risvegli e incubi


i tuoi occhi
oltre me
vivono
lontano,
da me

mi batto il petto,
grido
mi graffio
scalpito
piango

come fosse
normale
spazi (tu),
nel mondo
ti basti

nel buio sento
braccia forti
strette
al mio petto,
fantasmi

parlo,
non senti
guardo,
non vedi
lascio

ciò che ero
non sarò,
il cuore spento,
un fioco
desiderio

non si cancella
non si riparte
solo avanti
a spinte,
a inciampi

errori?

sogni grandi!

per umani

piccoli

nulla

di carne

sangue

e ossa

troppo

fragili.

Immobile fuggire invano


Straordinario è per me l’ordinario,
Io stabile nel quotidiano.
Ogni parete che mi sorregge freme,
ad ogni passo allungo lo sguardo,
corro lontano, scappo,
col pensiero evado.

Non è straordinario?

Resto e conto il tempo slittare,
non è che uno sfiorare la mano,
guardo l’orizzonte come allora,
una meta all’infinito,
troppo doloroso sperare
un bagno di luce.

Abbasso lo sguardo e aspetto.

Che il mondo finisca con me,
che io svanisca tra i giorni cupi?
C’è tutto ancora, dentro stipato,
ho solo capito la nozione:
ogni donna ha il suo dolore,
ogni uomo un portone .

C’ero, da qualche parte, in qualche dove.

L’amore che non si consuma sbiadisce, non si conserva


Con quel borsone da militare, il primo ricordo di te.
La faccia da schiaffi e avrei dovuto dartene un paio, prima ancora di conoscere il tuo nome.
Uno sguardo, il tuo, più grande di te, più alto della tua misura.
Mi hai irritato e ferito, senza averne coscienza e questo, poiché lo capivo, ha lasciato in me uno spiraglio di possibilità.
Se avessi avuto più rispetto di me stessa, più sicurezza, forse non ti avrei amato, se ne avessi avuto meno, non avrei neanche provato.
Siamo figli della vita, più che di un paio di persone qualunque; frutto di ciò che ci ha colmato e di ciò che ci ha spezzato.
Ho fatto scelte importanti con un animo intimorito, col dolore pressante di sentirmi uno scarto.
Avevo però un bagliore di autostima che mi ha salvato .
Sono passati anni e siamo a questo punto.
Ognuno con le sue priorità.
Ho alleggerito il mio bagaglio di necessità e tu l’hai caricato.
Credo fortemente nella brevità della vita, in quanto di fatto è breve.
Credo nella pochezza dell’essere un singolo essere umano tra la moltitudine, di fatto il mondo gira anche senza di me.
Credo che due persone amandosi scoprano cose che non è dato spiegare, né replicare, poiché le emozioni forti sono irreplicabili, come la sinergia che ne deriva.
Sono disillusa e più che mai mi convinco che ciò che conta è ciò che non rimane a questo mondo dopo di noi.
Voglio vivere di ciò che siamo insieme, sperimentare la connessione, il desiderio, la totalizzazione.
Questo però non è il mondo in cui viviamo e ancora una volta si finisce per vivere per ciò che ci potrebbe, possibilmente, permettere di vivere e rimandiamo il tempo di stare assieme a un domani che non è promesso.
Vorrei essere capace di mantenere vivo l’amore di speranze e attese.
Lo vorrei davvero.

Perché? Perché… Perché!


Let’s get it on…

Perché?
Il mondo intero è racchiuso in un perché, basta domandarlo, esclamarlo, sospenderlo, ma sta lì, tutto intero.

Ripenso ai miei perché, al mio grande punto di domanda su me.

A quando tutto cominciava a essere più netto e sfocato insieme; a quando un sorriso era un dono immenso e i sogni si disegnavano su altro da me, come un salvagente di braccia che mi salvasse dalla mia caduta in acque sempre più profonde.
Volevo un cuore che battesse col mio, ma niente è mai facile e ora capisco cose nuove che spiegano la confusione di allora.
Quando era troppo gentile, mi spaventavo e scappavo, e non capivo il mio terrore, poi guardavo oltre o mi isolavo in sogni nebbiosi. Quando era scortese, ma vicino, mi interrogavo e mi fidavo. Perché?

Perché….
Troppo facile la gentilezza che ti abbraccia e poi gentilmente ti lascia; chi ti guarda da lontano , ma non se ne va, ti morde, ma torna e poi piano piano gentilmente ti sfiora, forse resta. Forse chi non vuole volere, ma cede, resta.

Contorsioni del cuore, ma avevo ragione, un po’ avevo ragione senza saperlo. Per volermi davvero, bisogna che gli sbecchi e i bozzi siano lì, da guardare, pensare, decidere e carezzare. Avevo bisogno di essere voluta su tutto, su chi è meglio di me, solo perché non è me.

Vorrei poterlo spiegare a chi è tanto giovane adesso: avete il diritto e il dovere di amare ed essere amati per ciò che siete, ma non fatevi il torto cercando l’amore di non saper amare. Chi vi sta di fronte ha i suoi cocci rotti, i suoi spigoli all’ombra e se non c’è modo di  vederli, niente da fare e se si vedono solo quelli, troppo male.

Ognuno salvi se stesso e il proprio cuore o lo getti in pasto al mondo e non lo richieda più indietro.
Che pulsi, che pulsi forte, pompando la vita fino all’ultima goccia di sangue.

Anche quando fa male, male come fa ora.

Valentina


Il passero sostava sulla balaustra e io quasi trattenevo il fiato, mentre il fumo mi allagava la gola, bruciando.
Con un sospiro lieve lo esalavo lontano, sentendomi in torto rispetto alla minuta creatura.
Guardavo il mare e con la coda dell’occhio mi accertavo che l’amico fosse ancora lì, l’unico compagno rimasto.
I miei polsi ciondolavano stanchi, mentre la cenere si accumulava sulla sigaretta che non osavo avvicinare alla bocca, per non spaventarlo con un movimento brusco.
Valentina avrebbe riso, dicendo che sono un pazzo sentimentale, in fondo a un passero che può fregare della mia solitudine? Avrebbe battuto le mani e quello sarebbe volato via, lontano dallo schiamazzo.
Invece io, che sono stanco fino all’osso e solo come un cane, resto immobile a bruciarmi le dita di nicotina, beandomi di un uccelletto che muove la testa a scatto, ora mi guarda con un occhio, ora con l’altro e io mi trovo a sorridere come un bimbo cui facciano busettetè.
Sono proprio al lumicino, non m’importa, i capelli sbandano al vento, come le mie emozioni soverchianti che vorrei vomitare in una volta sola per sentirmi svuotato, per scoprire cosa si prova.
Non c’è nulla che mi spezzi e nulla che mi sostenga, piuttosto come un sacco vuoto mi affloscio su me stesso, riempiendomi di tutto, tenendo tutto dentro.
Potrei ripiegare sul sesso, ma dura poco e il dopo è deprimente e il prima frustrante, non ne posso più neanche di fingere un minimo interessamento. Sono tutte vittime della mia disattenzione, tutte ferite; eppure Valentina mi sbugiardava, mi prendeva a schiaffi e poi mi baciava, faceva l’amore ridendo e si strofinava sul mio petto facendo le fusa, prima di addormentarsi. Lei mi spiazzava. 
L’ho lasciata nel suo letto , scappando via come un perseguitato in cerca di patria; non è che non me la meriti, io non la voglio e non voglio volerla. Cercavo un corpo caldo, un po’ di sollievo reciproco, come quando ti prude la scapola e una mano amica ti gratta via il fastidio. Ora mi prude tutto: Valentina mi ha fatto venire l’orticaria.

E non voglio, più


Capisco il timore d’amare di chi teme d’essere ferito. Il cuore offerto è un petto esposto ed inevitabile è il dolore quanto la vertigine folle dell’amore.
Quando il dolore si fa più manifesto, ogni colore perde lucentezza, una parola ha il peso grave d’una roccia,mentre muri s’innalzano inclinandosi in una fortezza grottesca.
Tale la stretta nel petto da sognare nulla: più emozioni, più desideri, più carezze.
Anche il fiato che contrae il respiro è una violazione, del bisogno immobile di non sentire.

Dello scrivere un romanzo


47 pagine. la storia mi piace.

Contro ogni sorte, ‘che il mondo s’avversa in un moto di perenne latrare, bussare di porte, quando le nocche vengono utilizzate!

Eppure io, con rischio scazzo altissimo, a volte mi stupisco e mi faccio catturare, sorprendendomi sempre più di come la mente funzioni più o meno come per la lettura: devi farti catturare dalla storia, esserci dentro, altrimenti non funziona e buona notte al secchio, tanti saluti!

Ok, però io non sto dando consigli, mica ho mai pubblicato niente!

Voi direte :” ‘mbeh? Allora che diamine parli a fare?”

Io ringraziando della cortesia, rispondo che sto solo riportando la mia esperienza, mentre sono ancora sul fronte scrittura in corso.

L’entusiasmo per i personaggi a volte è tale, che da blogger abituata a scrivere sul momento e pubblicare in rete, è dura non condividere in diretta ciò che ho prodotto.

Non sia mai, tengo duro, voglio portare a compimento un lavoro completo. Rileggo, correggo in corsa, mi faccio un elenco dei nomi, dei legami famigliari, delle caratteristiche fisiche e altri eventi.

La confusione che a volte mi coglie nella lettura, mi coglie nel corso degli accadimenti inventati da me medesima!

Sarò io una mezza… stolta, ma rischiare di cambiare i connotati di qualcuno dopo tre capitoli, mi pare imbarazzante!

C’è gente che ho messo lì, di allaccio e ora mi prende, mi stimola e mi rendo conto che si presta a ulteriori approfondimenti.

La storia di Lara e Ruben versione blog che ormai è tutt’altra cosa dal fratello di partenza, la porterò avanti per affetto e gusto personale, fosse anche che uno di voi possa apprezzare.

Questa è condivisione gente!

Per condividere appieno..

Oggi ho fatto un pianto osceno, per esasperazione, credendo di essere per i fatti miei, meno male che c’è sempre quell’anima pia del Man che mi ricopre di letame quando sono giù.

Ha tanti pregi per carità, ma non so cosa gli marcisca in testa a pensare che a far una sfuriata una si risollevi!

Ti amo, ma sei stato uno stronzo: ho passato dei giorni di merda pensando a ciò che ho perso e non capisci un tubo purtroppo. Ho imparato a non piangere a causa tua ed è un bene, non si rimane ventenne a vita, ma cazzarola, lasciami piangere in pace il dolore che ho dentro, quando capita che ancora mi riesca di farlo! Non ce la faccio a sentire dire che per l’uomo quel tipo di perdita è lo stesso, io ne rimango ancora straziata.

Questa condivisione, mi spiace, è orrenda e chiudo qui, diciamo che mi sono svuotata.

Torno da Sazan e Sadik.

Ed è ancora vita nel piacere intenso di un brivido sulla pelle.Solo brezza estiva?


Sono probabilmente troppo sfinita per scrivere, ma .

Quando il cielo si stinge e gli odori si fanno brividi nel ventre, quando un refolo d’aria fresca solleticandomi i piedi mi emoziona quanto un bacio a piene labbra, io scrivo.

Scrivo che la vita a volte è talmente tanto un bagaglio di porcate che non so più come non odiare, allora, come una formula che Dio forse ha inserito nel mio DNA, io mi emoziono.

Da sola, che bastano le finestre spalancate, la musica e la vita che seguita arrogante, combattiva a scorrere nelle strida delle rondini in cielo, nelle voci che si fanno compagnia “al fresco”, nell’auto che da qualche parte cerca un posto dove arrivare e non ci arriva mai.

Ora io sono morbida dentro, come cera che si scalda e non più quel blocco che si sostiene per non squagliarsi a terra.

In quest’istante mi lascio essere, emozionare desiderare senza nome alcunché che sia specifico e la vita tutta nel mio cuore.

La pelle non è più incandescente, ma si bea dell’aria che la carezza come il più attento amante e io so che c’è altro in questo intorno e l’ho sempre saputo e non mi curo di dare nome a ciò che è immenso più di ogni mio percepire infinito.

Ora, solo per poco preziosissimo tempo, sono innamorata di tutto ciò che la vita mi è in dono.

A domani le amarezze, a domani i soldi che volano via e il retino bucato non tiene, a domani i parenti che ti succhiano il sangue dalle vene e tutto l’orrore dell’ignoranza che sgorga come fiele dagli angoli di bocche contorte in ghigni indignati.

A domani la merda, ci concimeremo le piane e le nostre più verdi speranze!

Domani i virgulti nei cuori dovranno resistere al bruto tempo.

Stasera però ho le finestre aperte e una luce lieve che mi addolcisce ogni tratto, l’aria che finalmente rinfresca ogni mio motto di ribellione, sono l’agnello stasera e il lupo dorme un sonno quieto.

E’ la sera estiva che rivela qualcosa, come accadeva da bambina, quando in un momento di solitudine, mi ritrovavo avvolta da qualcosa che non sapevo, eppure parlava di mistero, di vita, di cose senza forma e emozione pura, così intensa da essere il piacere più intenso.