Il ritorno di Ruben-I racconti di Lara e Ruben.9-


“Lara?”

Ruben s’incamminava tra vicoli bui, l’aria che s’infiltrava era gelida e lui si strinse nella sua casacca incurvando le spalle per proteggere il collo.

Si chiedeva dove fossero, sperava che fossero insieme, ma non capiva dove fosse lui, né come vi fosse capitato.

Quel posto gli dava i brividi e il freddo c’entrava poco.

Si sporse per sbirciare tra i vetri sporchi e scheggiati di una casa stretta e scalcinata, accerchiata dalle altre, in cerca del proprio misero spazio.

L’interno dell’abitazione era desolante, con l’aiuto di una debole luce lunare Ruben vide tutti i mobili gettati alla rinfusa, le ragnatele gli indicavano l’abbandono e il fatto che tutto fosse rimasto lì, seppure nel caos, suggeriva la fuga dei proprietari in tutta fretta.

Le case seguenti riproponevano lo stesso scenario e Ruben cominciò a sentirsi seriamente minacciato da qualcosa di ignoto.

Camminava aderente i muri esterni, con passo felpato, aspettando di sbucare in qualche piazza, in qualche spazio aperto.

Camminava e sbirciava e il freddo lo percuoteva dall’interno, riducendo le sue ossa ad alberi spogli che soccombevano al vento invernale.

Non capiva come mai non ci fosse anima viva, non riusciva a spiegarsi dove fossero i suoi amici, e non aveva nessuna intenzione di soffermarsi su Lara, sul suo viso, sul bisogno di lei che rischiava di soffocarlo.

Si fermò quando guardando ancora una volta attraverso il vetro capì che le case erano tutte copie l’una dell’altra, anche la posizione in cui i mobili erano gettati all’aria era la stessa, le ragnatele erano nello stesso punto, della stessa dimensione.

Cadde in ginocchio e si scompigliò i capelli ramati. Una risata folle lo colse alla sprovvista e si spaventò ancor di più riconoscendo la propria voce sguaiata.

“Ah, che cazzo di scherzo è questo! Laraaa!! Gorgooo!! Uscite fuori subito! Questa me la pagate chiaro? Non è divertente, capito?”

E mentre gridava e rideva, lacrime calde gli solcavano il volto, rigandogli il viso sporco.

Sembrava un pagliaccio triste, di quelli che dipingono con la sigaretta in bocca e gli occhi iniettati di sangue.

Pestò i piedi e graffiò il terreno disseminato di ghiaia con le dita, raccogliendo i sassolini.

Si alzò e lanciò i ciottoli contro un vetro “e ora non è più uguale agli altri !!”, poi corse per qualche metro e lanciò altri sassi contro un altro vetro. Ormai certo di essere solo al mondo, provò ad aprire la porta che era chiusa, ma non aveva serratura.

Si sentì innondare da una furia cieca, quella furia che nasce dalla perdita di tutto e prese a colpire la porta a calci.

“Laraaaa!! Ho capito, ho capito, ho capito..” e crollò giù.

Si voltò verso il cielo troppo compatto per essere vero, con le stelle equidistanti, in un disegno così preciso da fargli salire i conati di vomito dallo stomaco.

“In che incubo mi trovo? Forse è un mio incubo d’infanzia?”

Steso con le braccia e le gambe aperte apriva e chiudeva i palmi verso l’alto in cerca di concentrazione.

Cercava la calma che Lara tante volte aveva cercato d’inculcargli durante l’addestramento, lentamente riuscì a placarsi.

Chiuse gli occhi per entrare in sé e cercare la risposta. Visualizzò una bolla e cercò di farla avvicinare sempre più, finché si senti avviluppato. Ora si sentiva più sicuro, come un bimbo nel grembo materno.

Da lontano gli giungeva un suono trainante, una melodia struggente.

Era un canto che conosceva, un ricordo d’infanzia, la voce era dolcissima, e si rannicchiò sul fianco abbracciandosi le ginocchia.

“Mamma..” sentiva la bolla fluttuare nello spazio onirico, mentre la voce si faceva più limpida e vicina.

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Lara riposava per disperazione di accumulo di sonno sul petto di Ruben: non c’era stato verso di convincerla ad allontanarsi da lui. Gorgo era molto preoccupato, il sortilegio che aveva colpito il ragazzo era potente e solo di rado aveva sentito che qualcuno ne fosse uscito. Solitamente il malcapitato restava intrappolato tra i sogni senza possibilità di nutrirsi, fino all’esaurimento fisico che lo portava a morte certa.

Il gigante si era allontanato poco e solo per procacciare cibo, controllando l’impellenza di continuare il viaggio, troppo consapevole dell’importanza di arrivare per tempo.

Brocco cantava quella nenia da quando Ruben era caduto nel sonno stregato, la cantava sempre anche nel sonno.

Lara si sentì stringere e d’impulso strinse Ruben più forte, premendo la guancia sul suo petto per sentire il suo cuore palpitare forte.

“Ciao bellezza.”

La ragazza scattò seduta coi palmi sulle spalle di lui, incapace di rinunciare al contatto.

“Ruben, sei sveglio?”

Il ragazzo rise sornione. “Non ne sono certo, se ti dico che stiamo sognando, cosa potremmo fare?” le disse con un sopracciglio alzato.

“Oh Ruben, sei il solito stronzo!” e si gettò su di lui singhiozzando senza pudore.

Quando una foglia cade


 

Se staccandosi dall’albero una foglia cade, non è sua la colpa.

Non è colpa forse del vento, che soffia e soffia instancabile, ingannevole portando seco un bisbiglio melodioso?

Non è colpa forse del ramo che si scuote per ogni colpo dal basso inferto?

Non è colpa forse del tempo che volge con le sue stagioni danzando in eterno scambio?

E la foglia dal legno scocca, vacillando sull’aerea scia, dondolando nella brezza tremula,  alle famigliari spoglie unita.

Un tappeto d’oro sui viali a un tratto, che a posare il passo nasce una magia ed i bimbi in festa cantano, saltellando in allegria.

Il ritorno.Tra le braccia della vita


 

Seguendo il naso trovò la scia. Aveva vagato per giorni, dimentico della fame, se non per i morsi, dimentico delle ferite, se non per le fitte, dimentico di sé e dei posti, se non per un’acuta nostalgia.

Gli scarponi rotti, il volto scavato bruciato dal sole, vent’anni e non sentirli, sentirne cento e tutti caduti dal cielo! Ognuno per la sua strada, come nulla fosse, come una gita finita per il maltempo, invece di una guerra cessata nella distruzione. E ora? Sapeva di dover morire, ormai l’aveva messo in conto, da prima ne era stato terrorizzato, tra fame, fughe, volti e corpi familiari travolti dai colpi di fucili indistinti, ma da un sicuro furore e poi, l’abbandono di tutto, di una vita certa nell’incertezza che si prepara alla guerra, ma era l’unica vita che aveva mai conosciuto e le armi fra le mani, così fredde e pesanti. Aveva appena avuto il tempo di sfiorar un morbido seno e poi lì, a sparare e sperare di restare vivo.

All’inizio si era tutti ben rasati, come soldatini al gioco, tutto chiaro e ordinato, poi.. la guerra, certo Grande lo era, spaventosa, impietosa, solo raffiche di mitra nelle orecchie, per giorni, portandolo alla follia, molti erano usciti pazzi e rispediti al fronte a farsi finire. Bambole di pezza, pensava. Lui era troppo sano e solido per cedere, una ribellione interiore lo sosteneva, era colui che ubbidiva meglio, combatteva meglio e meglio si muoveva in ricognizione. Uno solo era il segreto, una sola motivazione: la ribellione. Non gliene fregava niente della Patria, e nemmeno dello squadrone, al massimo aiutava chi gli stava simpatico. Nessun onore lo muoveva, solo una rabbia profonda, un senso di ingiustizia immane. Portava a segno ogni missione per avere salva la pelle e scoprire un giorno il significato di vivere. Voleva vivere disperatamente e aveva deciso così che non gli sarebbe più importato di morire. O vivere libero o morire combattendo, non c’era alternativa nella sua mente, aveva già vissuto il terrore della rappresaglia, ora voleva essere libero, a costo di esserlo da sepolto.

I suoi passi zoppicanti segnavano il sentiero di terra battuta, col fucile a mo’ di gruccia, un cappotto liso e logoro, inadatto alla stagione ormai calda, ma lui era tutt’ossa e il freddo dentro lo stringeva battendolo forte. Il naso lo trainava sulla scia di quell’odore, di cibo, di casa, di qualcosa che lo chiamava.

La giovane, sfornato il pane, si apprestava a cuocere il dolce, era una rarità, ma con la liberazione era riuscita a rimediare dello zucchero, e tra un baratto e l’altro, si era concessa questo lusso. Nessuno più per festeggiare. I fratelli erano al fronte e il cuore non le dava speranza, mentre la madre con l’ultimo parto era salpata, senza più ritorno. Da sole non ce l’avevano fatta e il dottore era deportato col padre oppositore. Sola, in attesa.

La vita era stata ruvida, di carta vetrata le sue carezze, eppure l’aveva amata, per gli occhi della mamma, le risa dei fratelli a rincorrersi e le storie di guerra del padre. L’altra guerra, quella che aveva portato a casa la medaglia e poi questa, che aveva portato via la famiglia.

L’odore del pane e il profumo intenso del dolce le portarono un ricordo d’allegria, come accade a chi ha imparato ad andare in bicicletta, ma per anni la smette, poi un giorno lontano rimonta in sella, e senza capire come, sta già andando.

Mise la tortiera sul davanzale, accanto al pane e inalando piano chiuse gli occhi un istante e poi riaprendoli.. Ah! Che colpo, uno spettro! Che occhi tristi, affamati le si presentarono alla finestra aperta, uno sguardo così intenso da strapparle il fiato. Allungò una mano, gli passò lieve le dita sul volto, toccandolo tutto: il naso, gli zigomi sporgenti, le guance scavate, la barba ispida, la bocca secca e le palpebre che si schiusero piano, godendo la carezza. Si allontanò lentamente, senza staccare lo sguardo da lui, nemmeno per un istante. Poi, di corsa aprì la porta e lo raggiunse, bloccandosi d’un tratto a un soffio dal soldato. Lui rimase fermo, immobile, respirando appena, con occhi enormi, liquidi e azzurri in quel volto provato. Lacrime calde scesero sui loro volti, allora lui le toccò il viso, raccogliendo la stilla preziosa. La ragazza commossa gli prese la mano e la tenne ferma in una calda carezza. Si avvicinò e sorridendo gli baciò il collo e poi le guance e le palpebre socchiuse e infine la bocca arsa dal sole. Si strinsero l’un l’altra riconoscendosi bambini, senza voce si amarono teneramente, e poi con impeto di passione.

Ripensarono spesso a quel giorno e alla tenacia che li aveva sostenuti, convinti di aver sentito in qualche modo nell’asprezza dei momenti più cupi, un impulso a resistere, per ciò che li aspettava nel dopo. Il profumo di quel dolce lo commosse sempre, il modo in cui lo riportò dritto tra le braccia della vita.