E’ quest’illusione di essere ciò che non si è.
Questo credere di essere realmente il proprio pensiero,
di essere onesto ambasciator di se stesso,
piuttosto che un truffaldino oratore,
buono a cialtronerie, a sbrodolare
sentenze chiosanti e autocitanti,
ma il treno contro un tunnel occluso
come un siluro contro uno spazio cieco
tra scintille e imprecazioni sbatte,
e non ci sono sostenitori.
La colpa è privata sempre,
intimamente personale, mai
appieno compresa e svelata.
La pena è corale, sempre
da tutti apprezzata e resa,
mentre il botto agli occhi si rivela
da una semplice frase la veritù
che ingannarsi è lo sport nazionale,
di ogni anima ridotta a servitù,
e mi duole il cuore confessarmi rea
del colpevole delitto a mia spesa,
l’aver negato il peso reale
del valore del mio esistenziale.
Sulle labbra ancor di latte è ogni cosa,
con il tono certo di chi fa sentenza,
che io sono poca cosa, la servetta,
o non è vero in fondo che altri detta
non farei altro che rotear le dita?
E con lacrima trattenuta,
ancor più odiosa, vile, gnuda,
ho subito il colpo, e riflettuto,
la realtà è il mio colto sparuto,
aria fritta e pensieri eterei
su cui volano di carta
leggiadri insoliti aerei.