I minatori di Haper-I racconti di Lara e Ruben.10-


” Beh, se il bell’addormentato ce lo concede, direi che è ora di muoverci!”

“Gorgo, attento che il bell’addormentato non ti tiri un calcione sulle caviglie!”

“Oh Lara, ti ci metti pure tu? Non sono io che sono basso, è lui che si è dimenticato di fermarsi in crescita..”

Ruben le cinse la vita e lei, per la prima volta, non lo cacciò via in malo modo.

Ruben era felice di questo progresso e non pensava ad altro, mentre Lara si disperava in cuor proprio per il tempo che scorreva inesorabile, consapevole di non poter fallire la propria missione.

“Capo?”

“Sì Gorgo, procediamo, abbiamo preso tutto, il tempo regge, farà freddo e dovremo prendere animali di grossa taglia la prossima volta.”

“Sì capo, Brocco mi basta giusto per farmi un paio di calze.” Il gigante rise sguaiatamente, mentre la trecciolina di capelli scuri sferzava l’aria.

Ruben scosse il capo offeso: ” Brocco non si tocca, piuttosto con quel fiocchetto rosa potremmo farci un bell’abito per la mia signora:”

“Giù le mani ragazzo! Il fiocco non si tocca e la signora non è tua. Suo padre non approverebbe. Scusa capo.”

Lara si immobilizzò e istintivamente allontanò le mani di Ruben che la cingevano.

“No, non preoccuparti Gorgo. Io non sono una signora, sono un guerriero, porto avanti la missione che mio padre mi ha assegnato, altro non conta per me.”

Gorgo la guardò tristemente, facendole capire che sapeva, facendole ricordare che era altro e molto di più, ma lei gli lanciò uno sguardo di avvertimento.

“Che succede? Sei troppo nervosa quando si parla della missione Lara.”

“Oh, solo perché potremmo perdere la libertà, perché il nostro popolo continuerebbe a morire se noi fallissimo?”

Ruben si fermò, con la posa arrogante che assumeva quando faceva il bullo al villaggio: piedi ben piantati e braccia conserte, sorriso obliquo e risatina di scherno.

“Lara, pensi che sia completamente stupido? Ti sto dicendo che ho capito che c’è altro che ti preoccupa e non c’entra col popolo.”

“Non puoi capire e poi non ha importanza, non più. Andiamo.” E così dicendo si avviò.

Gorgo e Ruben la seguirono in silenzio con Brocco a chiudere la fila.

Il clima si stava facendo più rigido, avevano calcolato di raggiungere entro sera un piccolo villaggio di minatori, così da pernottare al caldo e sondare gli umori della gente.

Camminavano di buona lena e parlarono poco, sentivano all’improvviso tutto il peso della missione, e ognuno rifletteva sul proprio ruolo cercando di affrontare le paure che covava.

Giunsero al villaggio all’imbrunire. Un cartello sulla via principale recava la scritta incerta Haper.

“Non mi pare sia cambiato questo posto.”

“Tu sei già stata qui?”

“Molto tempo fa, da bambina.”

Ruben ridacchiò: “Oh, il luogo ideale per una fanciulla!”

“Meglio qui che Città Sacra.” e Ruben si ammutolì.

Il villaggio era composto da casupole di legno imbiancate che si affacciavano sulla strada principale di terra battuta, la quale proseguiva tuffandosi nel bosco.

Gorgo si sfregò le mani, “Io qui ci voglio stare il meno possibile, forza, affrontiamo questi fanatici.”

“Che intende?”

“Vedrai Ruben, andiamo.”

Raggiunsero un catapecchia da cui fuoriuscivano voci sguaiate. “Sicuramente è il pub del paese e la gente a quest’ora ha già bevuto a sufficienza.” Lara era nervosa. Entrò con passo lungo nel locale seguita da Ruben, mentre Gorgo attendeva fuori, Brocco accanto a lui, immobile.

I minatori si voltarono squadrando i due ragazzi e un silenzio opprimente prese il posto dell’aria nel locale.

Lara proseguì e raggiunse il bancone, si appoggiò  e ordinò due birre.

“Niente birra.” Rispose con disprezzo il barista.

“Niente scherzi.” Lara allungò il braccio e gli prese la gola con forza, lui fece per colpirla, ma Ruben scavalcò con un balzo il bancone e gli fu alle spalle trattenendolo.

“Cosa volete?”

Gli uomini si erano alzati tutti, ognuno impugnando la propria arma, lame affilate che potevano sbudellare una persona con un colpo deciso.

“Alloggio, un pasto e informazioni.”

“Io dico che farete meglio a tornare da dove venite bambocci!” gridò un uomo dai capelli lunghi e dal volto coperto dalla barba incolta, nera come la pece. Gli occhi scuri come il caffè scrutarono Lara e lei sussultò.

“Noi abbiamo bisogno di alloggio, la gente sta morendo al sud, la situazione è grave. Domani proseguiremo il nostro viaggio.”

Ci fu silenzio, i minatori si guardavano l’un l’altro, poi il barista parlò con tono accomodante:”Dai ragazzo, lasciami.”

Ruben attese il permesso di Lara che acconsentì con un cenno.

“Dovete capire che qui non amiamo gli stranieri, verso nord vanno un sacco di disperati, a volte assassini assoldati contro il Primo Governatore, ci sono intrighi da cui vogliamo stare fuori.”

Un vecchio dalla barba ingiallita, simile a vello di pecora assentì: “Noi non amiamo visite, ma accettiamo chiunque voglia lavorare sodo. Qui si suda, ma il passato viene cancellato ad ogni colpo di piccone, ci facciamo gli affari nostri, capite.”

Ruben si rilassò e Lara ringraziò. “Chiunque ci conceda un pasto e un giaciglio avrà la mia gratitudine e la nostra protezione.”

L’uomo dalla barba nera si schiarì la voce: “Noi ci proteggiamo bene da soli, ma vi ospiterò per questa notte, accontentandomi di un po’ di gratitudine senza bisogno di aggiungere altro. Seguitemi.”

Salutarono gli altri minatori e uscirono nel freddo della sera.

“Ciao Gorgo.” L’uomo salutò il gigante che strinse gli occhi e poi sorrise.

Ruben alzò le spalle sempre più confuso, ma Lara rimaneva in silenzio.

L’abitazione del minatore consisteva in una casetta di assi di legno, tinta di bianco, modesta, ma pulita.

Entrarono, tutti, nonostante la difficoltà di Gorgo.

Il minatore distribuì pane e formaggio, fissando Lara con insistenza. Ruben si sentiva sempre più nervoso.

Lara teneva gli occhi bassi.

“Allora Safira, quanto tempo è passato?”

Lara alzò lo sguardo, il volto rigato di lacrime.

“Una vita fa Rock.”

 

 

 

Il canto di Gorgo-I racconti di Lara e Ruben.6-


Gorgo e Ruben avevano instaurato uno strano rapporto di complicità che il più delle volte faceva saltare i nervi di Lara, come corde di violino che saltino a furia di tenderle troppo.

I due erano una strana coppia a vedersi: un immenso gigante sfregiato e cupo, addobbato come un arlecchino travestito e un ragazzo rosso e scanzonato: si scambianvao colpi e insulti come fossero fratelli di sangue.

“Come sarebbe a dire che non conosci i canti di Grouse!” Ruben stava ridendo e sputacchiando avanzi di cibo mentre si faceva allegramente trasportare in spalla da Gorgo.

“Non mi parlare di stupidi cantori da due soldi! Quelli sono solo buoni a parlare di cavalieri, damine e lacrime e suicidi.. nah! L’unico rimane il cantore del fiume Argentato, quello sì che sapeva il suo mestiere! ”

Ruben si pulì la bocca con il braccio e lanciò uno sguardo verso il basso: “Ne ho sentito parlare. Dai miei zii. Ma non era un cantore, era un guerriero mi pare.”

Gorgo gli diede una pacca sul fianco con la mano aperta e per poco il ragazzo non cascò giù come una pera matura.

“Quale migliore cantore di un guerriero, di uno che la vita e la morte e tutto ciò che sta nel mezzo le conosce! Quei damerini stolti che mescolano e rimescolano le stesse parole.. non valgono la scoreggia che ho conservato per il dopo pranzo!” , così dicendo il gigante diede sonoramente prova del suo pensiero.

Ruben saltò giù di corsa e si allontanò imbronciato: “Sei il solito! Ma non ti rendi conto che quello è un tornado di puro fetore? Ah, Gorgo! Mi hai fatto risalire il pranzo alla bocca e non era un banchetto in partenza!” poi, sussurrando: “Lara è bella per fortuna, perché come cuoca.. bleah!”

Gorgo rise forte, come sempre sembrava che una roccia si staccasse dai fianchi della montagna.

Lara, che era rimasta assorta in disparte per la durata delle chiacchiere degli altri, si avvicinò a Ruben con fare battagliero: “Oh, scusa tanto mio lord se il desco non è stato imbandito a tuo gradimento, mi duole deluderti!” e così dicendo gli assestò un pugno tra le costole, come al solito.

“Che sei bella, non conta? L’ho detto, vero Gorgo che l’ho detto?”

Il gigante sghignazzò divertito: “Oh sì capo, ha detto che sei bella come una zecca nel sedere! Così ha detto!”

Ruben lo fulminò con lo sguardo: “Traditore bugiardo di un gigante vestito da damigella! Ho detto che Lara è bella come… come… una pisciata dopo la siesta!” e ridendo si mise a correre di buona lena.

Lara gli fu dietro come una saetta, ma sapeva che i suoi amici cercavano di sollevarle il morale e senza desiderio di farlo prese a ridere anche lei. Rideva così forte che fu costretta a fermarsi.

“Ok, ok, hai vinto! Anche tu non sei male Ruben, mi ricordi l’orzaiolo di quella vecchia strega dai denti marci, giù al crocevia.”

Ruben tornò indietro e l’abbraccio serio.

La guardò negli occhi: “Sempre al tuo servizio capo.” e baciandole la fronte si voltò tornando da Gorgo.

“La sai “Ritorno in Patria”? ”

“No Gorgo, ma sono certo che me la stai per insegnare!”

E il gigante dall’aspetto feroce incominciò a cantare con la voce più morbida e calda che Ruben avesse mai sentito:

L’uomo avanza nella nebbia dei sepolcri,

tutto tace tra le mura spesse,

di tenebra sospiri nella mente,

aleggiano gli spiriti erranti .

e tutto tace e il mondo resta

ritorno alla Patria

la lancia in resta.

e tutto tace e il mondo resta

ritorno in Patria

e nessuna festa.

L’uomo è solo col sangue addosso,

le grida del nemico ancora in testa,

i campi di grano sono partiti

per un inferno di corpi spirati.

e tutto tace e il mondo resta

ritorno alla Patria

la lancia in resta.

e tutto tace e il mondo resta

ritorno in Patria

e nessuna festa.

L’eroe è solo dopo la battaglia


Il guerriero in cima alla collina. Lo sguardo all’orizzonte volto.

Invece di fiori, corpi. Invece di freschi rivi, sangue rappreso a innondar li declivi.

Funereo e iracondo il cielo tetro. Non canti, non passi, non battito d’ali. Rimane lui solo, mesto, sul tumulo scoperto.

Leggende verranno cantate, tra i boccali innalzati, tacchi danzanti sulle assi, mani battute al ritmo di festa, in onore ricordando l’eroe d’un tempo.

Eppure è solo l’eroe, col volto ricoperto di morte, l’odore del sudore e del sangue lo avvolge e nulla è più in legame col passato, nulla vi resta del bimbo che è stato, dell’amore agognato e del focolare sicuro.

Solo grida nel silenzio immoto, gli ultimi scampoli di vita spenti nell’assalto feroce del guerriero indomito.

Ogni fuoco in brace e poi cenere a ricoprire il cuore.

Non c’è speranza per chi resta, non più sogni lievi, troppi volti nella mente a cercar vendetta, non c’è pace per l’eroe solo.

Prima del giubilo festante, dei nervi tesi, della mascella stretta, tra i cori esultanti, le dame in fregola e  la mano tesa, il guerriero si perde con lo sguardo lontano, salutando l’uomo ch’è stato e mai tornerà.

Una donna, un guerriero.


 

La paura, la tristezza che bussa, non deve esserci, ma c’è.

Allora, il mondo diventa distante, la gente è altro da me, pericolosa,ogni parola una potenziale bomba inesplosa. Allora divento piccola in un corpo troppo grande, mentre vorrei rimpicciolisse a misura di colibrì, come il suo battito il mio palpito.

Vorrei un abbraccio stretto, ma so che poi ti allontano, sono dura, ferita sempre, ma nasconderlo è un mestiere. O sei con me sempre, dentro di me, amandomi sopra ogni cosa o io ho bisogno delle mie barriere, del mio appoggio e delle inferriate per non cadere e lasciare un po’ di spazio fra noi. Ti devo guardare da lontano e riflettere, per decidere come prenderti, per difendermi. Non è difficile, è quasi banale, io posso cadere giù, così in basso da stare male e non posso permetterlo, se nessuno corre a scacciare i draghi, chi mi difende? Io, lo faccio da me e così dev’essere, sono d’accordo, ma questo senso d’abbandono, questo sentirmi poco è un mio problema e se alzo i muri col mondo a volte, bene, continuerò a farlo, senza ammetterlo, senza spiegazioni, col sorriso sul viso e sgretolando dentro.

Un abbraccio vero, nient’altro. Nessun altro approccio, non è il momento. Poi passa, passa sempre. Quel buio torna nel suo angolino e via. Ci sono momenti in cui piccoli dettagli coincidono casualmente e caoticamente rimandandoti il peggio di ciò che hai vissuto, come un viaggio a velocità folle tra i tuoi incubi reali, come quella giostra da bambina in quel vagoncino trainato tra mostri e musiche inquietanti e poi i fantocci che al tuo passaggio si avvicinavano: io ne ero terrorizzata e facevo incubi orrendi, ma mi obbligavano, perciò..

Ci sono tante cose belle nella mia vita, mi detesto per non apprezzarle in questo giorno, in realtà sono sempre grata, ma va così, ero troppo esposta agli eventi, oggi metto la corazza.