Biancaneve e il guerriero nero


Di soffuso rossore le gote candide paiono mele,

come vita che arriva a sgorgare,

linfa passionale nell’incarnato fragile.

La mano minuta e delicata,

le dita sottili allungate,

pareva inverno in piena estate.

La mise in groppa al suo destriero,

bianco s’intende,

le sue vesti di nero.

Aveva uno sguardo

che mille promesse

infrante tutte in un bacio ardente.

Lascia che cantino

di principi azzurri,

‘che il nero guerriero le prende tutte.

La bella di neve candida

la pelle aveva

e mai più fu ritrovata, ma rideva, oh, se rideva!

Non mi seguire! L’asino non sta in groppa!


 

 

Non mi seguire, io non so dove vado!

Blatero, blatero e ho mille pensieri, di ogni colore, forma e dimensione, cazzate mie, che mi stanno a cuore.

Mi sporgo da questo balcone  e guardo di sotto, lancio l’occhio, lo getto con baldanza e attendo… la lenza tira, tira più forte e tira ancora, allora io l’acchiappo,  e mentre risale aspetto. Aspetto e attendo. Mi guardo le unghie: belle, curate, ma non smaltate, non è ancora estate e io aspetto… aspetto.. Guardo su, i piccioni che con spinte di reni si sollevano un po’ ansanti, mentre rondini leggiadre li scalzano baldanzose. Come ippopotami stanchi con sirene flessuose .

Quando mi perdo, tra considerazioni inutili quanto un camino all’inferno, mi trovo a rimirare il mio pescato: colori lucidi, nuovi, freschi e guizzanti! La tentazione di metter mano è forte e non resisto, tocco quei corpi lisci, e ammiro il riflesso ambrato. Mi suscita emozione, mi sento immobile, poi improvvisamente, piango.

Piango le storie che scorrono sulle mie dita, sento l’armatura incombere e impettita mi ergo paladina!

La solita stolta creatura di sempre: non valgo davvero una cicca in terra, ma palpito in cuore, nel petto fremo e agogno sempre un giusto Terreno.

Sarà il volere del Signore, sarà sempre, ma io non posso aspettare in fermo: devo pensare, dire, scrivere qualcosa, qualunque cosa mi renda palpabile.
Non si insegna niente a ‘sto mondo e l’asino non sa stare in groppa. Allora, perdonate il mio favellare lesto, non sono il dotto, non sono il maestro.

Prendete le parole come più vi piace, fatene collane, o ciliege sulle orecchie: io non mi offendo, mai, se il fallo non è netto.