Diario di un’ introversa


Soffro di ansia e ci convivo. Perché vivo. So che ci sono traumi e quali sono. Non si cancellano, lasciano le tracce, come una mappa di cicatrici sotterranee tra mente e cuore. Sono la persona che non telefona, qualche volta scrive. Penso alle persone care e non le cerco. Devo averle di fronte. Abbandoni, bugie. Ci sono i motivi, ma non tutti reagiscono così. Se squilla il telefono non sono mai contenta. Neanche se ci fosse sullo schermo il nome di una persona che mi piace. Il primo pensiero è “cazzo!”, perché devo decidere entro un lasso limitato di tempo di accettare. Se la telefonata è lunga, è un supplizio. Non ho più spazio per la noia, ma ho bisogno di tempi “vuoti”, liberi da parole, persone, confronti. La delusione dei discorsi tanto per, di chi ti cerca per bisogno, per sentirti vicino, ma che non c’era o peggio, ha messo il carico da cento quando eri a un passo dal cadere è indelebile. Amare la gente, o piuttosto, esserne affascinata, ma temerne il potere di scalfirti l’anima con leggerezza, forse senza neanche saperlo, è una difficile creatura bifronte. Ognuno di noi sopravvive come può alle tempeste della propria esistenza. Non si può sempre scegliere, tra famiglia amici e il luogo in cui si vive. Trovo sia già una grande conquista riconoscere ed accettare la propria natura e scegliere di proteggerla. Quando con tono lieve dici di essere introversa e ti si ride in faccia, come se avessi detto una sciocchezza o avessi manifestato una troppo perversa attitudine. Allora, sembra meno grave e meno colpevole preferire la distanza da chi ama la tua empatia, ma non ti rende la stessa cortesia. Da un’introversa altamente sensibile a chiunque si riconosca simile. Vi vedo, vi sento, vi abbraccio.

Rispetto (per sé)


Mai rinunciare a se stessi. Né per amore del gruppo, né per alcuna convenzione che ferisca il tuo nocciolo interiore. A volte mantenere il rispetto di se stessi significa esporsi anche quando si è pacifici e con convinzione esprimere il proprio dissenso. A costo di non essere capiti. Si può essere giusti senza essere ingenui. Si può essere inclusivi senza amare tutti. Si può rinunciare a qualcuno perché quel qualcuno esclude persone che noi nemmeno amiamo. Per il semplice motivo che essere meschini è peggio che risultare antipatici. Il vecchio adagio “meglio soli che mal accompagnati” non è a significare la ragione di essere altezzosamente superiori ad altri; piuttosto, il diritto a mantenere saldi i propri principi a costo di essere impopolari. Quando il popolo abbassa la testa e volta il viso dall’altra parte di fronte alla brutalità, c’è sempre qualcuno che si ribella. Qualcuno che inizialmente viene schernito. Qualcuno che forse sarà una statua in una piazza, cui passeranno davanti senza ricordarne la storia. L’eroe che avrà pochi amici. Non saremo tutti eroi, troppo attacati al nostro benessere, ma possiamo rifiutare certamente ciò che nel petto comprime. Alla fine, ognuno è solo con se stesso. Ci deve essere rispetto.

Del sangue e della vita


Quando il sangue di un altro ti sporca le mani
Gratta finché il tuo stesso sangue ne lavi via l’odore
E ancora nulla solleverà dalla tua gobba il peso
E mai perdono cancellerà dalla memoria l’onta
La vita è un dono
che non appartiene
Ad alcuno:
Né al portatore
Né al donatore
E ancor meno
All’usurpatore.
Io mi possiedo
Finché linfa mi scorre
Eppure la sua fonte
Non è mio avere .

Il mio pensiero tutto


Ho deciso di esprimere totalmente il mio pensiero, a rischio che poi mi tiriate le orecchie, e si vede che lo merito!

Allora, il mio pensiero riguardo a questa giornata si rifà al riappropriarsi della nostra memoria.

In questo giorno gli italiani, quelli che erano sopravvissuti alla Guerra, votavano per la repubblica.

Noi siamo figli di questa scelta.

C’è stata una grande polemica riguardo i festeggiamenti di oggi, era una polemica.

Io, personalmente, ho tutto l’interesse che ci sia l’aiuto dovuto all’Emilia. Posso avere simpatia per quella popolazione, avere famigliari in zona, non importa: si deve ripartire e ricordiamo che la nostra economia trae un importante profitto dall’industria emiliana.

Dando questo per scontato, ho cercato di capire meglio il discorso festeggiamenti per il 2 giugno: essendo una festa organizzata in un arco di tempo piuttosto lungo, soldi ne sono già stati spesi per i festeggiamenti, quelli non tornano e non avrebbe senso buttare via tutto, il resto ancora da spendere va messo nella ricostruzione.
Non capisco il rispetto per chi patisce le conseguenze del terremoto con il rinnegare una festa nazionale, non lo collego.

Detto da chi ci crede poco da sempre. Temo però la strumentalizzazione da parte di chi inneggia all’anarchia, da chi ultimamente grida “Riprendersi lo Stato!”, ma che significa?, non me la sento di buttare millenni di Storia in caciara, non è l’occupazione delle superiori e già quella non serviva a niente. Ci vuole testa, ragionamento e rispetto.

Tengo a questa parola enormemente, perché il suo significato è stravolto. Mi pare che ci vogliano convincere che il rispetto corrisponda all’intimorire l’opppositore.

Non serve che lo dica che non ho mai votato a destra nella vita, non è necessario, ma ciò non mi fa sposare qualsiasi slogan appaia come risoluzione di questo schifo.

Non mi piace vedere le parate militari, ma ne ho rispetto, perché per quanto abbia da ridire, e ne ho, visto che siamo avvelenati da tutti i residui nascosti dalle loro esercitazioni di cui non rispondono mai a nessuno, neanche a se stessi, ne ho rispetto perché sarebbe follia pensare di non averne bisogno.

Le feste nazionali non le sentiamo proprio perché non le festeggiamo, noi italiani. Le festeggiano loro, gli appartenenti al Governo, i militari.. A scuola non se ne parla quasi mai, e i ragazzi tornano a casa felici perché il 2 giugno è vacanza! Vacanza? Era vacanza la seconda guerra mondiale, la nostra umiliazione, la riscossa, la violenza, gli stupri, le rivalse, la liberazione e noi che si andava a votare e finalmente anche le donne!

E’ un giorno da commemorare, non dico che si debba saltellare oggi, perché c’è bisogno di soldi per la ricostruzione.

Eppure c’era un articolo bellissimo di Kiara in cui la gente dimostra di voler gioire, vivere.

Allora magari a me piacerebbe che queste feste fossero nostre, mie e tue, e che ci ritrovassimo in piazza, come per le feste estive, quelle dedicate a quel santo o l’altro e potessimo in queste occasioni di riunione gioiosa, salire sul palco a dire la nostra tra di noi, ritornare uniti, ricordare i nonni e le loro storie, la vera Italia!