Decisioni da prendere-I racconti di Dan .4-


Dan stava gettando abiti alla rinfusa nella sacca da viaggio, sua madre lo osservava dallo stipite della porta, mentre sorseggiava un caffè dalla tazzina marchiata dalle sue labbra rosso fuoco.
“Perché adesso? Così, all’improvviso.. chiama Rocco almeno, o qualche altro amico.”
Dan continuava a infilare cose senza darsi tregua, poi prese il borsone per le maniglie e lo gettò a terra, raddrizzò la schiena e sorrise alla madre.
“Adesso, perché ho proprio voglia di evadere un po’ da queste giornate tutte uguali, devo pensare a cosa fare quando sarà finita l’estate. Non voglio disturbare gli amici, magari Rocco mi raggiungerà fra qualche giorno.”
La madre posò la tazzina in terra aggiustandola col piede nudo, le unghie laccate di rosso come il rossetto.
“Non pretendiamo che tu decida subito, grazie al cielo non abbiamo problemi economici, lo sai. Hai avuto un’adolescenza pesante e ora che sei un uomo potresti desiderare di recuperare un po’ di leggerezza prima di tuffarti in nuovi obblighi.”
Dan scosse la testa bionda con rassegnazione: “ Lo so mamma, stai tranquilla. Vi ringrazio per la pazienza che avete con me. Ho bisogno di pace, più che di sbattermi da un locale all’altro. Dopo tutte le pastiglie che ho preso per stare calmo, non mi va di avere gente impasticcata intorno per stare su di giri. Io di stare sull’altalena non ho voglia.”
La madre tradì lo sgomento con il sopracciglio alzato: non parlavano mai apertamente delle pastiglie, della reale gravità di ciò che era successo, a sentire i suoi si poteva pensare che Dan avesse avuto una brutta polmonite.
“Va bene Dan, sei grande abbastanza. Ti devo accompagnare? Chiedo a Lopez?”
Dan strinse i denti, ormai sorridere stava diventando un’impresa piuttosto ardua.
“Prendo la moto, ormai posso guidare, non c’è nulla che lo impedisca, e ti garantisco per l’ennesima volta che sono più prudente della maggior parte dei miei coetanei. Ci sentiamo per telefono.”
Così dicendo prese il borsone se lo gettò in spalla e uscì dalla camera baciando la madre sulla guancia, senza guardarla.
Quando aveva raggiunto l’ingresso sentì ancora la sua voce da sopra: “E il cane?”
Ridacchiò: “Furia lo porto con me!”.
Uscì di casa, sistemò il borsone sulla Ducati multistrada nuova di zecca, prese da uno scaffale del garage il suo vecchio zaino di scuola, dal colore ormai indefinibile, l’Invicta di sempre, tatuato con gli indelebili in ogni spazio disponibile.
Fischiò e attese.
Un botolo tutto pelo corse con le sue zampe corte guardandolo con gli occhi carichi di aspettativa, aveva già capito.
“Dai amico, mi auguro che tu abbia svuotato la vescica, non voglio sorprese. Dentro lo zaino, su!”
Furia non se lo fece ripetere due volte e dieci minuti dopo un centauro in sella a una bellezza rossa con lo zaino da battaglia si immetteva nel traffico cittadino verso l’autostrada che l’avrebbe portato in montagna, nella casa di famiglia.
Dan si godeva la strada che scorreva davanti e sotto di lui, mentre Furia sbucava dall’Invicta per curiosare il paesaggio, ma conosceva bene il percorso.
“Tutto bene Dan?”
Il cuore perse un battito e poi accelerò, senza rendersene conto aveva cambiato marcia, mentre il mondo rimaneva indietro.
Per la prima volta era felice, per la prima volta si sentiva confortato da quella voce, ma più in generale dalla presenza di qualcuno accanto.
Controllò che Furia stesse bene: il botolo felice tirava fuori la lingua e poi la ritraeva asciutta, deglutiva lappando saliva e la tirava fuori ancora.
Dan rise fra sé.
“Sei felice Dan? Dove stiamo andando?”
-Andiamo in montagna, ho una casa lì ,isolata quanto basta per poter stare in pace.-
Sentì la delusione di Sarah colpirlo come una scudisciata, ma non capì come poteva averla ferita.
-Non ti piace la montagna, preferisci il mare- provò a scherzare, non sapeva trattare i sentimenti altrui.
“Mi piace ovunque, purché non sia più sola, in realtà io rimango immersa nel buio, tranne quando posso accedere ai tuoi pensieri.”
Dan capì che lei aveva temuto di venire ancora rifiutata e si sentì insensibile una volta ancora.
-Sarah, tu vieni con me, per stare con me, è assurdo, non so come faremo per aiutarti, ma andiamo via per trovare una soluzione. Ti aiuterò in ogni modo possibile.-
“Grazie.”
Si sentì colmato di gioia e fu certo che quell’immersione fosse dovuta alle sue emozioni sovrapposte o mischiate a quelle di Sarah.
Non sapeva come fare, non sapeva neanche come pensare liberamente senza che lei captasse tutto, non temeva la sua intrusione come prima, piuttosto il poterla ferire involontariamente o il farle sentire la propria incertezza.
Si infilò nel paesino abbarbicato sulle Alpi che guardava da casa, in città.
Un brivido di contentezza gli esplose nella spina dorsale, rallentò tra i vicoli disabitati e raggiunse la villetta isolata a ridosso del bosco che circondava il paese.
Parcheggiò la moto in garage e smontò liberando subito l’amico peloso.
“Bravo Furia, l’hai tenuta, ma non voglio rischiare troppo, vai a svuotarti la vescica.” gli diede una pacca affettuosa sul fianco, mentre quello trotterellava felice verso il cortile.
Dan prese il bagaglio e salì la scala interna che dal garage dava accesso alla casa.
L’odore dei ricordi lo sorprese e immagini dei nonni gli si affollarono tutte insieme con una disperata nostalgia di coccole, serenità e parole che non ricordava più.
“Ti hanno voluto bene. Sei stato fortunato Dan, io non ho avuto molto tempo da passare coi miei nonni.”
-Sono stato molto fortunato con loro. Ogni estate mi portavano qui e io ero il bambino più felice e spensierato che si potesse immaginare. Non pensavo che mi mancassero così tanto.-
Andò alla camera di sempre, quella che era appartenuta a suo padre prima di lui, che trasudava innocenza e sogni infantili. Si chiese se il padre portasse ancora in cuore traccia di quei sogni, se sentisse di averli realizzati.
Aprì il borsone e ne svuotò il contenuto nei cassetti.
“Così stropiccerai tutto!”
-Non ho capito, ma vedi?- chiese un po’ irritato.
“Vedo ciò che la tua mente mi trasmette, se mentre fai una cosa pensi a qualcosa, io vedo quello a cui pensi, ma se sei concentrato su ciò che fai, vedo ciò che stai facendo. Scusa non volevo offenderti, è nella mia natura essere ordinata.”
-Il tipo inamidato, precisino, la prima della classe scommetto!-
“Temo di sì. Ero così.”
Dan si dispiacque per la tristezza che percepì da Sarah, non era facile accettare che fosse un’anima senza corpo o chissà cosa, solo adesso si chiedeva come dovesse essere per lei.
“Non lo so neanch’io. Andavo a scuola, pensavo a raggiungere le mie mete e poi, non lo so, credo un incidente, e mi sono trovata in questo buio a tempo indeterminato. Non puoi capire quanto ho bisogno di sapere!”
-Sei sola? Non c’è qualche altro spirito.. qualche guida, chessò?-
Silenzio.
Attesa.
“Ci sono altri, ma mi fanno paura. Non voglio parlarne. Non mi parlano, mi hanno portato da te credo. Insomma ho saputo delle cose, ma non capisco bene come funzioni.”
Dan pensò che sarebbe stato più semplice se avesse potuto abbracciarla, invece doveva trovare il modo di confortarla, mentre lei restava intrappolata in quel tunnel.
-Non so niente degli altri, mi importa aiutare te e stai certa che ti troverò, cioè scoprirò dov’è il resto di te.-
Gli scappò un sorriso perché l’aveva trovata bellissima e non voleva farglielo sapere.
Senza indugiare oltre in quei pensieri rimise a posto i vestiti nei cassetti e gettò il borsone sotto il letto. -Non una parola, non posso diventare Mister Perfect tutto in un giorno!-
Immaginò che a modo suo Sarah stesse ridendo.
“Il botolo! Hai fatto i tuoi comodi? Vediamo di recuperare un boccone, anche due!”
Dan uscì con Furia alle calcagna.
Nella cucina dei nonni si sentì invaso dai momenti vissuti con loro una volta ancora.
Guardò i pensili antiquati, di un verde che non avrebbe saputo nominare, un po’ bombati, con le maniglie sottili di metallo, bassi, troppo bassi per lui, ma perfetti per la nonna.
Si mise a sedere al tavolo rotondo con la tovaglia plastificata, ora sbiadita, un tempo dai disegni vivaci con frutti estivi colorati.
Quello che lo emozionava profondamente era l’odore di cui la casa era imbevuta, quello che avrebbe sempre associato ai suoi nonni, alla spensieratezza, all’essere voluto.
Il frigo stonava come un pugno in un occhio, nuovissimo.
Dan rimase perplesso, non sapeva che l’avessero cambiato. Non sapeva nemmeno che qualcuno dei suoi fosse stato lì di recente.
Si alzò e si avvicinò con cautela al frigorifero incriminato, quasi potesse esplodere da un momento all’altro.
Era un coso grande metallizzato, lucido, un prodotto degno di un modulo lunare pensò.
Lo aprì e constatò che c’era abbastanza cibo per giorni, accuratamente confezionato, con scritte ordinate in bella grafia che ne indicava la data di cottura, e il genere.
Si sentì consolato e infastidito allo stesso tempo.
Pensò che sua madre avesse telefonato a qualche donna del posto, promettendole un degno compenso in cambio di tanto bene. Si sarebbe potuto illudere che fosse stata lei in persona a preparare amorevolmente il tutto, ma non aveva una fervida immaginazione.
“Sai cucinare? Se non ti va quello che c’è in frigo , puoi cucinare da te ciò che vuoi mangiare.”
-Sì, ho un’idea di come funziona il meccanismo fame cucinare mangiare, mi perdo nella parte centrale però.-
Potrei aiutarti io.
Dan si passò le mani tra i capelli, desiderando di poterseli strappare per la frustrazione.
Voleva guardarla, darle una pacca sulle spalle per scherzare e .. non voleva soffermarsi sui dettagli di ciò che avrebbe voluto.
Non voleva che lei lo sapesse.
Sospirò e tirò fuori un contenitore d’alluminio con scritto “polpette al sugo”.
Accese il forno in attesa.
Spacchettò il pranzo e lo mise in caldo.
Il profumo delle polpette si espanse in breve e il botolo fu subito in cucina.
“Così è la vita! Una pisciata in libertà, un bel pasto caldo, una grattata dietro le orecchie e se ci scappa una bella cagnetta, meglio ancora!”
Furia non confutò e Dan gli mise una bella porzione fumane nella sua ciotola blu.
“Non dovresti mangiare da un piatto?”
-Non ci credo! Ti prego, devo pensare a qualche romanzo o film mentre mangio, così non mi vedi e non mi riprendi!-
“Scusa. Mangerei con te volentieri anche dal pavimento.”
-Lascia perdere. Sono uno stronzo, non lo faccio apposta.-
Dan si mise la porzione in un piatto, corrispondente a tutte le polpette rimaste nel contenitore, la forchetta, un bicchiere sbeccato e si mise a tavola.
“Ti posso chiedere una cosa insolita?”
-Hai paura di sconvolgermi?- sorrise Dan.
“No, effettivamente, hai ragione.”
-Dai Sarah, non farti implorare, ho fame!-
“Sì, scusa.. potresti pensare intensamente al cibo che stai per mangiare mentre lo fai?”
-Intensamente? Vuoi scoprire se puoi provare il gusto attraverso me?-
“Qualcosa del genere.”
Dan sorrise ancora, cosa alla quale non era affatto abituato e prese la prima polpetta, la annusò, la infilò in bocca intera e attese, poi la morse con circospezione, cercando di cogliere il sapore in ogni sfumatura, quasi stesse interpretando un’opera d’arte.
Dovette ammettere che in quel modo il cibo acquistava parecchio.
Di solito ingurgitava come un orso appena uscito dal letargo, a meno che ci fosse un pranzo coi suoi, la qual cosa corrispondeva a un pasto formale, per cui nessun sapore, solo gomiti stretti e troppe posate.
-Che ti pare?-
“Sono sconvolta.”
-Oh, Sarah, senti, mi dispiace, ce l’ho messa tutta, ma forse sono un caprone insensibile!-
“Dan, Dan… fermo, aspetta! Griderei al miracolo se potessi! Ho sentito il sapore della polpetta, non so spiegarti.. non in bocca, ma il senso era lo stesso, era deliziosa! Non ne ho mai mangiate di così buone!”
Dan si scoprì il volto in fiamme. L’entusiasmo di Sarah per qualcosa che aveva fatto per lei, lo imbarazzò e lo inorgoglì a tal punto, da lasciarlo sgomento.
In quel momento fu felice che lei non potesse vederlo e si sentì sufficientemente sicuro che lei fosse troppo presa dalla scoperta per accorgersi del suo turbamento.
Proseguì col pasto prima che i pensieri gli affollassero la mente e lei fosse privata di quella piccola gioia.
Guardò Furia che si leccava i lati della bocca soddisfatto.
-Diventerai una botticella, non un semplice botolo e dovrò appenderti al collo di un San Bernardo!-
Furia scodinzolò appena Dan gli parlò e andò a posizionarsi felice tra i suoi piedi.
-Come faccio adesso a sparecchiare?-
“Ti darei una mano se potessi.”
-Lo so, non chiedermi perché, ma ne sono certo.-
Attese che Furia fosse addormentato, neanche fosse un bambino e con delicatezza si alzò, lasciando nel lavello la forchetta e il bicchiere.
Uscì dalla cucina e prese un cambio d’abiti dirigendosi verso il bagno.
Si bloccò davanti la porta.
-Sarah?-
“Dimmi.”
-Tu sai quando vado in bagno? Quando mi lavo e cose del genere?-
“Beh, fin’ora mi hai tenuta lontana con la tua negazione, ora mi sembra di essere sempre più connessa con te. Non saprei, proviamo e vediamo che succede?”
-Ma sei fuori? Non se ne parla proprio!-
“Che fai, non ti lavi più? Finirai per puzzare come il caprone che dici di essere. Scusa!”
-Scusa, scusa… non mi va questo aspetto della cosa. Mi spoglio io, ti spogli tu. Così non vale.-
“Qualcosa che non devo vedere?”
-Se intendi che abbia problemi, stai tranquilla, tutto a posto, in ogni aspetto del mio corpo. Nessuna lamentela che io sappia.-
“Oh..”
Dan si sarebbe preso a schiaffi per la linguaccia che si ritrovava, ma si sentì inorgoglito dal senso di gelosia che sentì provenire da Sarah.
Entrò in bagno e rifletté sul modo perlavarsi senza compromettersi, se così si poteva dire.
Decise di mettere musica a tutto volume con lo smartphone.
Ogni canzone che aveva messo in playlist era un emozione che lo faceva andare lontano coi pensieri, sperava che funzionasse.
Accese ed attese.
Quando i Radiohead gli pervasero il cervello si concesse di spogliarsi, senza mai guardarsi ovviamente, né allo specchio, né le mani che toglievano gli abiti.
Sembrava uno sbronzo al buio.
Dopo aver più volte inciampato sui propri abiti, poté finalmente buttarsi sotto la doccia.
Il piacere dell’acqua fresca sulla pelle accaldata lo pervase senza rendersene conto.
“Questa sì che è una bella sensazione…”
Per poco non scivolò, ma non poté evitare di andare a cozzare contro il portasapone.
Che dolore!
Si guardò inorridito e ogni proposito di scordare la propria nudità,andò a farsi benedire.
Si ritrovò a considerare il proprio aspetto, come se lei fosse di fronte a lui, invece che nella sua mente.
Andò in panico e si finì di sciacquare velocemente, imbarazzato ogni volta che si passava la mano fra i genitali.
Si lanciò fuori dalla doccia e si infilò l’accappatoio come se ne andasse della propria vita.
Quasi cadde sul tappetino del bagno, accasciato col cuore in tumulto.
“Perdonami, ti prego Dan, perdonami. Non volevo davvero.”
Dan non riuscì a risponderle,non riusciva a pensare.
Si sentiva furioso, non con lei, per la frustrazione della situazione in cui si trovavano.
Avrebbe voluto consolarla, avrebbe voluto corteggiarla, conoscerla e l’imbarazzo che aveva provato all’idea che lei potesse guardarlo in un momento vulnerabile l’aveva sconvolto.
-Risolverò tutto Sarah, ci penso io, lo giuro.-

Conoscenza-I racconti di Dan .3-


Dan aveva passato alcuni giorni evitando tutto e tutti.

I suoi non se la presero, sospettava anzi che non affrontare la pazzia del figlio li facesse respirare meglio.

Gli amici si tenevano lontani, come lui aveva quasi preteso, coi suoi silenzi, le sue risposte mai arrivate ai messaggi sul cellulare, alle e-mail sul PC, alle chiamate lasciate squillare a vuoto.

Ora era solo, finalmente e dolorosamente solo.

Nessuno a chiedere qualcosa che non poteva dare, nessuno che lo guardava giudicandolo o compatendolo, nessuno accanto.

Disteso sul letto con le luci spente stava lasciando scorrere le ore senza riuscire a trovare sonno.

Furia dormiva fuori, nel giardino enorme di quella casa troppo grande per gente che si perdeva sempre.

Sua madre amava il cane a modo suo, come un cane, non era Furia, non era un botolo peloso sgraziato e simpatico, per lei era un cane, da vaccinare, da pulire, di cui ricordarsi per i pasti e per le passeggiate con sacchetto e paletta.

Dan lo avrebbe lasciato dormire in camera, come tante altre volte, se non fosse stato tanto necessario per lui restare solo, voleva stare così solo da stare male, perché per molto tempo non aveva provato il silenzio dei suoi pensieri banali, senza sentire che altri pensieri alieni gli si rimestavano dentro.

Sapeva che lei si era solo ritirata in un angolo del suo cervello, ma anche così andava bene, stava ritrovando lucidità e non doveva fingere, e le pastiglie erano ancora lì, da giorni, inutili come sempre.

Si tirò il lenzuolo sul mento, con la sensazione infantile di corazza di cotone contro gli incubi troppo grandi della notte estiva.

-Buonanotte Sara, domani ti cerco, promesso. Buonanotte.-

Chiuse gli occhi sorridendo mentre una sensazione di calore lo lasciò sereno.

Il sonno lo colse improvviso e Dan si ritrovò in un corridoio nero, scuro, dalle pareti impalpabili, con la netta sensazione di avere compagnia, ma di non avere accesso agli altri, di qualunque entità fossero.

Rimase fermo, in quel tunnel che intravedeva appena e non avrebbe saputo dire se la luce soffusa fosse di fronte, dietro o sopra di lui, c’era e basta.

Fece qualche passo incerto, con la paura che gli attanagliava un cuore che non sentiva battere in petto.

Cercava qualcosa o qualcuno, perché tutto ha un senso e lui era impaziente di capire quale fosse il motivo che lo aveva portato lì.

“Dan?”

Lui si girò, ma non vide nulla, solo quella tenebra illuminata da una nebbia di luce.

“Dan, sono Sarah.”

“Sara? Dove sei?”

Si sentì sfiorare da un tocco lieve e istintivamente si prese il braccio per stringere la mano che percepiva su di sé.

“Perché non ti vedo? Ti ho sentita.”
Una risata argentina si espanse tutt’intorno.

“Non mi vedi, perché io mi vergogno, sono abituata a presentarmi a te senza le mie sembianze e ora mi sembra strano mostrarmi…!

Dan voleva gridare dalla frustrazione, “Ti rendi conto che mi hai abitato il cervello, vedendo tutto ciò che lo attraversava, non dovrei essere io in imbarazzo?”

“Hai ragione, scusa.”

Una ragazza della sua età gli stava di fronte.

Era eterea, incorporea, eppure la vedeva: i capelli neri come la notte le fluttuavano attorno, gli occhi ansiosi erano un cielo limpido, pelle chiara, nasino e bocca disegnati, era bella nella semplice divisa scolastica.

Non sapeva che dire e gli uscì la prima frase che gli venne in mente: “Perché sei in divisa?”

La ragazza rise sorpresa: “Non lo so, ero vestita così l’ultima volta che ricordo, ero uscita da scuola.”

“Ma tu non sei italiana. Sara è Sarah, ecco perché mi sembrava che lo pronunciassi con la lingua arrotata! Sei inglese?”

“Sì, lo sono Dan. Non so come sia finita qui e non conosco l’italiano, ma a quanto pare ci capiamo, o io lo sto parlando grazie a qualche capacità acquisita.”

Dan sorrise: “Io me la cavo un po’ con l’inglese, ma andiamo avanti così, non vorrei dovermi ricredere sulle mie capacità. Sto sognando, sei nella mia testa?”

Sarah gli si avvicinò: ”Mi avevano detto che in sogno ci saremmo potuti vedere, ma solo se tu mi avessi accettata. Immagino quindi che ora mi tu mi creda..”

Dan alzò le mani, o un ricordo di esse, o una proiezione mentale corporea: “Ok, ti ho già detto che voglio dare una chance a questa storia, ma andiamoci piano, va contro tutto ciò che conosco. Sei viva o sei..” non riuscì a terminare, non voleva ferirla, era difficile.

Sarah si limitò ad alzare le spalle con aria afflitta.

Dan allungò una mano e le toccò un braccio in segno di conforto. Rimase incredulo per la sensazione realistica che provo al tatto.

Sarah stava trattenendo le lacrime, con lo sguardo che correva intorno per non incrociare quello di Dan, poi crollò, fiondandosi tra le sue braccia.

Dan rimase incerto, incapace di muoversi, non era bravo in queste cose. La cinse con un abbraccio goffo e la lasciò sfogare.

“Pensi che mi si bagnerà la maglietta anche in sogno?”

Sarah lo guardò da sotto, sorrise con le labbra un po’ incerte e lo strinse forte, evidentemente confortata dal suo calore.

Dan si sentì svanire, risucchiare.

“Che mi succede, non voglio lasciarti sola!”

Sarah lo guardò mesta allontanandosi: “Non preoccuparti, ti stai svegliando. Torna, ok? Non voglio più stare sola qui.”

Dan non riuscì a rispondere, fu tutto troppo rapido.

Sapeva di essere sveglio, ma voleva tornare a sognare, stringeva le palpebre cocciutamente, ma niente.

Si prese le ciocche tra le mani e tirò sospirando frustrato.

Non voleva pensare e avere la voce nella testa, non voleva sentirla prigioniera dentro di sé, temeva che si sarebbe aperto il cranio con un apriscatole in un impeto di pazzia lucida. Proprio adesso che sapeva di non essere pazzo.

“E adesso?”

Una donna, un guerriero.


 

La paura, la tristezza che bussa, non deve esserci, ma c’è.

Allora, il mondo diventa distante, la gente è altro da me, pericolosa,ogni parola una potenziale bomba inesplosa. Allora divento piccola in un corpo troppo grande, mentre vorrei rimpicciolisse a misura di colibrì, come il suo battito il mio palpito.

Vorrei un abbraccio stretto, ma so che poi ti allontano, sono dura, ferita sempre, ma nasconderlo è un mestiere. O sei con me sempre, dentro di me, amandomi sopra ogni cosa o io ho bisogno delle mie barriere, del mio appoggio e delle inferriate per non cadere e lasciare un po’ di spazio fra noi. Ti devo guardare da lontano e riflettere, per decidere come prenderti, per difendermi. Non è difficile, è quasi banale, io posso cadere giù, così in basso da stare male e non posso permetterlo, se nessuno corre a scacciare i draghi, chi mi difende? Io, lo faccio da me e così dev’essere, sono d’accordo, ma questo senso d’abbandono, questo sentirmi poco è un mio problema e se alzo i muri col mondo a volte, bene, continuerò a farlo, senza ammetterlo, senza spiegazioni, col sorriso sul viso e sgretolando dentro.

Un abbraccio vero, nient’altro. Nessun altro approccio, non è il momento. Poi passa, passa sempre. Quel buio torna nel suo angolino e via. Ci sono momenti in cui piccoli dettagli coincidono casualmente e caoticamente rimandandoti il peggio di ciò che hai vissuto, come un viaggio a velocità folle tra i tuoi incubi reali, come quella giostra da bambina in quel vagoncino trainato tra mostri e musiche inquietanti e poi i fantocci che al tuo passaggio si avvicinavano: io ne ero terrorizzata e facevo incubi orrendi, ma mi obbligavano, perciò..

Ci sono tante cose belle nella mia vita, mi detesto per non apprezzarle in questo giorno, in realtà sono sempre grata, ma va così, ero troppo esposta agli eventi, oggi metto la corazza.

Say hello to heaven, Salutami il paradiso


La testa ovattata nella morsa stretta  e Chris canta il saluto al Paradiso e nel tempio del cane io mi rimetto.

Say hello to heaven…heaven…  e io non ho pace, perché ogni tempo ha il suo ritmo e il mio batte ad ogni fiotto di sangue che il mio cuore innonda .

Che la voce del trovatore perduto mi indichi la via, mentre mi sollevo da ogni giudizio e seguo la sua scia.

Che il mondo ruoti sempre con le sue rivoluzioni, a me che importa? Io ho cercato sempre di essere di più, di essere la mia versione migliore, ma a che scopo? Non lo so e non lo troverò. Io scrivo il mio lamento, ogni graffio subito, ognuno scalfito in squarci profondi e se chiudo gli occhi sono andati, cancellati.

Se chiudo gli occhi il sonno  mi porta in posti lontani e mi muta, disegnandomi nuova, rifacendo la storia e rimettendomi in pasto al fato ignoto, lasciandomi Alice in orbita, che poi a picco scende di quota.

Ho trovato il video della canzone che mi sta accompagnando sul tubo e ho postato per voi questo con il testo, perché è poesia pura, commovente e struggente come solo il saluto a un amico amato può essere.Chris Cornell saluta Andy Wood.

Ci provo a rendere le sue parole, un omaggio a voi.

Saluta il Paradiso

Ti prego Madre Misericordia, portami via da qui, e le lunghe maledizioni senza fiato che continuo a sentire nella mia testa.

Le parole mai ascoltano e chi insegna non impara, ora la candela mi riscalda , ma sento troppo freddo per bruciare.

E’ venuto da un’isola e dalla strada è trapassato ha sofferto così tanto come un’anima che si spezza, ma non mi ha mai detto nulla, così.. saluta il Paradiso.

Nuovo come un bimbo, perso come una preghiera, il cielo era il tuo campo di gioco, ma la fredda terra fu il tuo letto.

Povera osservatrice delle stelle, non ha più lacrime negli occhi, lieve come un sussurro sa che l’amore cura col tempo tutte le ferite, ora sembra che il troppo amore non basti, sarà meglio che tu vada in cerca di un’altra strada perchè questa si è interrotta all’improvviso.. saluta il Paradiso

Non ho mai voluto scrivere queste parole per te, con pagine di frasi di cose che mai faremo, così soffio sulla candela e ti metto a letto, dal momento che non puoi dirmi, beh,come ti hanno rotto l’osso i cani. C’è una sola cosa rimasta da dire… saluta il Paradiso…

Inquietudine


Sogni che mi avvolgono, mi tormentano con spire fumose e rantoli deliranti.E’ troppo tempo che la mia mente non ha pace, nel sonno io cerco ristoro. La morte che mi si presenta come un dilemma: ho visto la vita spegnersi in me e davanti ai miei occhi e non la rispetto più, perché ora mi fa paura.

Mia madre cerca di essere malata, da anni, cerca di avere il male peggiore e non vive e la gente che ha riso e vissuto intorno a lei muore. Mi sembra una bestemmia questo suo modo di vivere e mi soffoca e mi perseguita, perché non c’è mai gioia da lei, solo promesse tacite di dolore. Non la sopporto più, sinceramente. Se cerco di allontanarmi per trovare serenità, arriva un malore, esami nuovi per nuove cose e io mi sento raggirata, perché mi vuole legata a sé per senso di colpa.

Ciò che è ancora beffa per me è che sono fuggita da lei da tempo, per non morire, sono seria. Mi ha dato poco, tante incertezze e incubi per sempre.

Stavo meglio, ho provato a chiamarla per far finta di niente, per ignorare la mia rabbia e lui mi ha fatto sentire un niente, colpevole: sta andando a fare un esame, non si sa cosa ne uscirà fuori, non riesce a mangiare…. e io come sempre: come , perché, che succede (ancora)?

Torna nonna, torna ti prego, anche fosse in sogno, perché ho un disperato bisogno di te, delle tue parole: tua figlia mi fa male e ho bisogno che tu mi capisca.

Se dovessi pensare al mio bene, unicamente, taglierei ogni residuo legame con mio padre, che comunque è già assente da sempre, con mia madre che è Ego allo stato puro e non permette ad altro di esistere.

Non so cos’altro aggiungere… mi è passato il momento duro, ora mi lascio scorrere e aspetto che le emozioni fluiscano via nel ciclo continuo che é la vita tra presente, passato e futuro.