È tempo di decidere


L’odio ha uno scopo e provoca un’onda che si alimenta di ogni increspatura. Alimenta lo scontento, lo provoca e cresce di onda in onda. Travolge dove passa e conquista, annegando e travolgendo chi si pone sulla strada. L’ignoranza è il suo servo fedele, la pigrizia la sua puttana sbilenca. È ora. Non ci si può più confondere tra i forse e non so. C’è il male e il bene. Non in chiesa, né nella fiaba. C’è il male quando ridi a quella battuta sessista, omofoba, razzista. C’è il male quando voti per un favore, per un beneficio individuale e chi se ne importa degli altri. C’è il bene quando leggi e ti informi ogni giorno, quando ti confronti e difendi la verità. C’è il bene quando aiuti nel bisogno anche se ti costa. Nessuno è migliore per la sua nascita, collocazione, genere. C’è solo il valore dell’azione. Siamo un mondo di pingui ossessionati. Quello, gli altri sono nemici che cambiano sempre nome, ma vogliono togliere il lavoro, la libertà, il benessere che neghiamo di avere. È ora. Donne con la gente Lgbtq+  con ogni fede e intonazione di pelle. Solo un colore a condanna: arancione pelle.

Altamente sensibile si nasce


In quanto altamente sensibile, da bambina ogni promessa era certezza, finché veniva delusa e ogni incontro motivo di grande emozione. Adoravo le cene con altre persone, sempre adulte perché i miei non hanno mai cercato amici con figli. In ogni caso, ne ero felice, perché anche i miei erano più sereni e piacevoli in quelle occasioni e non mi stavano addosso e non potevo nemmeno essere troppo ignorata. Eppure il vociare diventava un caos rumoroso e sempre, puntualmente esaurivo le energie, fino a crollare addormentata. A casa di altri, in pizzeria… Mi giustificano perché ero piccola, non è mai cambiato in realtà. Ho dovuto dopo, sforzarmi di partecipare con cordialità ed entusiasmo anche se mi sentivo sfinita. Nessuno capiva che non ero mal disposta, anzi, semplicemente esaurivo le energie di colpo. Dopo aver parlato come una mini adulta con tutti, con vero mia grande soddisfazione. Guai però a cambiare umore. Oggi so che non era proprio colpa mia. Tuttora mi stanco allo stesso modo, purtroppo anche dopo una giornata che mi entusiasma e magari anticipavo da tempo. Il sovraccarico sensoriale, il tripudio di emozioni, voci colori, mi esaurisce. Semplicemente. Mi basta avere un paio d’ore di silenzio e sto benissimo. Il problema è stare con persone che lo rispettino. Si passa per delicati, pigri, scontrosi, folli. Per ore ti vedono ridere e scherzare e di colpo, di colpo, sei una pezza. Ti senti uno straccio e lo sembri. Nessuno capisce cos’hai. Nemmeno tu. Finalmente, ci sono studi e ricerche serie su queste caratteristiche. Le persone altamente sensibili hanno caratteristiche comuni, mantenendosi diverse nel carattere e modo di agire e reagire nella vita. Non intendo io spiegare nulla, non essendo competente. Sono solo una persona che si è sempre “sentita e vista” senza darsi un collocamento. Da adolescente cercavo “il mio posto”. Da bambina i miei “veri genitori” , perché per me era impensabile fossero tanto distanti da me. Da adulta mi sono rassegnata a cercare un senso di me nell’evasione della mente, per me vivere reale, tra leggere e scrivere. Sono una donna altamente sensibile e anche se nel mio quotidiano nessuno mi capisse, so di non essere sola. Finalmente!

Intro in verso (dell’introverso)


D’ introverso mi vesto e mi spoglio. Di sorrisi e parole che sgorgano. Bisogno di te e risa. Lasciami sola un giorno, anche tre. Cercami e ascoltami, ma non interrompere. Ti osservo, ti vedo e conservo. D ‘introverso mi vesto e mi abbiglio. L’introverso che amo in me.

 

 

Ricominciare


Dalle tue parole asciutte ho capito: una folata di vento e si sono serrate finestre e porte, per poi sbattere ad ogni insulto, ancora e ancora. Sbam, Sbam, Sbam!
Ti ho guardato dormire , il tuo volto sul cuscino, mai sereno, neanche nel momento del riposo.
Guardandoti ti ho odiato e dopo anni di immobilismo, come un prurito impossibile da lenire, ho sentito il bisogno imperioso di alzarmi subito e gettare le mie cose in due valigie. Ho pensato di lasciarti così, senza parole, ormai sono state spese tutte, ma per avere la certezza che tu capissi subito, ti ho scritto due righe.
Vado per non tornare, perché qui non c’è nulla per me, nessuno. Fai ciò che ti pare.

Col cuore in gola ho cercato il primo treno che mi portasse a casa, la prima che ho chiamato tale. Per niente al mondo sarei tornata lì, ma avevo bisogno di una base da cui ripartire.
Seduta tra quei volti stranieri, ho sentito un’emozione intensa, un solletico intimo, la paura e la gioia di nuove opportunità.
Non mi importava nemmeno ciò che mi avrebbe detto mia madre. Sono adulta, posso decidere e ho il diritto di cadere. L’hanno fatto tutti nella mia famiglia, è un tratto distintivo. Ora, è il loro turno di aiutarmi.

Con questa convinzione mi ritrovo sull’uscio di casa, tremante e indecisa. Sto solo rimandando un confronto che mi disturba.
“Pensi di restare lì per molto o hai intenzione di farmi compagnia per un bel coffee come piace a noi?” Esordisce mia madre aprendo la porta senza battere ciglio, né prendere respiro. Mi commuovo un momento, per la traccia di tenerezza che c’è sempre per me, nonostante il tono burbero.
Provo a parlare, mi rassegno invece al mio essere fragile e mi tuffo tra le sue braccia, in cerca del suo odore e della forza che ricordo da sempre. L’invecchiare l’ha resa ancora più stoica nel contrasto tra il corpo più gracile e un’aura di sicurezza che appartiene solo a chi ha superato le sue battaglie. Vinte e perse.

La cucina odora di caffè come sempre. Sto per rimproverarla, perché ne beve troppo davvero, mi limito a rilassarmi e recuperare finalmente quel respiro che credo di aver trattenuto per una decina d’anni.
Mi guarda, lasciandomi il tempo di ritrovarmi e intanto sento tutte le sue domande, come se avessero preso voce. Continuo a respirare caffè in attesa che la moka  produca nuovo nettare nero.
“Non torno indietro mamma.” Sento il bisogno di chiarire subito.
“Lo so. Speravo non fosse così grave. Sai che è un brav’uomo. C’è sempre stato per te, ha lavorato per te.”
Sto per saltare sulla sedia e urlare, soprattutto perché è vero, detesto di essermi ridotta a lavorare in casa per anni, senza aver costruito nulla. Per una vita di coppia in cui il mio valore si è svalutato ad ogni minuto.
“Questa è una scelta che abbiamo fatto in due e che ha funzionato per anni. Ovviamente, il problema adesso è mio. Chi mi assumerebbe? Per fare cosa?”
Mi prende un senso di disperazione. Ho il terrore di non potermela cavare.
Mi madre si schiarisce la gola, seccata. “Intendo dire che è un brav’uomo, ma non è l’uomo per te. Se mi concedi, troppo arrogante, seppur generoso. Non sono convinta che ti abbia apprezzata davvero, al di là dell’attrazione fisica. Questo mi è sempre sembrato evidente.”
Ha ragione. Lo volevo perché gli piacevo, ma del mio carattere sopportava poco o niente. Delle mie idee era contento solo se avvaloravano un suo pensiero. Il suo ego o meglio, le sue insicurezze erano troppo per lasciarmi posto. C’è sempre stato il mio bagaglio ingombrante, il mio dolore, la mia storia. Un ingombro di cui non tener conto.
“Il problema è che quando faceva lo stronzo io perdevo ogni interesse per lui. Poi, un gesto carino, un po’ di attenzioni e mi sentivo di nuovo presa da lui. Un’altalena che ci ho messo troppi anni a detestare. Non provo più rispetto, non mi fido di lui. Non è limpido e per fare come crede meglio, omette molte cose. Insignificanti, ma per me fondamentali. Lo trovo manipolatore. Forse solo troppo presuntuoso.”
Restiamo in silenzio per il tempo di sorseggiare il caffè.

So di aver preso la decisione giusta. Guardo fuori dalla finestra. Molte cose sono cambiate da quando mi affacciavo bambina, con la mente carica di sogni e aspettative e un bisogno disperato di appartenere.
Ho deciso di appartenere a me stessa, come mai prima.

Pentirsi di tutto e non cambiare niente


Quando la tua vita l’hai data, in tutti i sensi e non la puoi riprendere, perché non si toglie.
Non conta la mancanza di un grazie, di uno sguardo ammirato, non conta nulla.
Hai fatto le tue scelte e ne sei pentito, bene: ma non conta niente.
Si sceglie. Sempre.
Restare o andare? Cambiare o restare?
Restare, restare…
Vale più la vita di uno o il benessere del gruppo, clan, famiglia?
La storia parla da sé: sopravvive sempre solo il gruppo e il singolo vale in quanto eroe o tiranno solo quando sposta, smuove le masse e le ricompone. Vale solo in base al valore che la massa gli concede.
Martirio, vittimismo?
Il ruolo di chi depone il bisogno in sé per la sopravvivenza del nucleo, qual è ?
Una forma di egoismo, di conservazione del rispetto di sé, della propria morale, fastidiosissima, ma trave portante dell’affermazione delle parti deboli, i figli per esempio.
Consapevolezza, pazienza, tolleranza e un pozzo di infelicità nero e profondo.
Un biglietto per il paradiso?
Macché !
Nessun paradiso per chi mal sopporta, per chi non apprezza con devoto servilismo il proprio perire verso la china di un’esistenza delusa.
La gente è quel che è, si cambia e si rimane riconoscibili.
Il rischio e risultarsi intollerabili.
Mettere delle virgole e poi dei punti e virgola e infine quelle distanze diventano tre punti sospesi.
Vedere, guardare a fondo e capire che non ci sono più parole, perché puoi urlare, cantare, piangere, ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.
La volontà dell’altro è un muro di gomma che ti sfianca e a un certo punto ti fermi, ti siedi e rimani lì di fronte.
La vita è così. La realtà, la verità è dura perché l’essere umano è prevaricante, arrogante e narciso. Non c’è mai un’equità di potere, in nessun caso. In un’armonica convivenza immagino coesistano flussi di potere, che rendano la bilancia stabile nel suo oscillare.
La gioia di un essere umano esiste in quanto si viene riconosciuti importanti, affettivamente e intellettualmente.
Ognuno di noi deve amarsi, è tacito, si convive con sé dall’inizio alla fine eppure non basta, non è nella natura dell’essere umano.
Siamo fatti per dare e ricevere certo, ma ci è fondamentale lasciare una traccia di sé, che sia prevaricando e calpestando l’altro, che sia porgendo e sostenendo.
Il mondo va avanti lo stesso, sempre. Con o senza di te. Il più gran conforto (sarebbe altrimenti una responsabilità immane) e la crudeltà più tagliente. Il mondo non ha bisogno di te, ma puoi fare la differenza, per qualcuno la farai. Anche se sarai infelice.

Immobile fuggire invano


Straordinario è per me l’ordinario,
Io stabile nel quotidiano.
Ogni parete che mi sorregge freme,
ad ogni passo allungo lo sguardo,
corro lontano, scappo,
col pensiero evado.

Non è straordinario?

Resto e conto il tempo slittare,
non è che uno sfiorare la mano,
guardo l’orizzonte come allora,
una meta all’infinito,
troppo doloroso sperare
un bagno di luce.

Abbasso lo sguardo e aspetto.

Che il mondo finisca con me,
che io svanisca tra i giorni cupi?
C’è tutto ancora, dentro stipato,
ho solo capito la nozione:
ogni donna ha il suo dolore,
ogni uomo un portone .

C’ero, da qualche parte, in qualche dove.

Mille corde tese


Ci sono corde tese, tra le braccia e i rami,
ci sono foglie verdi che coprono le mie mani,
le mie membra esposte tra le corde e i nodi
i tendini saltano e si arricciano,
verrai? saprai salvarmi?

Il vento soffia e suona il mio tormento
ogni corda che vibra io soffro
non puoi sollevarmi, non sai trovarmi?
dondolo e grido e piango imprecando
mi spezzo, mi spezzo!

Mille corde tese tagliano la carne
scorre il fluido vitale, scorre scarlatto
abbasso il capo e osservo la pozza
ai miei piedi si raccoglie
rossa di sangue si rapprende.

Sento i tuoi passi lontani
ti ho chiamato fino a sgolarmi
ma non ascolti
e ora resto qui, appesa
tra questi rami di vita
sospesa.

 

Tu ed io e poi nulla


E se tu …
nulla, ti dico nulla, non importa, perché importa troppo.
Non lo capisci?
Mi nascondo in me.
Fuoco e ombra, tutto mi avviluppa e mi torce, dentro.
Sto dicendo addio.
Sto salutando ogni tremito, ogni vibrazione che percorre la mia pelle.
Addio le mie labbra, così protese sul vuoto, su uno strapiombo di incertezze.
Un freddo che mi invade la mente e chiude tutto.
Ogni serranda che cade fa un rumore secco
e io mi spavento.
Se ti dico che so che non mi ami e non accuso,
tu mi dici stupida, che forse è ciò che cerco.
Non lotto più, non lotto per le bugie.
Non cerco illusioni, né dolci sonni.
Voglio un abbraccio stretto, una mano che stringe,
non piangere più, niente più lacrime.
Non per te, lo so, non sono così buona.
Piango l’addio, le scelte, la fine di cose belle.
Non era per me.
Lo sapevo, forse, volevo, ma
Sapevo.
Ce l’hai nel cuore, quel poco valore,
quel poco più di niente e sai che si vede.
Ci cresci assetata d’amore, di calore.
Si vede, si sente.
L’amore che non ti copre in culla,
ti mancherà sempre.
Sarai un vampiro che brama,
una sete che non si estingue.
Mentre le cose quotidiane mordono,
io aspetto un ritorno, un segno.
La vita è occuparsi di cose banali,
carnali certezze, santi noiosi oneri.
Passano i giorni, le stagioni.
Passano e travolgono e prendono
i miei tesori cari, i miei fragili appigli.
Guardo te, perché ci sei, mi dico ci sei.
Tu che mi ignori, che ti volti e aspetti
che mi vesta di certezze e oneri.
Addio alla passione, addio cuore,
addio alle canzoni, alle risate,
alle promesse da mantenere, da deludere.
Addio a me che mi accusi di essere triste.
Lasciami la tristezza per sapermi viva.

Creatura


E perciò ho saltato.
Lo so, sarei potuto uscire dalla porta, ma dovevo rovinare sul cespuglio di rose maledetto.
Non ce la facevo più, c’è poco da spiegare. Ho perso la testa, mi sono infilato le scarpe e la giacca e … ho saltato.
Mi sento stupido, mentre perdo la forza della disperazione e i muscoli iniziano a rallentare.
Sono contratto, dentro e fuori.
Conficcare le unghie nel tronco dell’albero su cui mi appoggio, mi fa sentire più saldo.
Che poi si stiano spezzando, mi dà più sollievo.
Sollevo la mano e incantato osservo il sangue che scorre.
Non resisto e scorro con la lingua il contorno delle mie dita, raccogliendo il nettare prezioso.
Rosso.
Vedo rosso e il sangue pulsa potente nelle vene.
Ho un solo richiamo e lo seguo.
Corro, senza tempo, senza meta, corro e non sento le suole aprirsi sotto le piante dei miei piedi scorticati.
Corro tra i crampi, sobbalzo, cado e riparto, in realtà non mi fermo, neanche inciampando, mi spingo sulle mani e riprendo velocità.
Sento il sudore asciugarsi sulla pelle, lo sento freddo, rabbrividisco, dal contrasto col calore che mi brucia dentro.
Sono imbrattato di fango e corro, sento le spine conficcarsi nei piedi, sento la pelle lacerarsi e corro.
Di colpo, senza preavviso, il fuoco che mi divora si spegne e io semplicemente crollo, sul posto.
Per la prima volta, da quando sono impazzito, mi guardo intorno.
E’ buio, un buio livido, un grumo di sangue rappreso, nero.
A proposito di sangue, sollevo le mani e rabbrividisco: molte delle mie unghie sono saltate, strappate, altre spezzate e sollevate. Non scorre più sangue, è rappreso, come un guanto a coprire le mie mani.
Come le vedo, mi chiedo?
So che è buio, eppure vedo il mio stato di disgrazia.
Fa freddo?
Non lo so nemmeno.
Mi raccolgo, chiudendo le braccia intorno alle ginocchia intorpidite.
Sollevo lo sguardo al cielo.
Ho bisogno di risposte.
Cerco un senso, mentre anticipo il panico che sta montando in fondo al petto.
Non mi chiedo più chi sono, mentre passo la lingua sulle punte delle mie… zanne.
Cosa sono?

 

Nella verità c’è tutto ciò che non rimane


Ti regalo uno scorcio di paradiso, un piccolo frammento di solletico, di viscere aggrovigliate.
Mi sostengo su pilastri di foglie secche, rami spezzati e speranze disattese, ma… resto in piedi.
Guardo il mondo da dentro, guardo la gente da fuori e mi ritrovo fuori centro.
Piccole sottigliezze che non colgo, stupide meschinità da svelare, con un colpo di vento.
La verità, la ribellione alla menzogna è un potere che bombarda, la prima libertà negata, in ogni contesto e pubblica comunione.
Io contesto.
Contesto e non polemizzo, contesto e non mi faccio strumento, chiedimi e avrai solo verità, tanto che mi spaventa.
Chi sei allo specchio? Chi sei tu, donna?
Abbraccio gli oneri e le responsabilità come la ruota che gira e girando porta la vita in moto.
Vivo tra le parole, tra le immagini che la mente disegna a capriccio. Sono io, mi puoi toccare, mi vedi tra i sospiri, le attese e le emozioni che premono?
Solo il tempo, il tempo che porta via, che trascina e volta le pagine… non torna indietro, nessun istante.
Il domani è lì, immobile ondulante nel sua fissità, inafferrabile e prevedibile, traditore sempre. Sorprendente, a volte.
Ho giocato le mie carte, male. Le ho giocate e non sono capace. C’è chi alza un sopracciglio, chi si morde le guance e io sto lì, composta e sorridente, a meno che non incominci a borbottare stralci di sincere imbarazzanti elucubrazioni.
Allora, portami via, portami un po’ lontano da me, da te e da loro tutti, che non voglio dimostrare nulla di me, non capisci che non me ne frega niente?
Fammi dimenticare noiosissime faccende quotidiane, le lotte senza vincitore.
Dov’è il sorriso che si è perso e le antiche risate?
La passione sfuma e si disperde nel soffio di troppe menzogne, piccole, sì, piccole, ma feriscono di meno?
Nel cuore solo canzoni e cieli aperti, due occhi in cui trovare un senso.
Scrivere, battere sui testi e gettare un po’ di vento fuori da questo cervello.
Un prurito da grattare, una sete da placare, sensi assopiti che chiedono di bruciare, bruciano tra le parole, tra le storie mai vissute, o in parte, o chi lo sa.
Non c’è modo migliore per restare che vagare lontano, senza recinti, senza muri che contengano.
Sarò in pace, un giorno riposerò col resto del mondo il sonno senza ritorno, sarò allora la moglie, la madre e un’immagine irreale da mostrare.
Le mie parole saranno dimenticate, i miei sogni perduti. Le mie storie orfane saranno abbandonate nell’oblio del futuro e chi mi avrà mai conosciuto?
No, sono sicura che non mi ami e questo mi disamora.