Un uomo, un presidente.


Nel cuore dell’anima, nel nocciolo duro, sono rimasto un uomo.
Lo dico a me stesso, nulla con cui potrei convincere gli altri. Non è un proclama efficace, per quello ci sono gli slogan elettorali, le promesse, il programma di buone ed efficaci intenzioni.
Parlo al mio riflesso. Lo squadro con occhio critico. Nudo, sono in ottima forma, mai stato meglio.
Non provo soddisfazione, so di essere in alto, tanto che manca l’ossigeno a volte.
La corsa, come si dice spesso, è la parte migliore, una volta arrivato ci sono gli altri, le aspettative, le minacce, il disappunto e tutto ciò che non ha niente a che fare con la voglia di dare tutto me stesso.
Quando corri sei tu, solo, ti misuri con te stesso, spingi, stringi i denti e osservi gli altri da una distanza di sicurezza. Stanno lì, pronti ad assalirti, osservano, giudicano, ma finché la prova non è conclusa, restano sugli spalti.
Poi, inevitabilmente arriva il traguardo, perché è come se ti piombasse addosso, tu continui a correre e non sembra affatto di tagliare il nastro, piuttosto sembra un impiccio che mette fine a tutto.
Ora, sono più solo che mai. Non mi fido di nessuno, nemmeno di me stesso. Ho perso la mia identità.
La stima di me è cosa andata da tempo, cerco di credere che ci sia gente decente a questo mondo, ma ho la certezza che l’innocenza si mantenga con la stupidità e l’ignoranza, perché chiunque sappia come gira il mondo non può che aver perso ogni illusione.
Vorrei cose che non avrò mai più, perché non ci credo. Per avere la posizione più alta, ora mi trovo solo, osservato e so che mi vogliono vedere mentre cado rovinosamente. Anche l’anima più tranquilla prova un brivido di eccitazione quando un potente cade dalla cima della torre; fa apparire migliore la sua vita, pensa di raccontarsi una bugia, ma io so che la sua vita è migliore.
Con le migliori intenzioni ho scavalcato i gradoni di questa ziggurat e ad ogni salita mi sono sporcato un po’ di più.
Ogni volta che sono riuscito ad avanzare, ho capito che non sarei stato né avrei fatto ciò per cui mi arrampicavo, ma ho proceduto ugualmente. Mi sono detto che sarei comunque stato meglio io di un altro, che non avrei fatto gravi danni alla popolazione, che avrei impedito così che un altro folle invasato spargesse sangue nel mondo.
Ho tradito tutti, sono migliore del mio antagonista, sono migliore di tutti loro, ma non ho fatto nulla di ciò che avrei dovuto.
Non è possibile, semplicemente. Se fossi onesto me ne andrei, lasciando il mio posto allo sciacallo, ma sarei ancora me stesso fino in fondo. Non posso denunciare il sistema, ridicolizzerei me stesso e la mia ipocrisia; come chi arriva alla sorgente di vita, scopre che è acqua putrida e tornato a casa, cerca di convincere gli altri a non intraprendere il viaggio. Non funziona, non gli crederebbe nessuno, penserebbero solo che ho vinto, ho preso e che non voglio che altri possano farlo dopo di me.
Ho collaboratori in gamba, gente incredibile davvero che crede in me e se li deludessi, in un attimo salterebbero sul mio cadavere ancora caldo. Deluderli significa sviare dal percorso stabilito. Non sono io a capo della nazione, io sono solo quello che batte il martelletto, quello che appone la firma.
Mi guardo e vorrei piacermi.
Immagino che sceso da queste scale, passerò il resto della mia vita a cercare di salvarmi dalla dannazione che mi avvolge.
Per amore della Patria ogni uomo rinunci a se stesso per il bene comune, facendolo si focalizzi su quel bene e non tradisca la propria missione, la quale è sempre concordata da persone assetate di potere, sangue e ricchezza.

Dello scrivere


Scrivere è vivere scorrendo, su un pezzo di carta, uno schermo acceso, un tratto di spiaggia.
Scrivere è non soccombere, lasciare un segno, un po’ di onestà umana.
Scrivere è il sogno mai speso, un desiderio inespresso condiviso col mondo.
Scrivere è un amore esteso, una passione protesa che afferra e ti sorprende.
Scrivere è l’unico modo per essere me stessa, ammesso e non concesso.
Scrivere è la storia che l’uomo racconta, la verità che non pretende realtà.
Scrivere è l’amore più grande che conosco, a cui sono fedele, per sempre.

Cafona tristezza


Non so comportarmi,
quando serve sgarro,
sbotto,perdo il laccio.
Starei nella tana
giusto per non
umiliarmi, cado.
Perfetta ammaccata,
fumante di rabbia,
di vomito rimessa.
La furia, del male
doloroso potente
mi acceca la mente.
Così il sentimento
celato quotidianamente
d’un botto si manifesta.
Preferibilmente
quando v’è la gente
e non più l’orgoglio.

Delusione e riflessione su


Quando la verità è plasmata per manipolare ciò che penso e imbrigliare la mia opinione, conosco un’unica sincera soluzione al dilemma della conseguente delusione cocente:
VAFFANCULO !

leggere attentamente le avvertenze scritte in aramaico dialettale qui sotto prima di affrontare lo scritto sovrastante. L’autrice si libera dalla responsabilità di chi possa sentirsi offeso per la sua volgarità; sottolinea inoltre la fortuna del malcapitato lettore nella sua impossibilità di leggerle la mente, ben più corrotta delle sue parole.

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perdonami


sunset

Perdonami se puoi.

Ho dubitato del tuo affetto e a volte preferisco allontanare il pensiero di te, perché l’incertezza del mio posto nel tuo cuore mi riempie di tristezza.
Quella pianta si è insinuata nello stomaco e le radici stringono, non riesco a rivedere il tempo insieme senza ricomporlo. So che volevo essere per te quel tenero affetto che non ero per alcuno. Volevo un posto dove risplendere e so che non era vero, ma il sangue ci unirà sempre.
Troppo il tempo muto che si riempie di sospiri e io languo nel tormento.
Si rifà in me viva l’arrendevolezza, la stroncante consapevolezza del valore che mi porto dietro, su quel cartellino che segna sempre il mio misero prezzo.
Ho pensato di essere stata d’altri, per tollerare meglio, per cullarmi nel delirante sogno di una coppia persa nel mondo che amava me sola, come un pezzo di cuore rubato.
Poi, mi sono legata a te, inebriandomi del tuo sapere, del tuo accettarmi e guardarmi meglio.
Ora, gli anni sono andati indietro e tu non sei più e io non ti avrei chiesto questo, perché si parlava di tutto il resto, ed era implicito il nostro attaccamento.

Anche se non mi cercavi, anche se andavi altrove e non da me.. anche se, anche se, anche se… ogni momento speso con te sentivo di appartenere, o m’illudevo.
Eppure mi manchi, come un pezzo di cuore rubato e nessuno a dirmi se lo tieni caro.

Diventare grandi e non essere mai dei grandi, ma granellini sospesi in un alito di vento.

Io accetto, la mia sconfitta, la mia incapacità di recuperare, non l’apprezzo, ma l’affronto.
Sono un orso polare e ho bisogno del mio inverno, ci vediamo al disgelo.

Vorrei solo avere quella certezza nel cuore d’essere stata preziosa davvero per qualcuno, per me stessa, senza sforzo di essere una versione migliore. Con te lo ero, totalmente, di questo ti sarò grata sempre. Dammi un segno.

Cent’anni adesso


Cent’anni sulle spalle
massicci, gravi,
Atlante beffato,
mi piego in silenzio.

Sorreggi, sorreggi
solleva ancora,
non c’è un tempo,
il perpetuo è fisso.

Gli affanni son desti
occhietti vivaci
ti succhiano l’Io
sputando il guscio.

Trema, trema
le giunture saltano,
vivi e spera
domani sarai albero.

Il circo della vita


e come Alice nel Paese delle meraviglie , d’un tratto al morso del biscotto mi ritrovo.. braccia e gambe fuori dagli usci e ciò che mi pareva a mia misura, si restringe, con un senso di soffocamento atroce.

il marinaio, la bambina, il coniglio, il guerriero, tutti i me che insieme si stringono e cercano invano di alzare le mani, con proteste a tutto fiato si ribellano, cantando i moti rivoluzionari.

e sì che partivo bene, come il migliore giostraio errante, coi suoi trucchi immagignifici, le sue illusioni teatrali, i paradossi tutti infiocchettati, ma arriva il mattino che tutto rivela e non c’è granello di polvere che non si appaia nel suo raggio indagatore.

i compartimenti stagni mostrano le crepe e le lacrime copiose passano indenni, rimirando i pavimenti lustri il folletto ride, sguaiatamente e scomposto, col suo alito fetente di carogne maldigerite.

suona in lontananza il carillon dei miei ricordi, portando seco gli ultimi turisti, di questo cuore che non sa stare al proprio battito composto.

signore e signori, vengano, vengano! questo è lo spettacolo della vita!

In un certo senso… mi dileguo.


In un certo senso.

In un certo senso è tutto così: relativo. Possiamo esprimerci ovunque, meglio in rete che in casa, ma questa bulimia di opinioni e cibo, di poker e alcolici, uscite notturne in cerca di sesso e chat che scottano… in un certo senso mi sa che il silenzio fa paura.

Io lo temo, da un po’. Quando lo affronto e guardo i miei demoni nelle iridi infuocate, mi sento più forte. Come il telefono che è il mio girone dantesco, se potesse avere le corna, mi parrebbe più coerente. Il max è farci due foto, scaricare applicazioni cretine per addobbarlo bene, ma usarlo per il suo principale scopo.. giammai!

Ho le mie ragioni però. Non è possibile che le telefonate siano sempre deludenti, talmente deludenti che sto male un giorno intero. Notizie orrende, sfoghi, scene mute.. il mio disagio cresce e vorrei chiudere così, senza spiegazione per favore.

In un certo senso leggere è uno svago eccezionale, funziona alla grande, un trip del cervello senza tossine. Scrivere è liberatorio, ma farlo con lo scopo di farsi leggere richiede un po’ di impegno, di dedizione, niente vomiti dell’anima, ma espressione della fantasia nascosta da qualche parte nel cervello.

In un certo senso è tutto deprimente, senza drammi, senza cose giganti, forse è questo senso che manca e non c’è modo di cambiare le regole del gioco. Si fa così, si parla così, si gestisce così, si è donna così, e i ruoli così.. in un certo senso.

Forse è uno di quei periodi che non mi va, non mi va niente,davvero. Possibilmente niente drammi di alcun genere, niente rotture, niente sfoghi prolissi, niente obblighi insulsi. Vorrei riprendermi da tutto quel che è stato, mi tesso il mio bel bozzolo soffice, un  libro e un block-notes con penne, magari un Sudoku di 1000 pagine appresso.

La fase farfalla non mi interessa al momento, troppo lontana. Mi basta il bozzolo, in un certo senso.

 

Delirio estivo


Ogni perla che scorre sulla pelle
tra le pieghe forma pozze calde,
in un gioco di sudore rivo
di epidermide cocente.

Le dita a ricacciar capelli,
a esser uomo già rasati,
invece che giardini pensili
di ciocche ormai pesanti.

Le parole in testa esplodono
le mani sui tasti picchiando,
ma gli occhi reticenti dolgono
e il capo dolorante in affanno.

Fantasie stonate di staffetta,
in corsa scattando lesta,
raggiungo il traguardo in testa
le mani strette con forza.

Abbasso lo sguardo sorpresa
il testimone osservando
ma non di legno è arrivato
a trionfo il mio romanzo.