Il villaggio. Gemma


Le tre sorelle si affaccendavano nella stanza buia, c’erano grida di disperazione, grida agonizzanti.
Le tre donne cambiavano gli stracci insanguinati con altri puliti.
Mi manca l’aria, mi manca nei polmoni, una stretta letale.
La donna più alta si volta e sgrana gli occhi incredula. Mi prende e mi volta.
Un dito in gola e un massaggio sulla schiena.
“Forza piccola, forza!”
Un dolore atroce mi esplode nel petto e si espande.
Il primo respiro che brucia come fuoco e grido con tutte le mie forze!
La donna mi solleva trionfante.
“E’ viva!”

Mi aggrappo alle vesti di mia sorella, non voglio che mi prenda quella grassa, lei mi pizzica di nascosto, mi dice cose che non capisco, ma so che sono brutte. Mi aggrappo forte e piango.
“Questa mocciosa è davvero viziata. Lascia che me ne occupi io Ash.”
“No, se ne occuperà Dust, tu vai al mercato a prendere altro latte di asina.”
“Per la bambina! Ormai qui non si fa che correre dietro alla bambina. Che follia. La madre è andata, sarebbe stato più giusto che anche lei…”
“E’ nostra sorella!”
“Sì, ma nostro padre è partito subito, d’altronde con la delusione che si è preso…”
“Crumbs, ora taci. Vai al mercato.”

Seguo mia sorella nel bosco. Dust è silenziosa e mi considera poco, ma sono tranquilla, perché si occupa dei miei bisogni e mi lascia in pace, le basta che io le ubbidisca.
Credevo che Ash fosse mia madre, ma Crumbs ha detto che mia madre era una povera sgualdrina che mio padre ha ingravidato per avere il suo erede. Non so bene cosa significhi, ma ho capito che mia sorella non amava mia madre.
Ash mi abbraccia quando siamo sole e mi pettina i capelli tante volte, con pazienza e io mi assopisco, mentre mi racconta storie di paesi lontani e principi coraggiosi.

Ci sono dei dolci alla marmellata in cucina. Non mangiamo mai dolci, quasi mai. Mia sorella Ash ha voluto che per questa visita offrissimo ai Savi dei dolci e Crumbs li ha sfornati, anche se non era contenta. Lei non è mai contenta e tante volte l’ho sentita minacciare di liberarsi di me. Qualche volta, dopo che Ash l’ha sgridata aspramente, Crumbs si rintana in cucina e mentre seleziona le erbe mediche da essiccare, borbotta parole orribili. Una volta mi ha scoperta mentre la spiavo e non mi ha detto nulla, ma il suo sguardo mi ha tormentata per molte notti. Sognavo che un’ombra nera appariva dalla montagna dietro la nostra casa e io correvo, perché l’ombra si estendeva velocemente inseguendomi. Sapevo che mi avrebbe presa e sapevo che sarei scomparsa per sempre. Quando mi svegliavo correvo davanti allo specchio. Temevo di essere scomparsa.

Sono a scuola e i miei compagni mi trattano con cortesia, ma nessuno è mio amico. Sento i bisbigli dietro la schiena e anche la nostra insegnante mi tiene a distanza. Temono le mie sorelle. Un mio compagno mi ha aspettata un giorno sulla strada per casa. Ero felice, non mi sembrava possibile che finalmente qualcuno della mia età volesse parlare con me.
Gli ho sorriso e gli sono corsa incontro. Lui mi ha sorriso ed è arrossito un po’.
Ci siamo incamminati e abbiamo parlato della scuola, dell’insegnante e di sciocchi avvenimenti che ci hanno divertito.
Stavamo ridendo e ad un tratto lui è sbiancato, fermandosi in mezzo alla via.
“Che succede Baron?”
Lui mi ha guardata e con le lacrime agli occhi ha scosso la testa per poi correre via con quanta forza gli consentivano le gambe.
Mi sono voltata per proseguire verso casa e lì, davanti a me, c’era Crumbs che sorrideva felice.
Ho capito subito. Non potrò avere amici, mai. Mi vergogno terribilmente, non oso immaginare cosa abbia sentito Baron, o che incubo abbia vissuto, nella sua mente.

Ash vorrebbe che io mi fidanzassi, ma non oso dirle che nostra sorella lo impedirebbe.
Ogni ragazzo, pochi, che ha provato ad avvicinarsi a me, è stato terrorizzato da Crumbs.
Io però sto imparando a nascondere i miei poteri. Sento quello che le mie sorelle trasmettono, sento quello che cercano di carpirmi. Dust vorrebbe sapere quanto sono forte; ha bisogno di sottomettersi al potere e sta considerando la mia posizione all’interno della nostra famiglia. Crums mi odia, mi odia con ferocia, io sono arrivata dopo eppure conto più di lei. Odia il mio potere, la mia giovinezza, la mia bellezza e l’affetto che Ash prova nei miei confronti.
Non posso parlarne con Ash, le tre sorelle hanno un rapporto simbiotico difficile da deviare, se mi confidassi con lei, le altre sentirebbero almeno in parte le mia confidenze. Vorrei che lei capisse quanto sono in pericolo all’interno della mia stessa casa, ma la sua fiducia nelle altre sorelle è totale.

Stanno facendo cose orribili, come possono!
Le montagne gridano vendetta e cercano soddisfazione. Gli spiriti aspettano le loro vittime e se non arrivano spontaneamente, vanno procurate. I Savi minacciano la vita delle mie sorelle, le quali si salvano solo grazie alla protezione degli spiriti delle montagne.
Crumbs rapisce bambini dai villaggi. Le persone si uniscono in gruppi per cercare i propri figli e si avventurano sui sentieri che conducono al villaggio, ma gli spiriti ne rapiscono la memoria e la forza vitale, lasciandoli fragili come neonati.

L’ho salvato! Non ho potuto lasciarlo agli spiriti! Il mio principe coraggioso, l’ho riconosciuto! E’ bellissimo e il suo cuore è purissimo. Ho pianto dall’emozione e l’ho portato a me. Purtroppo ha capito subito cosa sono le mie sorelle ed è convinto che io sia come loro. Non si fida di me, ma io devo salvarlo. Lo amo e il mio amore ci salverà.

“Gemma!”
Lucash apre gli occhi annaspando. Perla acciambellata ai suoi piedi lo guarda e l’uomo scoppia a piangere. Un cuore spezzato fa molto male.

Il villaggio. Lucash affronta i Savi e i ricordi.


“Non ti prostri al nostro cospetto?”
Lucash rise sprezzante.
“Facciamo che io mi sia umiliato e che voi abbiate rinunciato ai trucchetti da baraccone.”
Una corrente fredda lo avvolse e una nebbia impalpabile calò su di lui, ma Lucash non batté ciglio.
I Savi si muovevano con una velocità inafferrabile. Lucash pensò agli uomini degli alberi, nelle terre libere. No, sapeva di esserci vicino, ma non aveva ancora colto la loro precisa provenienza.
“Bene, vi siete riscaldati? Posso invitarvi a sedervi per una volta? Mia figlia ormai è grande e io vorrei che mi evitaste questa cosa, in qualsiasi modo voi la intendiate.”
Una voce fredda e bassa si fece largo nella sua mente.
“Appartieni al villaggio. Ricordalo.”
Lucash scosse la testa annoiato.
“Non lo dimentico, impossibile con queste visite. Ora, se voi cinque voleste fermarvi un attimo…”
Tutto si fermò, la luce nella stanza se ne andò e tornò a intermittenza.
Un alone verde rischiarò l’ambiente spargendo luce dal nocciolo tondo che galleggiava ondeggiando a mezz’aria.
Cinque identici uomini erano schierati di fronte a Lucash.
I loro crani pelati, le loro vesti candide, bordate di filo dorato.
I loro occhi scuri erano inclinati e stretti, le labbra sottili e i nasi piccoli.
“Monaci. Siete monaci dell’Ordine Ricostituito.”
I cinque si inchinarono.
Parlarono all’unisono e le loro voci lo stordirono.
“Nessuno prima ci ha mai visto per quelli che siamo. Tu, straniero, hai capacità notevoli che evidentemente nascondevi.”
“No, non ho mai nascosto chi sono. Sono vivo perché voi avete ritenuto che io valessi qualcosa.”
Risero in coro, un brivido di inquietudine lo attraversò.
“Siamo persuasi che la figlia di due elementi notevoli sia un acquisto eccellente.”
“Berta…”
Uno dei cinque si mosse così velocemente che Lucash non riuscì a cogliere lo spostamento, ma se lo ritrovò di fronte all’improvviso.
“Dov’è la tua preziosa figlia?”
“Calma, voi sapete sempre tutto. Perché vi agitate? Il Consiglio è alle porte. Sapete dov’era per tutto il ciclo lunare.”
In un istante i cinque erano di nuovo schierati.
Di nuovo presero a parlare insieme.
“Le Tre sono in eterno sospese, tra vita e morte, gioia e dolore e nessuno potrà spezzare loro le catene. Provano le sorelle a invertire l’ordine del potere, ma nulla si compie senza la nostra volontà.”
Lucash prese una sedia e si accomodò.
“Non dite che non vi ho offerto la stessa cortesia, ma sono stanco. Per cui restate pure in piedi se preferite. Ho capito abbastanza bene la questione tra voi e le megere, ma io in tutto questo dove mi trovo e soprattutto, cosa volete da mia figlia?”
Risero, risero di lui, con quella unica corale voce che sembrava graffiare le pareti fino al mattone nudo.
“Straniero, sei ingenuo. Tua figlia è tutto. L’abbiamo aspettata a lungo. A lungo fratelli. Oh, quanto dolore l’attesa infinita e le montagne hanno gridato d’impazienza! Sì, quanto hanno ululato tra le creste protese e il cielo ha tuonato e noi abbiamo tremato! Molte vite sono state spese, ma l’ordine va preservato.”
Lucash li guardava affascinato e inorridito al contempo.
Sentiva Perla, ma non la individuava.
Per quanto inusuale, la sua presenza lo confortava.
“Bene. Tuoni, fulmini e vento impietoso, ho capito. Mia figlia dovrebbe equilibrare le forze in gioco. Ho capito bene?”
“Non ti è dovuto di capire!”
L’urlo di rabbia così potente che pensò di svenire, come un’onda d’urto, la loro voce si era abbattuta sul suo petto.
Raccolse le forze e li squadrò.
“Non sacrificherò mia figlia.”
Di nuovo risero.
“Temi forse che possa divenire una gatta?”
Lucash si sentì scuotere da una furia improvvisa e i Savi lo guardarono stupiti.
“Calmati straniero. Il Consiglio non si è ancora tenuto, ma ti avvertiamo: tua figlia non deve più stare in presenza delle Tre. Lei è predestinata e sarà onorata sul più alto dei troni. Ti tolleriamo in quanto suo padre. Ti sia di ammonimento.”
“Capito.”
Ne aveva davvero abbastanza.
I tre annuirono e con un gesto l’uomo al centro attirò il nocciolo verde al centro del suo palmo e chiuse la mano.
Lucash si trovò solo nell’istante in cui batté le ciglia.
“Assurdo, sempre più assurdo.”
Perla sedeva ai suoi piedi e lo osservava.
“Ti serve il mio sangue o sei preoccupata per nostra figlia?”
Lucash si prese il volto tra le mani, i gomiti piegati sulle ginocchia e sospirò.
Cercava di ripercorrere ogni istante della visita dei Savi.
Aprì gli occhi e guardò la gatta.
“Devo capire ancora molte cose, ma tu cara, sarebbe davvero utile se potessi esprimerti.”
Perla chinò il capo e lo posò sul suo piede destro.
Lucash si sentì percorrere da una vertigine potente, tanto da provocargli una nausea fortissima.
Si accasciò sulla sedia, prossimo allo svenimento. Capiva che doveva lottare la sensazione o lasciarsi fare.
Decise contro ogni buon senso di fidarsi e immagini sconosciute gli attraversarono la mente.
Perla…
Gemma!
Stava rivivendo ogni ricordo di Gemma.

Il villaggio. Il passato è vicino


“La stanno prosciugando.”
Il ragazzo era turbato, Lucash si preoccupò di più per questo. Kajey era solitamente indifferente, seccato al più, ma preoccupato no.
“Mancano tre giorni e poi torna a casa.”
Kajey rise sprezzante.
“Ah sì, torna. In che condizioni? Poi, dopo che torna completamente svuotata, abbiamo una settimana prima del Consiglio. Mi sembra un suicidio.”
Lucash lo squadrò severo. Il ragazzo perse un po’ del furore. Non si era reso conto che Lucash potesse essere temibile, ma con quello sguardo truce appariva in tutta la sua terrificante possenza.
L’uomo di fronte allo sguardo impaurito di Kajey si rilassò e sorrise.
“Come fai? Sembravi diverso. Non mi ero reso conto fin’ora della tua altezza, com’è possibile?”
Il tono del ragazzo era accusatorio, ma al contempo riverente.
Lucash sospirò e si sedette sulla panca che poggiava sul muro esterno della casa.
“Siediti.”
Kajey ubbidì, seccato per il bisogno di farlo.
“Allora, tu sai che io vengo da fuori.”
“Anch’io a quanto pare.”
“Esatto, anche tu. Qui, tutti sono sani, felici e nessuno deve faticare troppo a cercare risposte, perché viene deciso tutto dai Savi.”
Kajey annuì in attesa.
“Loro hanno l’arroganza di sentirsi al di sopra del mondo esterno. Ciò li mette nella condizione di ignorare la forza e i misteri degli altri uomini. Quindi non hanno strumenti per capirci. Ci pensano pulcini inermi e ci abbandonano al nostro destino solitamente. Capisci? Non valiamo la pena neanche di uno scontro.”
“La montagna combatte gli esiliati, loro non devono pensarci più.”
“Siamo così sicuri che siano tutti morti?”
“Non lo so Lucash. Tornava la tua gente dalla montagna?”
“Io non ho vissuto in mezzo alla gente comune. Ho fatto una vita privilegiata, infatti delle mie terre io ero il principe ereditario. Mi hanno cresciuto insegnandomi l’arte della guerra, della diplomazia e la storia che serve per non dimenticare dove altri prima di me hanno fallito.”
Kajey sgranò gli occhi.
“Sei serio.”
“Sincero? Sì. Ho abbandonato tutti. Volevo cercare un bambino che dicevano scomparso dal villaggio…”
“Perché mi guardi così?” Kajey ebbe una spiacevole sensazione, una vertigine come se stesse guardando in faccia tutto il senso del mondo.
“Perché era scomparso anche un neonato, suo fratello.”
“Sarebbe una coincidenza incredibile.”
“Per niente. Da terre vicine da un po’ di tempo si diceva che venivano rapiti bambini per portarli sulle montagne. Qualcuno li offriva agli spiriti, dicevano.”
“E tu ci hai creduto? ”
“Ci ho creduto dopo aver indagato e scoperto che ombre nere erano apparse in sogno a più persone e la descrizione coincideva. Dicevano che portavano vesti di fiori secchi. Incredibilmente, nonostante fossero passate ore, Un passaggio di fiori appassiti ci apparse come una pista segnata per noi. La seguimmo fino alle pendici della montagna.”
“Hai proseguito.”
“No, ho riportato al castello la mia scoperta. Mi hanno intimato di abbandonare e pregare per le anime dei bambini. Io non ho voluto. Mio fratello ha pianto vedendomi partire. Io l’ho lasciato indietro. C’erano delle persone che si diceva fossero tornate dalla montagna. Erano incapaci di parlare, di reagire agli altri. Gusci vuoti dicevano.”
Lucash parve vinto dai ricordi.
“Non possiamo essere io e mio fratello. Io potrei essere il neonato, ma Karho è nato un anno dopo di me. Sono altri da noi quei bambini.”
“La madre di quei bambini venne fuori che era scomparsa dopo il parto, ma siccome era una forestiera, la gente non aveva dato peso alla notizia. Lo so, è un’ingiustizia.”
“Da dove veniva?”
“Era la moglie di un diplomatico che era morto in viaggio e lei si era ritrovata incinta, bloccata nelle mie terre. Aspettò di partorire, aveva comunicato alla levatrice che sarebbe ripartita appena il nuovo nato fosse stato in grado di affrontare il viaggio. Io non lo sapevo, altrimenti avrebbe avuto diritto di alloggio al castello. La sua estrazione sociale glielo consentiva, ma il marito era morto prima di arrivare a corte e non so perché lei scelse di restare per conto suo.”
“Lucash, da dove veniva?”
“Dalle terre degli Uomini Degli Alberi. Le Terre Libere.”
Kajey scoppiò in un singhiozzo, non era pronto alla propria reazione, ma ad un tratto sentiva nelle ossa che quel neonato era lui, che quella era sua madre.
Lucash lo abbracciò stretto, fino a quando il ragazzo si calmò, accasciandosi, svuotato di ogni emozione.
“Mi dispiace ragazzo.”
“Pensi che sia viva? Come è possibile che poi sia nato Karho e lei sia sparita?”
“Non lo so, lo scopriremo. Sono quelle streghe, ne sono sicuro.”
“Karho è mio fratello?”
Il dolore negli occhi di Kajey era tangibile.
“Sì, totalmente. Questo non me lo spiego: tuo padre non era morto, forse anche lui era stato rapito.”
Rimasero a riflettere in silenzio.
“Come fai a sapere che siamo fratelli davvero?”
“A parte la somiglianza eccezionale, ho i miei doni. Sento il sangue, è una caratteristica della mia famiglia. Il mio stesso sangue è potente.”

Il villaggio. Esercitazioni


“Non credevo fosse così.”
“Ancora? Non hai altri argomenti? Vorrei che ti impegnassi quando ti alleni.”
Karho sbuffò. Il ragazzo mite, sorridente e accomodante mostrava i primi segni di irritabilità.
“Mi sto impegnando Kajey, ma lei fa parte del piano e dovresti sapere con chi farai gruppo. Quando la rivedrai non avrai il tempo che pensi per imparare a conoscerla e non vorrei che fossi troppo duro.”
“Ah, pensi forse che la tratterei male? Da quando mi fai così meschino? Oh, aspetta lo so! Da quando Berta è diventata il tuo idolo!”
Karho osservò il fratello, non riusciva a credere a ciò che sentiva.
“Tu sei geloso.”
“Ma chi l’ha mai guardata due volte!”
Ancora più interessante.
“Io mi riferivo a me, al fatto che io che ti ho sempre ammirato più di ogni altra persona al mondo, ti possa togliere un secondo di attenzione perché sono amico di Berta.”
Kajey aveva un’espressione assurda, il fratello fece fatica a mascherare la risata che gli stava sgorgando dal petto. Preso!
“Uh, certo. Infatti, ma io non sono geloso. Cosa avrete da dirvi? Lei è una ragazza.”
Karho esplose, non ce la faceva più: rise con fragore e più rideva e più il cipiglio dell’altro aumentava, cosa che lo fece solo ridere di più.
“Sono lieto che te ne sia accorto!”
“Cosa pensi, che non sappia vedere la differenza tra maschio e femmina? Pensi che a me non interessino le femmine?”
Karho gli diede uno spintone, abbastanza scherzoso.
“A me non interessano le femmine eppure so distinguere e mi piace quella ragazza.”
Kajey proseguì, saltando da un ramo all’altro senza apparente fatica.
Il fratello lo seguì, sempre più abile. Il brivido della velocità, l’adrenalina per il rischio dell’errore nella presa del prossimo ramo, lo fecero eccitare. Si ricordò di un’altra volta in cui aveva provato le stesse emozioni e un volto gli apparve come un fantasma. Si riprese in fretta, spaventato dal turbamento e dalla possibilità di cadere per la propria stupidità.
Kajey si era fermato e lo stava guardando.
“Quindi, cos’ha di speciale da farti sbrodolare tanto?”
“Chi?”
“Come chi? Sei strano fratello: la tua amica!”
Per un attimo aveva temuto che Kajey gli leggesse nella mente, sperava ferventemente che quello non fosse un’altra qualità che avrebbero scoperto possedere.
“Berta è intelligente, non meno di quanto lo sia tu e non fare smorfie per favore. In più è dolce, comprensiva e molto divertente. Mi ha subito dato fiducia e la sua amicizia è importante. Ti prego, non prendermi in giro su questo.”
Il fratello lo stava guardando, serio; sperava che capisse o che almeno rispettasse la sua richiesta.
Kajey si limitò ad annuire e poi gli sorrise, apertamente, come non faceva da almeno due settimane.
Karho lo ricambiò e ripartirono in una gara che li lasciò stremati, sudati e felici.
“Ragazzi, che ne dite di scendere adesso?”
Con un salto che avrebbe significato fratture orribili per qualunque altro essere umano, i due furono di fronte a Lucash.
L’uomo aveva un’espressione soddisfatta.
“Siete bravi, Karho sei migliorato molto; non serve menzionare che a terra sei imbattibile. Kajey, sei agile, sei intelligente e il migliore osservatore. Ho bisogno che tu continui a studiare i manuali che ti ho dato. Non pensare mai a ciò che studi in prossimità di certi individui. Non lo ripeterò abbastanza, mai.”
I due ragazzi risposero all’unisono: “Sì, Lucash.”
L’uomo sorrise compiaciuto. “Bravi soldati, ma io vorrei dire amici. Posso?”
I fratelli si guardarono e poi gli sorrisero annuendo.
“Ora, chi mi sa dare notizie di mia figlia? So che è indipendente e forte. Nessuno è forte come lei. Lo capirete. Eppure sono un padre in apprensione.”
Kajey rimase in silenzio, lo sguardo basso. Karho prese parola, stranito dalle reazioni del fratello.
“Signore..”
“Lucash, Karho. Chiamami per nome. Ricordi? Siamo amici.”
Il ragazzo si sfregò la nuca imbarazzato.
“Sì, certo. Lucash, Berta resiste, lo sento che è forte. Quelle la molestano continuamente:”
“Le sondano la mente, questo intendi?”
“Sì, esatto. Si chiude in camera, quella di sua madre. Mangia poco, perché sa che quelle zuppe influiscono sulle sue capacità. Riposa ancora di meno per essere vigile. Nel tempo che riesce a ritagliarsi, all’alba solitamente, esce e si reca qui nel bosco. Cerco di venirci anch’io e parliamo.”
Lucash inarcò un sopracciglio incuriosito.
“Siete amici, eh?”
Il ragazzo arrossì. “Sì, lo siamo. Non facciamo niente di male.”
“Lo so, stai tranquillo. In realtà voglio ringraziarti. Lei ha bisogno di amici. Se passi prima a casa mia, ti faccio trovare del cibo da portarle durante i vostri incontri. Per entrambi.”
Karho non avrebbe voluto mangiare prima di fare colazione, perché temeva di rovinarsi l’appetito e dover rispondere poi alle domande della madre. Guardò quell’uomo speranzoso e acconsentì.
“Va bene. Volentieri.”
“Bravo ragazzo, ti sono molto grato. ” Lo colpì sulla spalla.
Entrambi guardarono Kajey che non si era esposto.
“Bene, possiamo continuare con l’allenamento? Avevi parlato di lotta Lucash.”

Il villaggio. Preparativi e promesse


“Non sembro più io, questa è una donna!”
Berta rise al proprio riflesso: una splendida ragazza con le gote scarlatte e gli occhi accesi di gioia la osservava. Indossava un abito turchese, aderente al busto con una gonna che le cadeva morbida fasciandole i fianchi stretti e le gambe lunghissime, mentre le maniche strette e lunghe si aprivano dal gomito a campana, dando enfasi a ogni suo gesto.
“Berta, tu sei una donna. Figlia mia, non sai quanto questo mi commuova e mi spezzi il cuore allo stesso tempo. Avrei voluto che durasse di più la tua infanzia. Avrei voluto proteggerti ancora, come continuerò a fare, ma era bello quando non c’era fretta e questo momento sembrava lontano.”
La ragazza si voltò e si tuffò tra le braccia del padre. Lucash la strinse forte baciandole il capo come tante altre volte aveva fatto da quando era nata.
“Andrà tutto bene.”
“Come puoi dirlo? Stasera devo andare dalle zie, per un intero ciclo lunare e il mese dopo ci sarà il Consiglio!”
Berta non riuscì a trattenere più la tensione e pianse col volto nascosto sul petto solido del padre.
“Ho dei piani Berta, ma non posso dirteli e sai perché. Tu stai tranquilla, mi occupo di tutto io, sarai abbastanza impegnata a contrastare gli attacchi psichici delle streghe.”
“Lo sono davvero quelle, lo so: non è più un gioco.”
“Non ti preoccupare, avrei voluto solo che fosse durata di più la tranquillità. Resisti Berta, sei una donna. Credi in me sempre. Capisci che non posso spiegarti adesso, ma quando tornerai, capirai tutto. Ti devi fidare di me e adattarti ai cambiamenti. Devi continuare ad allenarti con le trappole. Capito?”
La ragazza lo guardò, capiva che c’era un patto solenne tra loro anche se inespresso chiaramente.
“Sì papà.”
Lucash sorrise e l’aiutò a preparare i bagagli e ripose con cura l’abito confezionato per la figlia.
Sospirò per il peso di tutti quegli anni di tensione e preoccupazione costante, per la figlia, per la famiglia che non aveva più visto. Sperava con la speranza di un fanciullo alla sera che li avrebbe rivisti, che avrebbe avuto l’occasione di riunire tutti per la prima volta. Sarebbe anche potuto morire dopo. Non gli importava di altro.
Perla seguiva Berta ad ogni spostamento e la ragazza si muoveva lasciandole spazio, in maniera inconsapevole, come un balletto armonioso provato dai danzatori infinite volte.
Lucash soffriva un po’ per quella relazione incompiuta, ma non aveva troppa comprensione per la gatta. Avrebbe solo voluto che Berta avesse di più. Lui ci aveva provato, ma non era certo di bastarle.
“Berta, penso sia meglio che io non ti accompagni.”
La figlia apparve sorridendogli teneramente col bagaglio sulle spalle.
“Certo che no papà, non vorrai che ti trasformino.” Gli fece l’occhiolino e rise, poi lo abbracciò e ricevute le solite raccomandazioni si avviò attraverso il bosco.
Lucash guardò la gatta. “Già, non lo vorrei neanche io.”
Quella gli soffiò contro e si allontanò dietro la ragazza.
“Ok ragazzo, entra!”
Con un balzo Kajey gli apparve davanti sorridente.
“Il tetto?”
Lui annuì e l’uomo lo prese per il braccio e chiuse la porta.
“Bene, finalmente. Ci dobbiamo presentare?”
Il ragazzo scosse il capo. “Lo sa che io sono il figlio del pescatore e sa il mio nome. Io so il suo e che lei è un forestiero.”
“Sediamoci, credo di sapere un paio di cose che tu ancora ignori. Ti pare possibile?”
Sedendosi Kajey ridacchiò. “Lo spero signore, io voglio sapere tutto ciò che vorrà insegnarmi.”
Lucash si strofinò la barba corta. “Bene, ma dammi del tu, niente signore. Non lo sono più da quando ho posato il primo passo su quella maledetta montagna. In più, i compagni di avventura non hanno tempo per i convenevoli.”
“Lo immagino, io sono pronto e speravo che tu stessi organizzando qualcosa.”
Lucash annuì. “Sto organizzando tutto questo dal giorno in cui sono arrivato in questo villaggio. Ora che Berta ha diciassette anni e il Consiglio Segreto sta per riunirsi, è finalmente giunto il tempo di mettere tutto in moto.”
Kajey si fece pensieroso e l’uomo decise di lasciare che si prendesse il suo tempo.
“C’è una cosa che devo dirti e non cambierò idea, piuttosto me ne vado da solo.”
“Calma, calma. Qui mettiamo tutte le carte giù, scoperte. Decidiamo insieme. Non serve stare sulla difensiva. Dimmi,dai.”
“Sì, scusa. Si tratta di mio fratello.”
“Lo so, anche lui è diverso.”
“Lo sai?”
“Certo, ho notato un paio di volte come si muove.”
“Non posso lasciarlo qui.”
“Certo che no! Due Ragazzi Degli Alberi, e non ne avevo mai visti prima!”
“Non capisco Lucash…”
“Io sì. Non mi interessa che tuo fratello sia diverso per come lo intendi tu. Devi sapere che da dove vengo io, ogni bambino è uguale a un altro e si aspetta che crescano per sapere il loro orientamento emotivo, mi capisci? Nessuno lo dà per scontato. Non importa e basta.”
“Qui non è ammissibile, il fratello di mia madre è stato esiliato per questo. Mia nonna ne è morta e mia madre non è stata più la stessa.”
“Me lo ricordo.”
“Voglio ritrovarlo.”
“Lo ritroveremo.”

Il villaggio. Rivelazioni


“Non ho fretta, sai?”
Karho camminava spedito , cercando di disperdere quella voce tra i vicoli. Impossibile, quella voce aveva gambe veloci.
“Io aspetto, ricordalo e mi prendo ciò che è mio!”
Non doveva rispondere, non doveva mai rispondere, Kajey l’aveva sempre detto. Quella gente aspetta solo la scintilla per accendere la miccia. Niente scintilla. Zitto, zitto, zitto.
“Sei veloce per essere un cosino grazioso. Ti hanno detto che sono bravo a cacciare le mie prede? Non ne sopravvive una. Mai.”
La paura traspariva in rivoli di sudore che scorrevano come fiumi: sotto le ascelle, lungo la schiena, dal collo fino al ventre e tra i capelli ormai incollati al cranio.
“Fermati! Lo so che ti va, non c’è nessuno!”
Il tono lamentoso di Borg era quasi più pericoloso della sua arroganza, non voleva essere un suo capriccio.
“Lasciami stare, non ti ho preso niente. Non ho niente!”
La debolezza, ecco, come al solito si rompeva, doveva solo aspettare che arrivasse il momento di tensione giusto e lui si spezzava. Era davvero una cosina?
“No, non è vero! Tu mi hai preso qualcosa e io non riesco proprio a perdonarti per questo!”
La disperazione nella voce del ragazzo era tangibile e mentre correva Karho non poté evitare di sbirciare oltre la spalla.
Il ragazzo tanto più grosso era fermo in mezzo al vicolo, lo stava guardando con una tale furia e una tale brama che Karho si sentì mancare il fiato, ma era il dolore nei lineamenti dell’altro ragazzo a lasciarlo sconvolto.
“Io… devo andare. Scusa!”
Prese a correre forte senza più voltarsi indietro. Scusa? Era pazzo!
Se Kajey avesse assistito a quella scena pietosa cosa avrebbe pensato di lui? Sapeva di essere rosso per la vergogna più che per la fatica, perché nessuno sapeva che Karho era goffo spesso, per via della timidezza, ma nascondeva un’agilità mai vista su altri.
Ora, Borg lo sapeva? Aveva capito la forza che aveva dovuto trattenere per non scivolare via come un sussurro nel vento? Lo sforzo era stato faticoso, perché Karho avrebbe corso molto più in fretta.
Fin da piccolo aveva intuito che se si fosse fatto notare troppo sarebbe stato tutto più difficile. Ad ogni visita i Savi li squadravano, li mettevano alla prova fin dalla più tenera età e ne traevano le proprie deduzioni. Aveva osservato il fratello maggiore trattenere le proprie capacità col tempo, perché nessuno deve essere troppo lontano dalle aspettative. Il pericolo di essere esiliati era una creatura viva che li minacciava da sempre. Un mostro viscido e freddo che strisciando alle spalle soffiava minacce silenziose nei pensieri dei ragazzi.
Karho rallentò spaventato dal rischio che aveva corso. Attirare l’attenzione su di sé era stupido. Borg rispetto ai Savi era un rischio di minime proporzioni.
Sperava ardentemente che nessuno l’avesse visto.
Un fruscio dai rami sopra di lui e con un balzo leggiadro il fratello fu a un passo da lui. Karho si strinse il petto per lo spavento. Era troppo.
“Stai più attento.”
L’aveva deluso? “Sì Kajey.”
Il fratello lo prese per un braccio e si incamminarono verso casa.
“Non ti sto rimproverando. Dobbiamo parlare di molte cose. Il tempo è poco ed è tutto complicato.”
“Già, lo sto capendo. L’importante è che non mi lasci indietro.” Detestava il tono implorante con cui lo diceva, ma stava pregando davvero il fratello di portarlo con sé. Sapeva che se ne sarebbe andato e aveva deciso da tempo di seguirlo. Meglio rischiare la vita da liberi che lasciare fossero altri a finirla. L’avrebbero cacciato comunque.
“Ho parlato con i nostri genitori. E’ stato difficile Karho. Davvero difficile.”
“Va bene. Mi dirai tutto, vero?”
“Sì, certo. Devi capire che noi siamo sempre osservati, non solo dai Savi.”
“Anche dalle Tre.”
Kajey lo fissò per un attimo stupito e poi sorrise. “Sì, fratello. Dalle Tre. C’è il padre di Berta, anche lui è diverso, sai. Credo stia preparandosi a qualcosa. Dovremo contattarlo presto. Nostro padre dice che è un forestiero, un nobile.”
“Non l’hanno cacciato?”
“No, anzi. L’hanno trovato e portato qui. La madre di Berta voleva solo lui e tu sai di chi era sorella.”
“Capito. E noi?”
Kajey balzò su un ramo e con poche spinte si arrampicò fino quasi alla cima. Si fermò guardando il fratello in attesa.
Karho soppesò le proprie possibilità, era incerto, ma vedendo la fiducia sul volto del fratello scattò e con poche mosse lo raggiunse.
Kajey lo abbracciò stretto.”E noi siamo fratelli. Questo conta.”

Il villaggio. Lucash si organizza


Nelle tenebre si nascondono le ombre, chi porta luce è un bersaglio mobile.
Lucash sapeva come muoversi, ma la prudenza, la mancanza di essa, gli aveva insegnato la giusta dose di paura a caro prezzo.
Se non fosse stato per lei, oggi lui sarebbe un’altra ombra che vaga nella nebbia.
Se lei non si fosse impuntata per averlo, lui oggi starebbe servendo le anime del villaggio oltre le cime.
Scosse la testa in disaccordo a quel pensiero. No!
“Starei coi miei avi, servendo l’unico Signore per l’eternità.”
Si portò il pugno al petto, e chinò la testa in meditazione.
Il pensiero di Berta era l’unica motivazione per restare, conoscendo la figlia sospettava che potesse non accettare il verdetto del Consiglio.
Si spinse nel folto del bosco, non un fruscio, non un ramo spezzato a segnalare il suo passaggio. Ancora oggi era convinto di essere stato stregato, in quel lontano giorno in cui si era avventurato sulle montagne. Non c’era modo che si perdesse, ne era certo.
Un’unghia conficcata nel polpaccio e Lucash desiderò vendicarsi, finalmente, ma si trattenne per l’ennesima volta.
La gatta lo guardava con sfida, Perla non l’avrebbe lasciato in pace, mai probabilmente.
Ogni giorno immaginava come uccidere quella creatura, amava pensare a metodi diversi, raramente compassionevoli.
Solo un pulviscolo di affetto incredibilmente lo frenava dal compiere l’atto omicida.
La guardò con astio, ma non la cacciò. Non solo era impresa difficile, per cui anche lui sarebbe dovuto rientrare e abbandonare la missione, ma era convinto che per amore di Berta lei sarebbe stata un’alleata, per quanto decisamente odiosa.
Proseguì concentrato, si chiese se quel ragazzo si sarebbe mai mostrato, in ogni caso gli avrebbe concesso un paio di perlustrazioni ancora.
Il figlio del pescatore gli ricordava così tanto il fratello da sentire un dolore sordo nel petto. Avrebbe mai rivisto Dani, il suo scanzonato e ribelle compagno d’infanzia? Si sentiva in colpa, se non si fosse intestardito in quella maledetta spedizione, non sarebbe mai finito tra montagne e poi… e poi? Berta.
Non era possibile immaginare un mondo senza la sua preziosa figlia. Si sentiva ancora peggio per Dani, perché Berta sarebbe sempre stata più importante.
“Ti chiedo scusa Dani, perdonami fratello.”
Non si arrischiò a controllare il felino, sapeva già il disprezzo che avrebbe trovato in quegli occhi ancora troppo umani.
Sperava che per quella notte si sarebbe accontentata di un animale del bosco, lui di certo non le avrebbe offerto il polpaccio senza lottare. Vendetta…
Il ragazzo li seguiva saltando di ramo in ramo, solo un fruscio lieve come un sussurro trattenuto lo manifestava.
Aveva sentito parlare degli Uomini Degli Alberi quando era ragazzo ed era obbligato a passare ore infinite col precettore di corte: erano guerrieri formidabili, i più agili e cacciavano muovendosi da un ramo all’altro come scimmie, soffiavano dardi avvelenati con precisione e non facevano ostaggi. Nessuno era riuscito a coinvolgerli in strategiche alleanze, loro vivevano bene per conto proprio. Disinteressati delle brame del mondo. Qualcuno più avventuroso era capitato a corte, nel corso dei secoli e il nome era rimasto inciso nelle pietre dei Celebri e nelle memorie dei posteri.
Come fosse finito un Ragazzo Degli Alberi al villaggio era un altro mistero. Un mistero che il pescatore di certo conosceva.
Le trappole di Berta erano sparpagliate in posti strategici, come aveva imparato fin da bambina.
Che ragazza sarebbe stata se fosse cresciuta nella sua città? Non poteva immaginarla. Tra danze, belletti e sotterfugi, la sua bellissima Berta così libera, intelligente e onesta.
Fra dieci giorni sarebbe andata dalle zie e Lucash sentiva montare in sé un furore cieco al solo pensiero della figlia in casa di quelle streghe. Vere streghe, proprio nel villaggio in cui era bandita la magia, fattucchieria, o stregoneria che dir si voglia.
Ipocriti! D’altronde come spiegarsi Perla altrimenti?
La guardò incapace di trattenersi e quella stava con lo sguardo rivolto verso l’alto. Ecco, strano che non se ne accorgesse.
Si chiese se fosse possibile che avesse capito anche di chi si trattasse.
Sperava di no, per il ragazzo e per se stesso, aveva progetti da portare avanti e il ragazzo ne faceva parte.
Non le avrebbe permesso di rovinargli anche questo.
Si fermò a curiosare nel tronco cavo di un albero grigio. Estrasse un sacchetto di velluto liso, ne esaminò il contenuto e lo ripose. Controllò intorno a sé che nessuno lo stesse spiando. Nessuno, tranne la gatta e un ragazzo degli alberi, probabilmente ignaro della propria natura. Nel volgere lo sguardo intorno si assicurò di accertarsi di ciò che gli premeva davvero, fiducioso che i due compagni di viaggio non avrebbero capito.
Con un sospiro si voltò e ripercorse il tragitto verso casa. Si stupì che il ragazzo lo seguisse, immaginava che avrebbe curiosato nel sacchetto, invece quella stolta della gatta era rimasta indietro.
Per essere una strega era davvero la più ingenua.

Il villaggio


C’era una volta e forse c’è ancora, un villaggio sconosciuto al mondo. Ciò si doveva al fatto che si appoggiasse sul dolce declivio di una valle nascosta tra le ripidissime vette di una catena montuosa maledetta.
Tali vette erano ritenute infauste dato il numero di morti che annoverava: nessuno, da che si sapesse, era mai tornato da quelle cime. I viandanti che attraversavano quelle terre, si segnavano alla vista di quelle zanne minacciose e tacevano per tradizione, fino a quando erano certi di averle lasciate lontane. Temevano infatti di esprimere desideri o timori involontariamente e che spiriti dispettosi sarebbero scesi dalle vette stregate per realizzare i loro incubi peggiori.
Le mamme ammonivano i figli raccontando le storie di povere anime impazzite al solo passaggio in quelle lande desolate.
I ragazzi credevano e temevano la maledizione poiché in ogni villaggio c’era qualche esempio vivente di guscio umano.
Tutti ignoravano perciò che aldilà di quelle ripide montagne ci fosse la vita, persone che abitavano pacifiche ignorate dalla curiosità umana.
La vita in quel villaggio scorreva tranquilla, ognuno aveva il suo mestiere e collaborava per il benessere comune.
Non c’era modo di essere ricchi, ovviamente, poiché la ricchezza deriva dal maltolto e non ci sono bottini senza guerre e conquiste in terra altrui.
Berta amava mettere trappole per conigli, era la sua abilità. Il padre rimasto solo, cercava di lasciarla libera per quanto possibile, temendo di frenare il suo fare gioioso. Ovviamente i Savi avrebbero presto deciso del destino della ragazza, votando in Consiglio Segreto. Fu così che Berta restò isolata dagli altri, per quanto concesso, felice di sgattaiolare fuori di casa appena finite le poche necessarie faccende domestiche.
La ragazza ignorava il perché della malinconia del padre, avendo perso la madre da piccola, non si stupiva dello sguardo assente. Lucash preferiva così, inutile raccontarle di posti lontani, di persone care e mai riviste, tanto più che se i Savi l’avessero scoperto a parlarne, sarebbe stato bandito a vita.
Essere bandito dal villaggio significava vagare senza mezzi, in cerca di impossibili vie attraverso le cime maledette.
Un suicidio senza lettera, un omicidio con mani pulite.
“Senti papà, ho trovato un posto perfetto per cacciare, vedrai quanti conigli venderò al mercato, ti potrai comprare l’unguento per la gamba!”
Lucash sospirò commosso, sua figlia lo adorava e avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo felice e in salute.
“Berta, piccola, voglio che al mercato questa volta compri la più bella stoffa per confezionarti un abito. No, non discutere, é necessario. Lo sai.”
La ragazza sbuffò, ma il sorriso le tornò in fretta, le era impossibile intristirsi a lungo.
“Va bene, così le zie saranno soddisfatte e noi staremo in pace per un po’. Sono proprio decise, eh? ”
Lucash ridacchiò, perché quelle megere erano totalmente decise a liberarsi di lui e mettere le grinfie su Berta.
“Tu fai come ti dico, io ti confezionerò l’abito più bello che si sia visto e loro saranno obbligate a ritirarsi nel loro covo.”
Berta rise divertita, entrambi sapevano che nelle storie raccontatele da piccola per addormentarla, Lucash descriveva una delle zie quando appariva una strega. Una delle tre, a rotazione. Berta se ne era accorta presto e spesso il modo in cui approcciava le zie era stato motivo di ansia e imbarazzo per il padre. La colpa era sua, ma ne era valsa la pena.
“Se cresci ancora un po’, dovrò fare una casa più grande. Vai a spendere un po’ di energia va’ !”
Berta baciò il padre sulla guancia ruvida e corse via senza richiudere la porta. Lucash non la sgridava mai per questo, approfittava della svista per scorgerne la sagome in lontananza, fino a che spariva nel folto del bosco.
“Va tutto bene, ancora.”
Si alzò senza smettere di osservare la gatta sulla sedia a dondolo.
“La proteggerò sempre, come puoi vedere.”
Si sollevò l’orlo del pantalone, avvolgendolo fino al ginocchio.
“Prego, serviti pure.” La gatta con un balzo fu sul suo polpaccio, azzannando la carne senza pietà.
Lucash aspirò l’aria tra i denti, il dolore era forte, come sempre.
“Solo il sangue Perla, lo sai, non imbrigliare.”
La gatta si staccò e per dispetto lo graffiò sul segno del morso. Il bruciore era insopportabile.
“Vado a ripulirmi, spero starai bene ora.” L’animale gli aveva già voltato le spalle acciambellandosi nuovamente sulla sedia comoda.
“Va tutto bene…”