Un’occasione persa (per te)


Dopo giorni di frasi vuote, sorrisi tirati e messaggi strazianti per quanto noiosi, rischio tantissimo (per me) e le confido la mia frustrazione, ovviamente superficialmente. Eppure chi mi conosce da sempre sa quant’è raro per gente come me aprirsi. Non è una richiesta d’aiuto, piuttosto un dono di fiducia verso chi si ama, nonostante mille delusioni.  Un dono mai apprezzato visto che diventa lo spunto per l’ennesima cronaca delle sue sventure. Peccato. È un’occasione persa. Non credo tornerà. Non ho nessuno con cui confidarmi. Chi è come me sa che basta l’orecchio e l’ empatia. Non consigli né soluzioni. Cari figli di narcisiste, altamente (troppo per molti) sensibili, portate pazienza: siamo nati con lo sguardo sull’interiore, non aspettiamoci comprensione e troppe attenzioni. Pure l’amore sarà difficilmente profondo come lo viviamo noi.  Il terapeuta diceva che gli altri possono amare diversamente, non necessariamente di meno. Comunque è di meno, molto meno.

 

Ricominciare


Dalle tue parole asciutte ho capito: una folata di vento e si sono serrate finestre e porte, per poi sbattere ad ogni insulto, ancora e ancora. Sbam, Sbam, Sbam!
Ti ho guardato dormire , il tuo volto sul cuscino, mai sereno, neanche nel momento del riposo.
Guardandoti ti ho odiato e dopo anni di immobilismo, come un prurito impossibile da lenire, ho sentito il bisogno imperioso di alzarmi subito e gettare le mie cose in due valigie. Ho pensato di lasciarti così, senza parole, ormai sono state spese tutte, ma per avere la certezza che tu capissi subito, ti ho scritto due righe.
Vado per non tornare, perché qui non c’è nulla per me, nessuno. Fai ciò che ti pare.

Col cuore in gola ho cercato il primo treno che mi portasse a casa, la prima che ho chiamato tale. Per niente al mondo sarei tornata lì, ma avevo bisogno di una base da cui ripartire.
Seduta tra quei volti stranieri, ho sentito un’emozione intensa, un solletico intimo, la paura e la gioia di nuove opportunità.
Non mi importava nemmeno ciò che mi avrebbe detto mia madre. Sono adulta, posso decidere e ho il diritto di cadere. L’hanno fatto tutti nella mia famiglia, è un tratto distintivo. Ora, è il loro turno di aiutarmi.

Con questa convinzione mi ritrovo sull’uscio di casa, tremante e indecisa. Sto solo rimandando un confronto che mi disturba.
“Pensi di restare lì per molto o hai intenzione di farmi compagnia per un bel coffee come piace a noi?” Esordisce mia madre aprendo la porta senza battere ciglio, né prendere respiro. Mi commuovo un momento, per la traccia di tenerezza che c’è sempre per me, nonostante il tono burbero.
Provo a parlare, mi rassegno invece al mio essere fragile e mi tuffo tra le sue braccia, in cerca del suo odore e della forza che ricordo da sempre. L’invecchiare l’ha resa ancora più stoica nel contrasto tra il corpo più gracile e un’aura di sicurezza che appartiene solo a chi ha superato le sue battaglie. Vinte e perse.

La cucina odora di caffè come sempre. Sto per rimproverarla, perché ne beve troppo davvero, mi limito a rilassarmi e recuperare finalmente quel respiro che credo di aver trattenuto per una decina d’anni.
Mi guarda, lasciandomi il tempo di ritrovarmi e intanto sento tutte le sue domande, come se avessero preso voce. Continuo a respirare caffè in attesa che la moka  produca nuovo nettare nero.
“Non torno indietro mamma.” Sento il bisogno di chiarire subito.
“Lo so. Speravo non fosse così grave. Sai che è un brav’uomo. C’è sempre stato per te, ha lavorato per te.”
Sto per saltare sulla sedia e urlare, soprattutto perché è vero, detesto di essermi ridotta a lavorare in casa per anni, senza aver costruito nulla. Per una vita di coppia in cui il mio valore si è svalutato ad ogni minuto.
“Questa è una scelta che abbiamo fatto in due e che ha funzionato per anni. Ovviamente, il problema adesso è mio. Chi mi assumerebbe? Per fare cosa?”
Mi prende un senso di disperazione. Ho il terrore di non potermela cavare.
Mi madre si schiarisce la gola, seccata. “Intendo dire che è un brav’uomo, ma non è l’uomo per te. Se mi concedi, troppo arrogante, seppur generoso. Non sono convinta che ti abbia apprezzata davvero, al di là dell’attrazione fisica. Questo mi è sempre sembrato evidente.”
Ha ragione. Lo volevo perché gli piacevo, ma del mio carattere sopportava poco o niente. Delle mie idee era contento solo se avvaloravano un suo pensiero. Il suo ego o meglio, le sue insicurezze erano troppo per lasciarmi posto. C’è sempre stato il mio bagaglio ingombrante, il mio dolore, la mia storia. Un ingombro di cui non tener conto.
“Il problema è che quando faceva lo stronzo io perdevo ogni interesse per lui. Poi, un gesto carino, un po’ di attenzioni e mi sentivo di nuovo presa da lui. Un’altalena che ci ho messo troppi anni a detestare. Non provo più rispetto, non mi fido di lui. Non è limpido e per fare come crede meglio, omette molte cose. Insignificanti, ma per me fondamentali. Lo trovo manipolatore. Forse solo troppo presuntuoso.”
Restiamo in silenzio per il tempo di sorseggiare il caffè.

So di aver preso la decisione giusta. Guardo fuori dalla finestra. Molte cose sono cambiate da quando mi affacciavo bambina, con la mente carica di sogni e aspettative e un bisogno disperato di appartenere.
Ho deciso di appartenere a me stessa, come mai prima.

Sconvolta fino al midollo (e non c’è brodo che tenga)


Ho appena scoperto che c’è il compleanno del blog qui. Sono due anni ed era iniziata con felicediesseredonna, avrei potuto chiamarlo anche felicediesserestolta, increduladiessereviva, ignaradiesserepersa…

Ok, l’umore è giù giù , dalle parti degli Abissi.

Potrei risolvere molti drammi personali, se solo avessi una diversa etica, una moralità meno stressante. Con me stessa, devo poter dormire la notte, devo poter guardarmi negli occhi, se e quando alzo lo sguardo allo specchio.

La paura di non poterlo fare, lega le gambe e trasforma i piedi in ceppi. Vorrei fregarmene, ma dovrei avere la forza di sostenere le conseguenze senza pentimento. Non ne sono capace. Porca zozza, io non ci riesco!
Vorrei lasciar perdere quella persona che a tante turbe mentali mi ha condannata, che ancora appare nei sogni col consorte e mi spaventa, ancora nel profondo, solo l’idea di loro.
Esser figli di chi mai si frequenterebbe nella vita, non è facile. Anzi, è un disastro. In più non ho più nessuno con cui condividere tutto questo. Non scrivo per cercar commiserazione, mi basto io per questo, e la cosa si fa un po’ pietosa, devo però buttare giù lo sgomento, altrimenti riverserò bile dagli occhi colpendo chi non ha colpa.

Sono vittima, essendo arrivata a giochi aperti a sto mondo, di rincorri e scappa; ti cerco, ma non ti rispondo;  mi lamento, ma non ti coinvolgo, e anche per te solo il peggio di me…
Non voglio ripercorrere episodi traumatizzanti, la notte ha già dato, ma è incredibile quanto internet sia generoso. La trovo un po’ ovunque, tranne che nella mia vita e la faccenda dello stare attenti a ciò che cerchi è vera, ma io preferisco sapere.

Diciamo solo che anche passati trent’anni, constatare di valere meno di un conoscente per la propria madre, pesa. C’è il mio ruolo, ciò che pensa debba essere, ma niente di me, non sono mai, mai potuta essere me stessa e non so neanche di cosa parlare. Preferirei non saperne più niente, perché il sangue è sangue sì, e c’è la riconoscenza, ma… ma. Ma non si può vivere a vita un ruolo che non si riconosce e sentirsi obbligati verso chi si sa essere causa di tanti danni della propria psiche.

Odio, mi spiace, condividere queste emozioni, però devo scrivere e scrivere per spurgare l’anima dall’amarezza che mi assale sovrastando i miei argini e sommergendo tutto.

Con tanta solitudine, ci si sente in colpa ad agognare che anche l’ultimo ormeggio si sciolga.

Il fatto è che ho altre cime che non siano un cappio.

Non stai bene, lo so che non stai bene, ma non intendiamo la stessa cosa. Ed è terribile. Chiunque vedrebbe nei tuoi occhi il mondo capovolto, ma tu cerchi lui e solo lui, che cammina a gambe all’aria e mi spaventa.

Abbi cura di te o persevera nella tua follia, solo, ti prego, lasciamene fuori del tutto.

Cuore di… Chi?


Mi hai rotta
Come vetro
A terra
Si scaglia.

Hai guardato
Gocce cadere
Il mio sangue
Stillare .

Hai gioito
Nella perdita
Di me
Smarrita.

Canto al vento
Echi stonati
Spezzoni
Passati.

Scricchiola già
Fiducia vacilla
Dondolo
Nel nulla.

Ridi e sospira
Nel cerchio
Osservo sola
Distanzio.

Avermi ti
Consola
Esserci nonti
Sfiora.

Eppure si
Dice scelta
Non mia fu
Nascere.

Il giorno più bello


Dolore, dolore che strappa, che contorce, ti lacera, ti espande le ossa e scuote ogni certezza.

Dolore che ti spoglia, ti toglie la civiltà, ti prende e ti butta in terra, animale come un tempo, nel fato universale.

Dolore che si prende ogni concetto, l’educazione e l’intelletto, dolore che nasce tornando gioia immensa tra le braccia materne.

Si sta come una bambola rotta nella cesta dei giochi smessi


Vorrei amarti meglio, giuro davvero.

Quante volte so che aspetti un abbraccio e non so darlo, non so cosa sia successo, io che dico a te insensibile e poi sto lì a difendermi sempre.

Eppure, cazzo, io mi ferisco, ti giuro che mi si squarcia la pelle e faccio certi sogni, certi sogni a volte che non so spiegarmi cos’ho nella testa. Possibile che Hitchcock mi si sia insediato nel cervello?

Sono una donna complessa e complessata, travestita da donna media, socievole e razionale, piedi in terra.

Io questi piedi ce li ho in terra per calpestarla!

Mi dispiace di rendere l’aria solida ogni volta che cerco di avere un rapporto umano con lei, ma che cavolo! Mi si insinua dentro come una piovra e mi terrorizza a tal punto che vorrei rompere tutto, perché non puoi dire a una persona allucinata che è più matta di un asino in groppa a un cammello!

Ho già il freno a mano pronto se serve, ma vorrei amarti meglio. Invece sto lì a guardarmi fare, come un pilota incapace di guidare.
Mi concedo a fette per non perdere l’intero e la vita scorre, mentre pianto i piedi a terra e mi scorre alle caviglie.

Inquietudine


Sogni che mi avvolgono, mi tormentano con spire fumose e rantoli deliranti.E’ troppo tempo che la mia mente non ha pace, nel sonno io cerco ristoro. La morte che mi si presenta come un dilemma: ho visto la vita spegnersi in me e davanti ai miei occhi e non la rispetto più, perché ora mi fa paura.

Mia madre cerca di essere malata, da anni, cerca di avere il male peggiore e non vive e la gente che ha riso e vissuto intorno a lei muore. Mi sembra una bestemmia questo suo modo di vivere e mi soffoca e mi perseguita, perché non c’è mai gioia da lei, solo promesse tacite di dolore. Non la sopporto più, sinceramente. Se cerco di allontanarmi per trovare serenità, arriva un malore, esami nuovi per nuove cose e io mi sento raggirata, perché mi vuole legata a sé per senso di colpa.

Ciò che è ancora beffa per me è che sono fuggita da lei da tempo, per non morire, sono seria. Mi ha dato poco, tante incertezze e incubi per sempre.

Stavo meglio, ho provato a chiamarla per far finta di niente, per ignorare la mia rabbia e lui mi ha fatto sentire un niente, colpevole: sta andando a fare un esame, non si sa cosa ne uscirà fuori, non riesce a mangiare…. e io come sempre: come , perché, che succede (ancora)?

Torna nonna, torna ti prego, anche fosse in sogno, perché ho un disperato bisogno di te, delle tue parole: tua figlia mi fa male e ho bisogno che tu mi capisca.

Se dovessi pensare al mio bene, unicamente, taglierei ogni residuo legame con mio padre, che comunque è già assente da sempre, con mia madre che è Ego allo stato puro e non permette ad altro di esistere.

Non so cos’altro aggiungere… mi è passato il momento duro, ora mi lascio scorrere e aspetto che le emozioni fluiscano via nel ciclo continuo che é la vita tra presente, passato e futuro.