Si Era


C’erano giorni di pioggia, da correre, il volto al cielo.
C’era un sole da scaldare la pelle, ogni odore e colore acceso.
Si coglievano i soffioni per spargerli in cielo;
si correva su colline per rotolare tra le risate.
C’era odore di cocco e mare, alghe e sale.
C’era la neve e scarponi per sciare.
Si scriveva sui diari le canzoni per amare.
Si prendeva un aereo per non tornare.
C’erano notti da ricordare e anonimi incontri.
C’erano momenti per piangere e sospirare.
Si sognava e imprecava tra lacrime sangue.
Si era piccoli battiti ribelli con anime grandi.

Come si spezza un cuore


Come puoi smettere di sanguinare dal cuore?
Come frenare il crollo di ogni illusione?
Precipitano come massi i sogni e non fanno rumore.

Spiegami, come fa un cuore a spezzarsi
senza che si senta il fragore?

Come steccare ali piegate dal dolore?
Come toccare anime partite?
Sono petali che s’alzano dal mio cuore.

Spiegami come fa un cuore a spezzarsi
senza che si senta il fragore?

Come fermare l’odore della passione?
Come immergersi nel tepore?
La pelle freme, ha sete, ma non si vende.

Come fa un cuore a spezzarsi
senza che si senta il fragore?
Spiegamelo, spiegami come fa
un cuore senza clamore.

 

 

Frammenti d’estate


L’odore di mare e di limoni tra gemme di luce spezzate,
fra fronde in tempesta e chiome spettinate.

Piedi scuri di meraviglia e unghie imperlate
di troppo bianco, troppo candore.

Il mare che gioca a nascondersi, tra case, colline,
si veste d’argento e ride brillante.

L’odore di cocco infestante, sensuale, pesante,
su pelli oleate, da cuocersi al sole.

Cosce , addomi e braccia esposte, di forme, colori
tutti nuovi di vita da usare.

Sguardi, sorrisi e odore di pizza, ovunque,
la sera tra musica e palpiti accelerati.

Sogni grandi, veloci e fugaci da sciogliere
come ghiaccio nel caldo d’estate.

Il villaggio. Il bacio


“Fermati Kajey.”
Il ragazzo si immobilizzò in assoluto silenzio.
Berta si strinse forte a lui e chiuse gli occhi. Si concentrò e sondò, la sua mente spaziava e incontrava sensazioni diverse. Gli animali stessi erano in subbuglio.
Sospirò, quando incontrò la forte energia che aleggiava intorno a casa sua. Erano lì.
Sussurrò appoggiando le labbra all’orecchio di Kajey.
“Sono a casa, non posso andarci ora, sentirebbero che sono forte.”
Kajey si sentì percorrere da una scossa che lo attraversò dalla nuca alle dita dei piedi, un forte imbarazzo lo colse. Il suo corpo lo tradiva, era davvero un animale? Il corpo di Berta sulla sua schiena, il suo peso era confortante, la sua morbidezza languida, la sua stretta possessiva. Non poteva resistere?
“Kajey, cosa facciamo?”
“Conosco un posto. Tuo padre capirà, lascerò un segno e passeremo la notte altrove.”
Per un istante le strinse le gambe al proprio corpo e fu difficile trattenere ogni istinto che gli lacerava le viscere.
Prese un respiro profondo e corse, corse come solo un animale notturno sa fare, senza traccia. Nessun suono tradiva la sua presenza.
Fece un salto preciso a terra e adagiò con delicatezza Berta.
Lei lo guardò e per un momento i loro sguardi fermarono il tempo. Il battito del cuore era l’unico segno che la vita scorreva.
tum- tum tum- tum
Kajey sollevò una mano e con le dita leggere tracciò il profilo di Berta. Lei sospirò e sorrise e lui non capì come, ma seppe con certezza che il suo mondo era cambiato per sempre. Il suo cuore era migrato in un altro petto e per quel sorriso dolce e onesto avrebbe fatto ogni cosa in suo potere, per sempre.
Le sorrise e le prese la mano.
Camminarono fino ad un albero cavo.
Tirò fuori un sacchetto di velluto e vi introdusse un sasso; poi lo richiuse e lo ripose al suo posto.
Riprese la mano di Berta e per una sera decise che si sarebbe concesso di essere solo un ragazzo.
Berta sembrava avere capito, perché era pronto a giurare che il suo sguardo riflettesse tutto ciò che lui stesso provava.
Correvano e a all’imprvviso Kajey la prese e sollevandola si spinse con un salto particolarmente potente sul terzo ramo di uno degli alberi più alti.
Lei ansimava  e stringeva le palpebre, le braccia attorno al suo collo, il suo volto nascosto nel suo petto. Kajey provava emozioni nuove e non capiva come mai si sentiva come se il suo cuore fosse esploso per poi rinascere più forte.
La strinse a sé, abbassò il capo e appoggiò le labbra sulla sua testa. Profumava di primavera, di estati passate a pescare e di cose nuove, calde e morbide.
Si adagiò e si limitò a cullarla appoggiandosi al tronco.
Berta alzò lo sguardo e gli sorrise ancora.
Kajey non si capacitava di come le rispondesse automaticamente. Non era abituato a sentire le sue guance contrarsi così.
“Finalmente, eh?”
“Cosa intendi Berta? Mi aspettavi?”
Lei sorrise di più e prese a passare le dita tra i suoi capelli, facendogli venire brividi in ogni centimetro di pelle.
“Kajey… Mi hai seguito, mi hai osservato e io ho aspettato. Però, ad essere onesta, io ti ho sempre aspettato.”
“Ho pensato che tu per un po’ avessi avuto un certo interesse per mio fratello.”
“Lo adoro! Non dubitarne mai.”
Non era certo di capire, una sensazione sgradevole gli inacidiva la gola.
“Kajey? Non vuoi fidarti. Mi chiedi di fidarmi di te, ma non vuoi fare lo stesso con me.”
“Io voglio fidarmi.”
“Allora, ascolta quello che provi e lascia perdere per una volta i ragionamenti. Non si applicano a queste cose e di certo non si applicano a me. Io sono al di fuori di ogni razionale pensiero. Lo capirai.”
Fece l’occhiolino e si abbassò su di lui.
I loro volti erano così vicini che non era possibile guardarsi negli occhi.
Le sue labbra erano rosse e morbide. Kajey voleva, voleva come mai aveva voluto in vita sua.
Respirava il suo respiro caldo e un po’ di imbarazzo lo fece arrossire. Lei poteva sentire la sua durezza?
“Va tutto bene Kajey.”
Gli prese il volto tra le mani e lui tremò violentemente, bevve ogni sua parola che si posava direttamente sulle sue labbra.
L’istinto prevalse sulla mente e le sue mani scesero ad afferrarle i fianchi, pressandola a sé mentre le sue labbra si posavano per la prima volta su quelle di Berta, per la prima volta sulla bocca di qualcuno.
La perfezione. La più intensa e distruttiva sensazione che avesse mai provato. Era disperso in un milione di frammenti e si sentiva completo, finché stava sulle sue labbra avrebbe avuto un senso.
Il suo sapore era il migliore che si potesse immaginare e non resistette al bisogno di passare la lingua su quelle labbra setose.
Berta ansimò e dischiuse la bocca e Kajey si perse completamente.
In quella bocca bevve, ogni respiro e ogni ansito, ne andava della sua vita.

Il villaggio. Vertigini e battiti del cuore


Il vento soffiava impetuoso ormai da giorni e le zie l’avevano lasciata in pace. Sembrava che avessero perso interesse, ma Berta sentiva il loro sguardo su di sé ad ogni movimento e la loro presenza sfiorava ogni suo pensiero.
La cosa migliore era essere riuscita a dormire, le sembrava di essere rinata, aveva in corpo un’energia impressionante e aveva stentato non poco a nasconderne la potenza.
Se cambiava stanza, lì c’era Crumbs con lo sguardo omicida e il sorriso sadico; se usciva, sentiva la presenza di Dust ai limiti della coscienza e per quanto la zia celasse la propria presenza, Berta ne era consapevole; Ash la cercava, bussava alla sua porta e la osservava, erano pretesti fragili, sembrava avesse necessità di interagire con lei, apertamente.
Il comportamento della maggiore tra le zie, l’aveva impensierita: era la classica nota stonata.
Il cielo era scuro e non sarebbe stato possibile stabilire il momento del giorno con uno sguardo al cielo, era un crepuscolo perenne.
Con un brivido di anticipazione si alzò il bavero della giacca del padre e a capo chino aumentò il passo.
Una sagoma le piombò all’improvviso davanti e per poco non gridò come una fanciullina qualsiasi.
Stringendosi il pugno sul petto guardò il ragazzo che le sorrideva divertito.
“Pensavo che mi avessi percepito.”
Il sottinteso era chiaro.
“Dubbi su di me? Proprio adesso?”
Lui scosse la testa, per un attimo dispiaciuto, ma rialzò con convinzione il mento e le puntò lo sguardo addosso.
“Non ho dubbi, ho bisogno che tu non perda la concentrazione, mai. Sembra chiedere poco, ma so che è quasi impossibile, solo tu puoi. Per quanto io sia preparato, non sono in grado di tenere la guardia alzata senza pause.”
“Io posso.”
Kajey le sorrise intenerito.
“Tu puoi, solo tu, perciò dobbiamo escogitare il modo migliore per non distrarti e per non stancarti se non necessario.”
Le porse la mano e Berta la osservò smarrita. Si sentiva in imbarazzo e questo la innervosiva, aveva bisogno di essere intatta, padrona di sé sempre.
“Devi fidarti di me. Forza.”
La ragazza annuì e mise la propria mano in quella dell’altro che era calda e asciutta, la sua presa salda e rassicurante.
“Sono amica di tuo fratello, è un po’ un fratello per me.”
Kajey si voltò a guardarla con un sorriso sbilenco, era divertito e questo la destabilizzava, la faceva sentire sciocca.
“Quindi, dal momento che Karho per te è un fratello, ti devo considerare come una sorella? Devo, Berta?”
Un improvviso calore avvampò nel petto, incendiandola dal collo al volto, era senza parole.
Lui rise. Gettò la testa indietro e rise di gusto.
“Perché ridi? Kajey, io non ti capisco.”
Lui si fece serio.
La tirò per proseguire il cammino e borbottò un “per fortuna” e si mossero senza altre parole.
Berta si chiedeva il perché del comportamento di Kajey, il ragazzo brillante, il più intelligente, quello silenzioso che non si mescolava agli altri, d’un tratto era così intenso, carico di vita e di forza.
Non era sciocca, l’aveva provocata, ma non ne capiva il motivo.
Si fidava. Sì, si sarebbe fidata di lui anche prima che tutto si mettesse in movimento, perché lo ammirava da sempre, ma ora che era stato scelto dal padre, per Berta sarebbe stato un sì certo.
“Berta, devo chiederti di salire sulla mia schiena. Io, non voglio metterti in imbarazzo, ma dobbiamo cambiare percorso, subito.”
La guardava insicuro, ogni traccia di scherno svanita.
Berta ridacchiò.
“Ma non sono in imbarazzo, per niente.” guardò verso le fronde su di loro “Si va su?” L’eccitazione nella sua voce era impossibile da mascherare.
Kajey era arrossito, i suoi occhi sembravano più grandi.
“Sì. Dai, mi volto e tu fai un salto.” La voce del ragazzo era un sussurro accennato.
Berta era emozionatissima: dalle chiacchierate con Karho aveva sognato di potersi muovere come i due fratelli e ora non le sembrava vero che Kajey le offrisse questa possibilità.
Non voleva però indagare ulteriormente sulle vertigini che le scombussolavano il ventre e le acceleravano il cuore.
Con un salto agile si issò sulla schiena di Kajey, il quale prontamente le afferrò le gambe, dietro le ginocchia.
Berta non poteva evitare di avvolgere le braccia intorno al suo collo e sentire il proprio seno pressato sulla sua schiena era una sensazione incredibilmente intima. Lui poteva sentire le sue forme?
Kajey tossì e lasciò uscire il fiato come quando si corre a perdifiato, poi fletté le ginocchia e con una spinta potente fu sul primo ramo.
Berta ansimava per l’emozione e lo spavento del salto.
“Tutto bene, Berta?”
Lei si strinse di più a lui.
“Sì, io sto benissimo. Ho paura di pesare troppo.”
Kajey rise.
“Per niente. Tieniti forte, andremo veloci, va bene?”
“Sì Kajey. Anche Karho può portarmi così?”
Kajey si irrigidì.
“No.”
“Oh, pensavo aveste qualità simili.”
“Ci penso io Berta. Me ne occupo io. Va bene così.”
Con un altro balzo cominciò a correre e saltare di ramo in ramo e Berta smise di pensare.

Il villaggio. Emozioni


Se ne era andata e lui non aveva voglia di rientrare. Ormai trovare tempo per sé era un’illusione. Un lusso che non aveva capito prima. Quando fossero partiti sarebbe stato impossibile avere solo il tempo per raccogliere i propri pensieri.
Si sedette in terra, niente rami, niente corse. Aveva bisogno di immergere le proprie radici, per un po’.
La madre avrebbe capito perché sapeva che doveva allenarsi. Non sapeva per cosa: il rischio che i Savi lo capissero era troppo grande.
“Quindi hai cambiato idea? Carina è carina.”
Quella voce… Karho sì sentì mancare il fiato e per un attimo la vista si fece nera.
Lo guardò: era più grosso e muscoloso, aveva una posizione arrogante con le gambe piantate larghe in terra e le braccia conserte, ma il suo tono era contrariato. Non si spiegava il motivo.
“Ciao Borg. Siediti.”
Quello rimase spiazzato, quasi barcollò.
“Solo per un po’.”
Karho sollevò una spalla, in segno di indifferenza, ma mille farfalle sbattevano le ali tra stomaco e cervello.
“Cosa volevi sapere?”
Il ragazzo si guardò intorno e poi fissò lo sguardo in quello di Karho.
“Niente. Mi sembra strano vederti con una ragazza.”
Karho ridacchiò e sollevo un sopracciglio e con suo sommo divertimento Borg prese una tonalità rossa particolarmente accesa.
“Non dovrei, Borg?”
“Beh, tutti sanno..”
“No, tutti non sanno Borg. Non sanno nulla di ciò che penso o faccio. Mi vuoi dire che sanno di te?”
Il ragazzo in un attimo sembrò pronto a colpire, i pugni protesi in avanti. Poi, si calmò e abbasso le mani.
“Intendo, Borg, pensi che la gente sappia chi sei, cosa pensi davvero?”
Una scintilla di comprensione attraversò il suo sguardo.
“No. Assolutamente no.”
“Tu però pensi che io non debba vedermi con una ragazza.”
Borg si limitò ad annuire.
“Perché?”
Il ragazzo parve sempre più a disagio, ma sembrava piuttosto determinato a superarlo.
“Io penso che tu non debba vederla per motivi miei.”
“Motivi che non c’entrano con me?”
“Non proprio.”
“Non ti capisco Borg. Non ho molti amici, cosa ti importa, scusa, se io ho un’amica?”
“A te piacciono i ragazzi.”
“Sì.” Karho sbuffò.
“Non ti piacciono le ragazze?”
Ora Karho sorrise.
“No, Borg.”
Un timido sorriso si fece largo tra le labbra del ragazzo.
“Va bene, se siete amici.”
“Tante grazie!”
Borg gli diede un lieve colpo con la spalla.
“Hai capito…”
Karho lo guardò serio.
“Ho capito, ma tu ne prendi atto? Domani dimenticherai che ho capito e cercherai di picchiarmi per dimostrare a tutti che non siamo amici, che non sei come me?”
Quello sussultò.
“Io non sono… mi dispiace per averti trattato così. Non lo farò più.”
“Va bene.”
“Ho paura, Karho. Sai che ne fanno di me se capiscono?”
Karho si sentì morire, non poteva pensarci. Non ci aveva pensato.
“Borg, io non posso dirti niente di chiaro. Vorrei che ti fidassi di me.”
“Sì.” Borg lo guardava con una fiducia disarmante.
“Non pensare di poter restare qui. Lo sai che capiranno. Non c’è modo di mascherare questo.”
“L’ho capito Karho. Mi cacceranno e sarò finito.”
Karho lo afferrò per il braccio, d’impeto.
“No! Non sarai finito e non sarai solo. Ti basti questo per adesso, se ti dicessi si più alla prossima visita saresti spacciato, davvero e non solo tu.”
“Quindi, devo solo fidarmi.”
Karho si stupì che Borg non avesse tentato in nessun modo di scrollarsi di dosso la sua mano.
“Devi fidarti e io in queste due settimane che ci rimangono devo capire le tue capacità. Dobbiamo lavorare perché tu ce la faccia. Fuori da qui.”
Un lampo di comprensione passò tra loro e il ragazzo annuì.
“Sono forte, molto forte e ho resistenza.”
“Bene, io sono veloce.”
Borg rise forte.
“L’ho capito, non riesco a dimenticare come mi hai seminato. Sei in gamba.”
Forse non era solo ammirazione quella che Karho gli leggeva negli occhi.
“Grazie, non lo sa quasi nessuno.”
“Quindi dobbiamo darci, che ne so, appuntamento per, tipo, allenarci?”
Karho voleva abbracciarlo in quel momento, era così vulnerabile!
“Sì, a quest’ora ti va bene?”
“Certo. Quindi siamo… amici?”
Karho non resistette e rischiò infischiandosene. Abbracciò Borg di slancio e quello rimase inerte, ma non lo colpì. Restò fermo e poi, lentamente, ricambiò la stretta e strinse forte, annegando il volto nell’incavo del collo di Karho.
“Mi stai annusando.”
Borg rise.
“Hai un buon odore.”
Karho sospirò e pregò che tutto andasse bene. Doveva crederci, per entrambi.

La migliore decisione possibile


Ogni cosa scorre, tutto si accumula e continua ad arrivare, mi basta uno stop per essere schiacciato, mentre continua ad arrivare.
Se solo si fermasse ogni tanto, qualsiasi cosa: le persone che chiamano, che si aspettano cose da me, il lavoro che non si può demandare e le faccende più umanamente necessarie.
Vorrei spegnere il telefono per due giorni interi, ma non si può fare a meno di voler passare chissà quanto tempo a dimostrare di essere mentalmente stabile.
Siamo tutti connessi, talmente collegati che a voler staccare i fili, solo un attimo per pietà, ci si deve giustificare, perché è un torto che si fa agli altri.
Questo è un girotondo che non arriva mai alla fine, non ci si butta per terra e non si ride più.
Si continua a girare e all’inizio è così stimolante, così bello stare insieme, fino a quando la presa nella mia mano è diventata una morsa, fino a quando il sudore sulla fronte mi ha impedito di distinguere i volti e le voci degli altri sono diventati frase insensate.
Anche tu, che mi hai preso il cuore, vorrei potessi restituirmelo per un paio di notti, perché vorrei dormire senza preoccuparmi.
Vorrei non pensare ai tuoi sguardi, ai tuoi rimproveri, alla delusione che ormai viaggia tra noi, come un avvoltoio in attesa del primo che soccombe.
Vorrei che il mio desiderio fosse libero, i miei sentimenti chiari e le relazioni prive dei solidi nodi , tutto liscio e trasparente.
Cammino con la bocca amara, lo stomaco pesante e il passo trascinato di malavoglia.
Guardo intorno e svolto verso un’altra zona, oggi mi defilo.
Col cuore in gola che mi soffoca e mi ricorda di avere ancora sangue nelle vene, afferro il cellulare, maledetto guardiano del mio tempo e lo spengo. Un gesto idiota che equivale a un’evasione da carcere di massima sicurezza.
Mi tolgo la giacca e slaccio la cravatta, che getto nel primo cestino. Inizio a ridere e allungo il passo, perché CAZZO sono già più leggero.
Entro in un tabacchino e compro un pacchetto di sigarette, non le tocco da dieci anni e non so neanche se ne accenderò una, ma solo sapere che se mi va posso farlo, mi fa sentire libero.
Sono tentato di prendere una rivista porno, tanto per, ma chi lo fa più? E mi rendo conto che è parte di tutto quello che mi pesa sulle spalle: tutto pronto, fruibile, piatto e insulso.
Devio per il parco e camminando nel verde decido di levare le scarpe e i calzini: l’erba non è morbida come piace scrivere nei romanzi, punge ed è pure meglio, perché so che è reale.
Ho voglia di gridare, di cantare a squarciagola e spogliarmi di tutto. Che fosse stata così esaltante l’illuminazione di San Francesco?
Mi sento vivo, ho voglia di toccare, annusare e riempirmi gli occhi di tutto.
Sento il suo sguardo come una coperta avvolta sulle spalle e voltandomi scopro il suo sorriso.
Mi stupisco e mi rendo conto che sta rispondendo al mio, non ho smesso di sorridere da quando ho cambiato rotta.
Mi avvicino ipnotizzato e mi fa posto sulla panchina senza parlare e per questo sono immensamente grato.
Ci guardiamo e basta. Non riesco mai a guardare a lungo qualcuno, perché non sopporto che mi si guardi dentro e ancor meno voglio rovistare nella mente degli altri, è la più grande intimità e io ormai non voglio più condividerla. Specialmente con te che mi hai tolto anno dopo anno ogni idea di me stesso.
Sospiro, vinto dall’emozione, vorrei quasi morire adesso, per concludere con questa completa serenità nel cuore.
Non voglio vivere i momenti dopo, la realtà che sporca tutto, i dubbi, i bisogni, i sogni infranti.
Mi osserva e so con certezza che mi sta leggendo come io leggo la comprensione nei suoi occhi.
Avvicina il suo volto al mio, appoggia la guancia alla mia ed è perfetto.
Sento il suo respiro che scalda il mio orecchio, un brivido caldo lungo la schiena e inconsapevolmente mi ritrovo a scorrere col palmo la sua schiena.
Con le dita sfiora il mio volto e mi asciuga lacrime che non sapevo di aver versato. Si avvicina con lo sguardo colmo di tenerezza e lecca le ultime tracce della mia tristezza.
Sono talmente duro che ho paura di mettermi in imbarazzo, potrei umiliarmi se continua così. Non mi sono mai sentito così.
Le mie labbra catturano la sua bocca e io non esisto più, non sono altro che vita che scorre e fuoco che brucia.
Voglio restare sulla sua lingua, nascondermi tra le sue labbra per sempre.
Ha il sapore di un dolce calore, mi sento oltre, credo di sfiorare il senso, di capire appena, e ho bisogno di essere qui in questo momento, di avere di più, di dare di più.
Si avvicina e siamo aderenti, due cuori in tumulto, mentre le mani scorrono e pressano, sfiorano, memorizzano forme e anse.
Bevo dalla sua bocca come un disperato e non mi curo di nulla.
Le sue labbra scendono sul collo e bacia, morde e succhia la mia pelle.
Mi umilierò, non posso resistere.
Ricatturo la sua bocca, la sua testa presa nella morsa delle mie mani, trasmetto tutto ciò che provo.
Ho deciso e non cambierò idea.
Ci guardiamo e vedo la stessa emozione, allo specchio.
“Ti amo.”
“Lo so.”
“Ti amo.”
“Lo so.”
Sono libero.

perdonami


sunset

Perdonami se puoi.

Ho dubitato del tuo affetto e a volte preferisco allontanare il pensiero di te, perché l’incertezza del mio posto nel tuo cuore mi riempie di tristezza.
Quella pianta si è insinuata nello stomaco e le radici stringono, non riesco a rivedere il tempo insieme senza ricomporlo. So che volevo essere per te quel tenero affetto che non ero per alcuno. Volevo un posto dove risplendere e so che non era vero, ma il sangue ci unirà sempre.
Troppo il tempo muto che si riempie di sospiri e io languo nel tormento.
Si rifà in me viva l’arrendevolezza, la stroncante consapevolezza del valore che mi porto dietro, su quel cartellino che segna sempre il mio misero prezzo.
Ho pensato di essere stata d’altri, per tollerare meglio, per cullarmi nel delirante sogno di una coppia persa nel mondo che amava me sola, come un pezzo di cuore rubato.
Poi, mi sono legata a te, inebriandomi del tuo sapere, del tuo accettarmi e guardarmi meglio.
Ora, gli anni sono andati indietro e tu non sei più e io non ti avrei chiesto questo, perché si parlava di tutto il resto, ed era implicito il nostro attaccamento.

Anche se non mi cercavi, anche se andavi altrove e non da me.. anche se, anche se, anche se… ogni momento speso con te sentivo di appartenere, o m’illudevo.
Eppure mi manchi, come un pezzo di cuore rubato e nessuno a dirmi se lo tieni caro.

Diventare grandi e non essere mai dei grandi, ma granellini sospesi in un alito di vento.

Io accetto, la mia sconfitta, la mia incapacità di recuperare, non l’apprezzo, ma l’affronto.
Sono un orso polare e ho bisogno del mio inverno, ci vediamo al disgelo.

Vorrei solo avere quella certezza nel cuore d’essere stata preziosa davvero per qualcuno, per me stessa, senza sforzo di essere una versione migliore. Con te lo ero, totalmente, di questo ti sarò grata sempre. Dammi un segno.