Il villaggio. Gemma


Le tre sorelle si affaccendavano nella stanza buia, c’erano grida di disperazione, grida agonizzanti.
Le tre donne cambiavano gli stracci insanguinati con altri puliti.
Mi manca l’aria, mi manca nei polmoni, una stretta letale.
La donna più alta si volta e sgrana gli occhi incredula. Mi prende e mi volta.
Un dito in gola e un massaggio sulla schiena.
“Forza piccola, forza!”
Un dolore atroce mi esplode nel petto e si espande.
Il primo respiro che brucia come fuoco e grido con tutte le mie forze!
La donna mi solleva trionfante.
“E’ viva!”

Mi aggrappo alle vesti di mia sorella, non voglio che mi prenda quella grassa, lei mi pizzica di nascosto, mi dice cose che non capisco, ma so che sono brutte. Mi aggrappo forte e piango.
“Questa mocciosa è davvero viziata. Lascia che me ne occupi io Ash.”
“No, se ne occuperà Dust, tu vai al mercato a prendere altro latte di asina.”
“Per la bambina! Ormai qui non si fa che correre dietro alla bambina. Che follia. La madre è andata, sarebbe stato più giusto che anche lei…”
“E’ nostra sorella!”
“Sì, ma nostro padre è partito subito, d’altronde con la delusione che si è preso…”
“Crumbs, ora taci. Vai al mercato.”

Seguo mia sorella nel bosco. Dust è silenziosa e mi considera poco, ma sono tranquilla, perché si occupa dei miei bisogni e mi lascia in pace, le basta che io le ubbidisca.
Credevo che Ash fosse mia madre, ma Crumbs ha detto che mia madre era una povera sgualdrina che mio padre ha ingravidato per avere il suo erede. Non so bene cosa significhi, ma ho capito che mia sorella non amava mia madre.
Ash mi abbraccia quando siamo sole e mi pettina i capelli tante volte, con pazienza e io mi assopisco, mentre mi racconta storie di paesi lontani e principi coraggiosi.

Ci sono dei dolci alla marmellata in cucina. Non mangiamo mai dolci, quasi mai. Mia sorella Ash ha voluto che per questa visita offrissimo ai Savi dei dolci e Crumbs li ha sfornati, anche se non era contenta. Lei non è mai contenta e tante volte l’ho sentita minacciare di liberarsi di me. Qualche volta, dopo che Ash l’ha sgridata aspramente, Crumbs si rintana in cucina e mentre seleziona le erbe mediche da essiccare, borbotta parole orribili. Una volta mi ha scoperta mentre la spiavo e non mi ha detto nulla, ma il suo sguardo mi ha tormentata per molte notti. Sognavo che un’ombra nera appariva dalla montagna dietro la nostra casa e io correvo, perché l’ombra si estendeva velocemente inseguendomi. Sapevo che mi avrebbe presa e sapevo che sarei scomparsa per sempre. Quando mi svegliavo correvo davanti allo specchio. Temevo di essere scomparsa.

Sono a scuola e i miei compagni mi trattano con cortesia, ma nessuno è mio amico. Sento i bisbigli dietro la schiena e anche la nostra insegnante mi tiene a distanza. Temono le mie sorelle. Un mio compagno mi ha aspettata un giorno sulla strada per casa. Ero felice, non mi sembrava possibile che finalmente qualcuno della mia età volesse parlare con me.
Gli ho sorriso e gli sono corsa incontro. Lui mi ha sorriso ed è arrossito un po’.
Ci siamo incamminati e abbiamo parlato della scuola, dell’insegnante e di sciocchi avvenimenti che ci hanno divertito.
Stavamo ridendo e ad un tratto lui è sbiancato, fermandosi in mezzo alla via.
“Che succede Baron?”
Lui mi ha guardata e con le lacrime agli occhi ha scosso la testa per poi correre via con quanta forza gli consentivano le gambe.
Mi sono voltata per proseguire verso casa e lì, davanti a me, c’era Crumbs che sorrideva felice.
Ho capito subito. Non potrò avere amici, mai. Mi vergogno terribilmente, non oso immaginare cosa abbia sentito Baron, o che incubo abbia vissuto, nella sua mente.

Ash vorrebbe che io mi fidanzassi, ma non oso dirle che nostra sorella lo impedirebbe.
Ogni ragazzo, pochi, che ha provato ad avvicinarsi a me, è stato terrorizzato da Crumbs.
Io però sto imparando a nascondere i miei poteri. Sento quello che le mie sorelle trasmettono, sento quello che cercano di carpirmi. Dust vorrebbe sapere quanto sono forte; ha bisogno di sottomettersi al potere e sta considerando la mia posizione all’interno della nostra famiglia. Crums mi odia, mi odia con ferocia, io sono arrivata dopo eppure conto più di lei. Odia il mio potere, la mia giovinezza, la mia bellezza e l’affetto che Ash prova nei miei confronti.
Non posso parlarne con Ash, le tre sorelle hanno un rapporto simbiotico difficile da deviare, se mi confidassi con lei, le altre sentirebbero almeno in parte le mia confidenze. Vorrei che lei capisse quanto sono in pericolo all’interno della mia stessa casa, ma la sua fiducia nelle altre sorelle è totale.

Stanno facendo cose orribili, come possono!
Le montagne gridano vendetta e cercano soddisfazione. Gli spiriti aspettano le loro vittime e se non arrivano spontaneamente, vanno procurate. I Savi minacciano la vita delle mie sorelle, le quali si salvano solo grazie alla protezione degli spiriti delle montagne.
Crumbs rapisce bambini dai villaggi. Le persone si uniscono in gruppi per cercare i propri figli e si avventurano sui sentieri che conducono al villaggio, ma gli spiriti ne rapiscono la memoria e la forza vitale, lasciandoli fragili come neonati.

L’ho salvato! Non ho potuto lasciarlo agli spiriti! Il mio principe coraggioso, l’ho riconosciuto! E’ bellissimo e il suo cuore è purissimo. Ho pianto dall’emozione e l’ho portato a me. Purtroppo ha capito subito cosa sono le mie sorelle ed è convinto che io sia come loro. Non si fida di me, ma io devo salvarlo. Lo amo e il mio amore ci salverà.

“Gemma!”
Lucash apre gli occhi annaspando. Perla acciambellata ai suoi piedi lo guarda e l’uomo scoppia a piangere. Un cuore spezzato fa molto male.

Il villaggio. Lucash affronta i Savi e i ricordi.


“Non ti prostri al nostro cospetto?”
Lucash rise sprezzante.
“Facciamo che io mi sia umiliato e che voi abbiate rinunciato ai trucchetti da baraccone.”
Una corrente fredda lo avvolse e una nebbia impalpabile calò su di lui, ma Lucash non batté ciglio.
I Savi si muovevano con una velocità inafferrabile. Lucash pensò agli uomini degli alberi, nelle terre libere. No, sapeva di esserci vicino, ma non aveva ancora colto la loro precisa provenienza.
“Bene, vi siete riscaldati? Posso invitarvi a sedervi per una volta? Mia figlia ormai è grande e io vorrei che mi evitaste questa cosa, in qualsiasi modo voi la intendiate.”
Una voce fredda e bassa si fece largo nella sua mente.
“Appartieni al villaggio. Ricordalo.”
Lucash scosse la testa annoiato.
“Non lo dimentico, impossibile con queste visite. Ora, se voi cinque voleste fermarvi un attimo…”
Tutto si fermò, la luce nella stanza se ne andò e tornò a intermittenza.
Un alone verde rischiarò l’ambiente spargendo luce dal nocciolo tondo che galleggiava ondeggiando a mezz’aria.
Cinque identici uomini erano schierati di fronte a Lucash.
I loro crani pelati, le loro vesti candide, bordate di filo dorato.
I loro occhi scuri erano inclinati e stretti, le labbra sottili e i nasi piccoli.
“Monaci. Siete monaci dell’Ordine Ricostituito.”
I cinque si inchinarono.
Parlarono all’unisono e le loro voci lo stordirono.
“Nessuno prima ci ha mai visto per quelli che siamo. Tu, straniero, hai capacità notevoli che evidentemente nascondevi.”
“No, non ho mai nascosto chi sono. Sono vivo perché voi avete ritenuto che io valessi qualcosa.”
Risero in coro, un brivido di inquietudine lo attraversò.
“Siamo persuasi che la figlia di due elementi notevoli sia un acquisto eccellente.”
“Berta…”
Uno dei cinque si mosse così velocemente che Lucash non riuscì a cogliere lo spostamento, ma se lo ritrovò di fronte all’improvviso.
“Dov’è la tua preziosa figlia?”
“Calma, voi sapete sempre tutto. Perché vi agitate? Il Consiglio è alle porte. Sapete dov’era per tutto il ciclo lunare.”
In un istante i cinque erano di nuovo schierati.
Di nuovo presero a parlare insieme.
“Le Tre sono in eterno sospese, tra vita e morte, gioia e dolore e nessuno potrà spezzare loro le catene. Provano le sorelle a invertire l’ordine del potere, ma nulla si compie senza la nostra volontà.”
Lucash prese una sedia e si accomodò.
“Non dite che non vi ho offerto la stessa cortesia, ma sono stanco. Per cui restate pure in piedi se preferite. Ho capito abbastanza bene la questione tra voi e le megere, ma io in tutto questo dove mi trovo e soprattutto, cosa volete da mia figlia?”
Risero, risero di lui, con quella unica corale voce che sembrava graffiare le pareti fino al mattone nudo.
“Straniero, sei ingenuo. Tua figlia è tutto. L’abbiamo aspettata a lungo. A lungo fratelli. Oh, quanto dolore l’attesa infinita e le montagne hanno gridato d’impazienza! Sì, quanto hanno ululato tra le creste protese e il cielo ha tuonato e noi abbiamo tremato! Molte vite sono state spese, ma l’ordine va preservato.”
Lucash li guardava affascinato e inorridito al contempo.
Sentiva Perla, ma non la individuava.
Per quanto inusuale, la sua presenza lo confortava.
“Bene. Tuoni, fulmini e vento impietoso, ho capito. Mia figlia dovrebbe equilibrare le forze in gioco. Ho capito bene?”
“Non ti è dovuto di capire!”
L’urlo di rabbia così potente che pensò di svenire, come un’onda d’urto, la loro voce si era abbattuta sul suo petto.
Raccolse le forze e li squadrò.
“Non sacrificherò mia figlia.”
Di nuovo risero.
“Temi forse che possa divenire una gatta?”
Lucash si sentì scuotere da una furia improvvisa e i Savi lo guardarono stupiti.
“Calmati straniero. Il Consiglio non si è ancora tenuto, ma ti avvertiamo: tua figlia non deve più stare in presenza delle Tre. Lei è predestinata e sarà onorata sul più alto dei troni. Ti tolleriamo in quanto suo padre. Ti sia di ammonimento.”
“Capito.”
Ne aveva davvero abbastanza.
I tre annuirono e con un gesto l’uomo al centro attirò il nocciolo verde al centro del suo palmo e chiuse la mano.
Lucash si trovò solo nell’istante in cui batté le ciglia.
“Assurdo, sempre più assurdo.”
Perla sedeva ai suoi piedi e lo osservava.
“Ti serve il mio sangue o sei preoccupata per nostra figlia?”
Lucash si prese il volto tra le mani, i gomiti piegati sulle ginocchia e sospirò.
Cercava di ripercorrere ogni istante della visita dei Savi.
Aprì gli occhi e guardò la gatta.
“Devo capire ancora molte cose, ma tu cara, sarebbe davvero utile se potessi esprimerti.”
Perla chinò il capo e lo posò sul suo piede destro.
Lucash si sentì percorrere da una vertigine potente, tanto da provocargli una nausea fortissima.
Si accasciò sulla sedia, prossimo allo svenimento. Capiva che doveva lottare la sensazione o lasciarsi fare.
Decise contro ogni buon senso di fidarsi e immagini sconosciute gli attraversarono la mente.
Perla…
Gemma!
Stava rivivendo ogni ricordo di Gemma.

Il villaggio. Lucash si organizza


Nelle tenebre si nascondono le ombre, chi porta luce è un bersaglio mobile.
Lucash sapeva come muoversi, ma la prudenza, la mancanza di essa, gli aveva insegnato la giusta dose di paura a caro prezzo.
Se non fosse stato per lei, oggi lui sarebbe un’altra ombra che vaga nella nebbia.
Se lei non si fosse impuntata per averlo, lui oggi starebbe servendo le anime del villaggio oltre le cime.
Scosse la testa in disaccordo a quel pensiero. No!
“Starei coi miei avi, servendo l’unico Signore per l’eternità.”
Si portò il pugno al petto, e chinò la testa in meditazione.
Il pensiero di Berta era l’unica motivazione per restare, conoscendo la figlia sospettava che potesse non accettare il verdetto del Consiglio.
Si spinse nel folto del bosco, non un fruscio, non un ramo spezzato a segnalare il suo passaggio. Ancora oggi era convinto di essere stato stregato, in quel lontano giorno in cui si era avventurato sulle montagne. Non c’era modo che si perdesse, ne era certo.
Un’unghia conficcata nel polpaccio e Lucash desiderò vendicarsi, finalmente, ma si trattenne per l’ennesima volta.
La gatta lo guardava con sfida, Perla non l’avrebbe lasciato in pace, mai probabilmente.
Ogni giorno immaginava come uccidere quella creatura, amava pensare a metodi diversi, raramente compassionevoli.
Solo un pulviscolo di affetto incredibilmente lo frenava dal compiere l’atto omicida.
La guardò con astio, ma non la cacciò. Non solo era impresa difficile, per cui anche lui sarebbe dovuto rientrare e abbandonare la missione, ma era convinto che per amore di Berta lei sarebbe stata un’alleata, per quanto decisamente odiosa.
Proseguì concentrato, si chiese se quel ragazzo si sarebbe mai mostrato, in ogni caso gli avrebbe concesso un paio di perlustrazioni ancora.
Il figlio del pescatore gli ricordava così tanto il fratello da sentire un dolore sordo nel petto. Avrebbe mai rivisto Dani, il suo scanzonato e ribelle compagno d’infanzia? Si sentiva in colpa, se non si fosse intestardito in quella maledetta spedizione, non sarebbe mai finito tra montagne e poi… e poi? Berta.
Non era possibile immaginare un mondo senza la sua preziosa figlia. Si sentiva ancora peggio per Dani, perché Berta sarebbe sempre stata più importante.
“Ti chiedo scusa Dani, perdonami fratello.”
Non si arrischiò a controllare il felino, sapeva già il disprezzo che avrebbe trovato in quegli occhi ancora troppo umani.
Sperava che per quella notte si sarebbe accontentata di un animale del bosco, lui di certo non le avrebbe offerto il polpaccio senza lottare. Vendetta…
Il ragazzo li seguiva saltando di ramo in ramo, solo un fruscio lieve come un sussurro trattenuto lo manifestava.
Aveva sentito parlare degli Uomini Degli Alberi quando era ragazzo ed era obbligato a passare ore infinite col precettore di corte: erano guerrieri formidabili, i più agili e cacciavano muovendosi da un ramo all’altro come scimmie, soffiavano dardi avvelenati con precisione e non facevano ostaggi. Nessuno era riuscito a coinvolgerli in strategiche alleanze, loro vivevano bene per conto proprio. Disinteressati delle brame del mondo. Qualcuno più avventuroso era capitato a corte, nel corso dei secoli e il nome era rimasto inciso nelle pietre dei Celebri e nelle memorie dei posteri.
Come fosse finito un Ragazzo Degli Alberi al villaggio era un altro mistero. Un mistero che il pescatore di certo conosceva.
Le trappole di Berta erano sparpagliate in posti strategici, come aveva imparato fin da bambina.
Che ragazza sarebbe stata se fosse cresciuta nella sua città? Non poteva immaginarla. Tra danze, belletti e sotterfugi, la sua bellissima Berta così libera, intelligente e onesta.
Fra dieci giorni sarebbe andata dalle zie e Lucash sentiva montare in sé un furore cieco al solo pensiero della figlia in casa di quelle streghe. Vere streghe, proprio nel villaggio in cui era bandita la magia, fattucchieria, o stregoneria che dir si voglia.
Ipocriti! D’altronde come spiegarsi Perla altrimenti?
La guardò incapace di trattenersi e quella stava con lo sguardo rivolto verso l’alto. Ecco, strano che non se ne accorgesse.
Si chiese se fosse possibile che avesse capito anche di chi si trattasse.
Sperava di no, per il ragazzo e per se stesso, aveva progetti da portare avanti e il ragazzo ne faceva parte.
Non le avrebbe permesso di rovinargli anche questo.
Si fermò a curiosare nel tronco cavo di un albero grigio. Estrasse un sacchetto di velluto liso, ne esaminò il contenuto e lo ripose. Controllò intorno a sé che nessuno lo stesse spiando. Nessuno, tranne la gatta e un ragazzo degli alberi, probabilmente ignaro della propria natura. Nel volgere lo sguardo intorno si assicurò di accertarsi di ciò che gli premeva davvero, fiducioso che i due compagni di viaggio non avrebbero capito.
Con un sospiro si voltò e ripercorse il tragitto verso casa. Si stupì che il ragazzo lo seguisse, immaginava che avrebbe curiosato nel sacchetto, invece quella stolta della gatta era rimasta indietro.
Per essere una strega era davvero la più ingenua.

Il villaggio


C’era una volta e forse c’è ancora, un villaggio sconosciuto al mondo. Ciò si doveva al fatto che si appoggiasse sul dolce declivio di una valle nascosta tra le ripidissime vette di una catena montuosa maledetta.
Tali vette erano ritenute infauste dato il numero di morti che annoverava: nessuno, da che si sapesse, era mai tornato da quelle cime. I viandanti che attraversavano quelle terre, si segnavano alla vista di quelle zanne minacciose e tacevano per tradizione, fino a quando erano certi di averle lasciate lontane. Temevano infatti di esprimere desideri o timori involontariamente e che spiriti dispettosi sarebbero scesi dalle vette stregate per realizzare i loro incubi peggiori.
Le mamme ammonivano i figli raccontando le storie di povere anime impazzite al solo passaggio in quelle lande desolate.
I ragazzi credevano e temevano la maledizione poiché in ogni villaggio c’era qualche esempio vivente di guscio umano.
Tutti ignoravano perciò che aldilà di quelle ripide montagne ci fosse la vita, persone che abitavano pacifiche ignorate dalla curiosità umana.
La vita in quel villaggio scorreva tranquilla, ognuno aveva il suo mestiere e collaborava per il benessere comune.
Non c’era modo di essere ricchi, ovviamente, poiché la ricchezza deriva dal maltolto e non ci sono bottini senza guerre e conquiste in terra altrui.
Berta amava mettere trappole per conigli, era la sua abilità. Il padre rimasto solo, cercava di lasciarla libera per quanto possibile, temendo di frenare il suo fare gioioso. Ovviamente i Savi avrebbero presto deciso del destino della ragazza, votando in Consiglio Segreto. Fu così che Berta restò isolata dagli altri, per quanto concesso, felice di sgattaiolare fuori di casa appena finite le poche necessarie faccende domestiche.
La ragazza ignorava il perché della malinconia del padre, avendo perso la madre da piccola, non si stupiva dello sguardo assente. Lucash preferiva così, inutile raccontarle di posti lontani, di persone care e mai riviste, tanto più che se i Savi l’avessero scoperto a parlarne, sarebbe stato bandito a vita.
Essere bandito dal villaggio significava vagare senza mezzi, in cerca di impossibili vie attraverso le cime maledette.
Un suicidio senza lettera, un omicidio con mani pulite.
“Senti papà, ho trovato un posto perfetto per cacciare, vedrai quanti conigli venderò al mercato, ti potrai comprare l’unguento per la gamba!”
Lucash sospirò commosso, sua figlia lo adorava e avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo felice e in salute.
“Berta, piccola, voglio che al mercato questa volta compri la più bella stoffa per confezionarti un abito. No, non discutere, é necessario. Lo sai.”
La ragazza sbuffò, ma il sorriso le tornò in fretta, le era impossibile intristirsi a lungo.
“Va bene, così le zie saranno soddisfatte e noi staremo in pace per un po’. Sono proprio decise, eh? ”
Lucash ridacchiò, perché quelle megere erano totalmente decise a liberarsi di lui e mettere le grinfie su Berta.
“Tu fai come ti dico, io ti confezionerò l’abito più bello che si sia visto e loro saranno obbligate a ritirarsi nel loro covo.”
Berta rise divertita, entrambi sapevano che nelle storie raccontatele da piccola per addormentarla, Lucash descriveva una delle zie quando appariva una strega. Una delle tre, a rotazione. Berta se ne era accorta presto e spesso il modo in cui approcciava le zie era stato motivo di ansia e imbarazzo per il padre. La colpa era sua, ma ne era valsa la pena.
“Se cresci ancora un po’, dovrò fare una casa più grande. Vai a spendere un po’ di energia va’ !”
Berta baciò il padre sulla guancia ruvida e corse via senza richiudere la porta. Lucash non la sgridava mai per questo, approfittava della svista per scorgerne la sagome in lontananza, fino a che spariva nel folto del bosco.
“Va tutto bene, ancora.”
Si alzò senza smettere di osservare la gatta sulla sedia a dondolo.
“La proteggerò sempre, come puoi vedere.”
Si sollevò l’orlo del pantalone, avvolgendolo fino al ginocchio.
“Prego, serviti pure.” La gatta con un balzo fu sul suo polpaccio, azzannando la carne senza pietà.
Lucash aspirò l’aria tra i denti, il dolore era forte, come sempre.
“Solo il sangue Perla, lo sai, non imbrigliare.”
La gatta si staccò e per dispetto lo graffiò sul segno del morso. Il bruciore era insopportabile.
“Vado a ripulirmi, spero starai bene ora.” L’animale gli aveva già voltato le spalle acciambellandosi nuovamente sulla sedia comoda.
“Va tutto bene…”

Delirio estivo


Ogni perla che scorre sulla pelle
tra le pieghe forma pozze calde,
in un gioco di sudore rivo
di epidermide cocente.

Le dita a ricacciar capelli,
a esser uomo già rasati,
invece che giardini pensili
di ciocche ormai pesanti.

Le parole in testa esplodono
le mani sui tasti picchiando,
ma gli occhi reticenti dolgono
e il capo dolorante in affanno.

Fantasie stonate di staffetta,
in corsa scattando lesta,
raggiungo il traguardo in testa
le mani strette con forza.

Abbasso lo sguardo sorpresa
il testimone osservando
ma non di legno è arrivato
a trionfo il mio romanzo.