La dinastia reale


La loro dinastia era un filo purissimo diretto col Figlio Primo.

Mantenevano la perfezione del corpo e della mente traendo nuova linfa dalla Madre che veniva scelta tra le vergini più belle e sagge della Federazione.

La Madre del nascituro non avrebbe cresciuto il figlio e non aveva alcun ruolo all’interno della Casa Prima, perciò alla nascita del bambino faceva ritorno al suo popolo, con tutti gli onori che si confacevano al caso.

Il padre passava il proprio nome al figlio, così da mantenere il Primo Nome in linea perpetua.

Il nuovo nome veniva scelto dal padre come presa di coscienza di sé.

Solitamente cedendo il nome di nascita al figlio, il padre sceglieva per sé un nome che significasse forza, intelligenza, abilità o in rarissimi casi, il proprio pensiero.

Il bambino cresceva seguito da balie e insegnanti tra i più dotti conoscitori dell’epoca, mentre il padre portava avanti il ruolo di Primo Governatore a capo della Federazione.

Il Primo Governatore conosceva profondamente la cultura di tutti i popoli e i loro idiomi, ma la lingua comune era la stessa che il Primo Figlio adoperò e tutti la parlavano fluentemente. C’erano state guerre, diverse fazioni in lotta per il potere all’interno della Federazione, ma il Primo Governatore era sopra le parti, sempre e comunque, suo era il compito di mantenere la pace e la Memoria dei popoli.

Così era stato dai Tempi della Prima Alba fino alla nascita del Promesso.

Certezze spezzate


Ci sono certezze che destabilizzano e per trovare quiete vano spezzate.

Tra i frammenti sparsi troverai nuove forme e a tagliarsi le dita, non è grande danno.

Una goccia scarlatta sul polpastrello è una dolce ferita, se a contributo di una battaglia vinta.

Tra quiete e tempesta c’è una cascata scrosciante, di emozioni, tormenti e pensieri ribelli.

Io rincorro la vita e rifuggo tempesta, cantando nella pioggia con la gola aperta,

rotolare nella neve è il più dolce tormento, ‘ché il freddo risveglia e addormenta al contempo.

Mi ritrovo ad annusare aromi antichi, tra ricordi e memorie che appartengono ai tempi.

Ho bisogno di salpare con tre gatti e due balocchi, per mari nuovi e per ignoti posti.

Canto e ricanto a squarciagola nelle vene, i nervi s’infiammano e le corde si tendono.

Venite, venite, le campane annunziano: le virtù sono andate e i colpevoli fuggono!

Aprite, aprite, le porte del mare: che i flutti aspergano le menti malate!

Io remo di lena nella tazza preziosa, con un mestolo a vogare ci vuole forza buona.

Ti lascio due spille e una pentola vuota, rammenta le risa e dell’errore non far parola.

Due cocci tra le dita e una goccia rossa per un viaggio nuovo sulla nuova rotta .

 

Perché amo questa canzone ancor prima di capirla..

Il nevo ha levato le tende


Andato è lo nevo. Estirpato. L’emicrania mi avvolge il cervello, la tensione, ma il bisturi è stato modello, la mano ad addestrarlo perfetta. Infermiere, dottoressa col chirurgo sorridenti, sono riuscita a fare salotto anche in sala chirurgica.

Bene, in attesa della biops, per chiudere l’esperienza, mi sento in forza, col mal di testa, ma giusta. Povera creatura, così rosa e indifesa dopo trenta e più anni di vita condivisa..va be’ ognuno per la sua via.

E per sprecarmi con la scusa dell’anestesia(locale…figurati), un bacio a tutti i migranti di questo universo parallelo.