi subito e gettare le mie cose in due valigie. Ho pensato di lasciarti così, senza parole, ormai sono state spese tutte, ma per avere la certezza che tu capissi subito, ti ho scritto due righe.
Vado per non tornare, perché qui non c’è nulla per me, nessuno. Fai ciò che ti pare.

Col cuore in gola ho cercato il primo treno che mi portasse a casa, la prima che ho chiamato tale. Per niente al mondo sarei tornata lì, ma avevo bisogno di una base da cui ripartire.
Seduta tra quei volti stranieri, ho sentito un’emozione intensa, un solletico intimo, la paura e la gioia di nuove opportunità.
Non mi importava nemmeno ciò che mi avrebbe detto mia madre. Sono adulta, posso decidere e ho il diritto di cadere. L’hanno fatto tutti nella mia famiglia, è un tratto distintivo. Ora, è il loro turno di aiutarmi.

Con questa convinzione mi ritrovo sull’uscio di casa, tremante e indecisa. Sto solo rimandando un confronto che mi disturba.
“Pensi di restare lì per molto o hai intenzione di farmi compagnia per un bel coffee come piace a noi?” Esordisce mia madre aprendo la porta senza battere ciglio, né prendere respiro. Mi commuovo un momento, per la traccia di tenerezza che c’è sempre per me, nonostante il tono burbero.
Provo a parlare, mi rassegno invece al mio essere fragile e mi tuffo tra le sue braccia, in cerca del suo odore e della forza che ricordo da sempre. L’invecchiare l’ha resa ancora più stoica nel contrasto tra il corpo più gracile e un’aura di sicurezza che appartiene solo a chi ha superato le sue battaglie. Vinte e perse.

La cucina odora di caffè come sempre. Sto per rimproverarla, perché ne beve troppo davvero, mi limito a rilassarmi e recuperare finalmente quel respiro che credo di aver trattenuto per una decina d’anni.
Mi guarda, lasciandomi il tempo di ritrovarmi e intanto sento tutte le sue domande, come se avessero preso voce. Continuo a respirare caffè in attesa che la moka  produca nuovo nettare nero.
“Non torno indietro mamma.” Sento il bisogno di chiarire subito.
“Lo so. Speravo non fosse così grave. Sai che è un brav’uomo. C’è sempre stato per te, ha lavorato per te.”
Sto per saltare sulla sedia e urlare, soprattutto perché è vero, detesto di essermi ridotta a lavorare in casa per anni, senza aver costruito nulla. Per una vita di coppia in cui il mio valore si è svalutato ad ogni minuto.
“Questa è una scelta che abbiamo fatto in due e che ha funzionato per anni. Ovviamente, il problema adesso è mio. Chi mi assumerebbe? Per fare cosa?”
Mi prende un senso di disperazione. Ho il terrore di non potermela cavare.
Mi madre si schiarisce la gola, seccata. “Intendo dire che è un brav’uomo, ma non è l’uomo per te. Se mi concedi, troppo arrogante, seppur generoso. Non sono convinta che ti abbia apprezzata davvero, al di là dell’attrazione fisica. Questo mi è sempre sembrato evidente.”
Ha ragione. Lo volevo perché gli piacevo, ma del mio carattere sopportava poco o niente. Delle mie idee era contento solo se avvaloravano un suo pensiero. Il suo ego o meglio, le sue insicurezze erano troppo per lasciarmi posto. C’è sempre stato il mio bagaglio ingombrante, il mio dolore, la mia storia. Un ingombro di cui non tener conto.
“Il problema è che quando faceva lo stronzo io perdevo ogni interesse per lui. Poi, un gesto carino, un po’ di attenzioni e mi sentivo di nuovo presa da lui. Un’altalena che ci ho messo troppi anni a detestare. Non provo più rispetto, non mi fido di lui. Non è limpido e per fare come crede meglio, omette molte cose. Insignificanti, ma per me fondamentali. Lo trovo manipolatore. Forse solo troppo presuntuoso.”
Restiamo in silenzio per il tempo di sorseggiare il caffè.

So di aver preso la decisione giusta. Guardo fuori dalla finestra. Molte cose sono cambiate da quando mi affacciavo bambina, con la mente carica di sogni e aspettative e un bisogno disperato di appartenere.
Ho deciso di appartenere a me stessa, come mai prima.

Lo strappo


Non l’opera d’una lama che ti offende nella carne, crudele e vendicativa, ma una logorante tensione che tira , impietosa e non desiste. Insensibile alla tua pena, indifferente al tuo dolore. Tira e tende, fino allo squarcio, fino a che la tua pelle si laceri maldestramente. Inutile ricucire lembi che mai più combaceranno. Tuttalpiù lo strappo si cela.

risvegli e incubi


i tuoi occhi
oltre me
vivono
lontano,
da me

mi batto il petto,
grido
mi graffio
scalpito
piango

come fosse
normale
spazi (tu),
nel mondo
ti basti

nel buio sento
braccia forti
strette
al mio petto,
fantasmi

parlo,
non senti
guardo,
non vedi
lascio

ciò che ero
non sarò,
il cuore spento,
un fioco
desiderio

non si cancella
non si riparte
solo avanti
a spinte,
a inciampi

errori?

sogni grandi!

per umani

piccoli

nulla

di carne

sangue

e ossa

troppo

fragili.

Per sempre e poi basta


Per un istante, un momento solo, l’abbraccio amoroso, tenero, annientante. Tra le braccia il mio rifugio, nel respiro la promessa, nella spinta la salvezza. Piccola, indifesa, presa. Illusione e bisogno, la resa totale, cadere per non morire. Giorno in giorno, passa tutto e scorro, mi trasformo. Nel petto stretto il ruggito, mentre belo il mio lamento e non perdono. Ho sbagliato e non perdono, ho perso troppo tempo. Ti guardo dormire, so chi sei e mi pento, mi detesto. Seppelisco cuore e radici e mentre affondo sogno. Rifugio di braccia, respiro di vita , mano che stringe la mia. Non mi trovo e corro ancora, tra vicoli più lunghi e bui. Tutto mi assale e nulla si posa, ho spalle affrante. Tu eroe, tu conoscitore, remi in vasca. Dove andrai senza mare? Apri la porta di casa. Scorre dentro, tra flutti in tempesta e dighe ferme. Tra il battito impazzito e la gabbia sul petto. Finché respiro, finché vivrò e poi pace.

Il vuoto contorno del cuore


viaggiano sui sogni più alti,
sussurri inuditi,
gemiti inespressi,
fremiti persi
nell’attesa,
abbandonati.

incolmabili distanze,
ti guardo in silenzio,
non c’è ponte
sullo stretto
che scorre
e lento ci muore.

l’ansia mi assale,
è il mio segreto,
fra gli altri,
nello scompiglio
claustrofobico,
empirico cassetto.

rido e sospiro,
sono il caso clinico,
modello perfetto,
il vuoto che trae
abbraccio ferito,
tutto rigetto.

non mi conosco,
non ti voglio,
mi rinnego,
fai male,
così male,
diluvio infernale.

mi muovo su note,
scorro tra parole
di dolore,
bisogno,
lucido cuore
laccato su vetro.

Nonna


mi avvolge di te l’odore e torno in sale abbandonate,
bambina che corre tra le stanze,
nel tempo che non è più.

posso quasi toccare il legno scuro e tracciarne le rughe,
come le tue che a me parevano gemme,
a te parolacce.

la pace che trovo, il groppo in gola e l’abbandono,
non è più e il mio attaccamento?
come fumo tra la nebbia.

non c’è più nulla, spazzate via le stanze, i volti,
perso tutto di mano in mano,
neanche una fotografia.

ho sognato forse il sole sulla pelle? le foglie..
storie e libri di altri giorni e le emozioni
ancora posate, lì.

Ho il ricordo, solo le voci e gli odori,
come abiti e naftalina, da riporre,
per conservare.

 

Mal(incon)ìa


Malinconia è il senso di perdita,
tornare a un luogo,
a un dove di nebbia.

Malinconico il mio cuore
che aspetta e stringe
un impossibile dolore.

Nostalgico abbandono,
i sensi in allerta,
mani aperte sul vuoto.

Una brezza lontana,
un odore antico
risata argentata.

Sarà il volto perso,
il calore di un corpo,
un altro universo?

Malinconia è la certezza,
dell’unico amore
l’immutabile perdita.

Rumble mumble


Rumble, il dottore dice, nessuno tace e sogno il mondo in voci strane.
I colori distinguono le bugie e tutto appare così limpido, certo, se sei verde appassito, è evidente!
Mi cullo nel sonno, anche se piango e poi mi sveglio, senza più trovare pace.
Tre ore per notte a stordirmi di parole, tra le righe romanzate partorite da qualcuno, per non essere me.
Gli occhi gratinati dietro le palpebre ed è un giorno nuovo e sempre uguale, dove le speranze sono miraggi.
Se solo parlasse la pelle, sarebbe tutto più facile.
Se solo ti stendessi su me e mi vedessi, e non dovessi più temere, tutto ciò che serve, che manca, che non risolvi e non so cambiare.
La musica pompa il sangue, respiro e canto.
Non si può rifare, mai niente, tutto è segnato e scritto.
Nulla rimane lo stesso e tutto può cambiare.
Posso affrontare tutti gli ostacoli, saltarli e passarci sotto e ti do la mia parola che li prenderò a calci, per andare avanti.
Non so scavalcare i muri che hai eretto intorno e la spazzatura che non vuoi gettare via.
Sempre a un braccio da te, non sei il mio migliore amico e non capisco che amore puoi significare.