“Lara?”
Ruben s’incamminava tra vicoli bui, l’aria che s’infiltrava era gelida e lui si strinse nella sua casacca incurvando le spalle per proteggere il collo.
Si chiedeva dove fossero, sperava che fossero insieme, ma non capiva dove fosse lui, né come vi fosse capitato.
Quel posto gli dava i brividi e il freddo c’entrava poco.
Si sporse per sbirciare tra i vetri sporchi e scheggiati di una casa stretta e scalcinata, accerchiata dalle altre, in cerca del proprio misero spazio.
L’interno dell’abitazione era desolante, con l’aiuto di una debole luce lunare Ruben vide tutti i mobili gettati alla rinfusa, le ragnatele gli indicavano l’abbandono e il fatto che tutto fosse rimasto lì, seppure nel caos, suggeriva la fuga dei proprietari in tutta fretta.
Le case seguenti riproponevano lo stesso scenario e Ruben cominciò a sentirsi seriamente minacciato da qualcosa di ignoto.
Camminava aderente i muri esterni, con passo felpato, aspettando di sbucare in qualche piazza, in qualche spazio aperto.
Camminava e sbirciava e il freddo lo percuoteva dall’interno, riducendo le sue ossa ad alberi spogli che soccombevano al vento invernale.
Non capiva come mai non ci fosse anima viva, non riusciva a spiegarsi dove fossero i suoi amici, e non aveva nessuna intenzione di soffermarsi su Lara, sul suo viso, sul bisogno di lei che rischiava di soffocarlo.
Si fermò quando guardando ancora una volta attraverso il vetro capì che le case erano tutte copie l’una dell’altra, anche la posizione in cui i mobili erano gettati all’aria era la stessa, le ragnatele erano nello stesso punto, della stessa dimensione.
Cadde in ginocchio e si scompigliò i capelli ramati. Una risata folle lo colse alla sprovvista e si spaventò ancor di più riconoscendo la propria voce sguaiata.
“Ah, che cazzo di scherzo è questo! Laraaa!! Gorgooo!! Uscite fuori subito! Questa me la pagate chiaro? Non è divertente, capito?”
E mentre gridava e rideva, lacrime calde gli solcavano il volto, rigandogli il viso sporco.
Sembrava un pagliaccio triste, di quelli che dipingono con la sigaretta in bocca e gli occhi iniettati di sangue.
Pestò i piedi e graffiò il terreno disseminato di ghiaia con le dita, raccogliendo i sassolini.
Si alzò e lanciò i ciottoli contro un vetro “e ora non è più uguale agli altri !!”, poi corse per qualche metro e lanciò altri sassi contro un altro vetro. Ormai certo di essere solo al mondo, provò ad aprire la porta che era chiusa, ma non aveva serratura.
Si sentì innondare da una furia cieca, quella furia che nasce dalla perdita di tutto e prese a colpire la porta a calci.
“Laraaaa!! Ho capito, ho capito, ho capito..” e crollò giù.
Si voltò verso il cielo troppo compatto per essere vero, con le stelle equidistanti, in un disegno così preciso da fargli salire i conati di vomito dallo stomaco.
“In che incubo mi trovo? Forse è un mio incubo d’infanzia?”
Steso con le braccia e le gambe aperte apriva e chiudeva i palmi verso l’alto in cerca di concentrazione.
Cercava la calma che Lara tante volte aveva cercato d’inculcargli durante l’addestramento, lentamente riuscì a placarsi.
Chiuse gli occhi per entrare in sé e cercare la risposta. Visualizzò una bolla e cercò di farla avvicinare sempre più, finché si senti avviluppato. Ora si sentiva più sicuro, come un bimbo nel grembo materno.
Da lontano gli giungeva un suono trainante, una melodia struggente.
Era un canto che conosceva, un ricordo d’infanzia, la voce era dolcissima, e si rannicchiò sul fianco abbracciandosi le ginocchia.
“Mamma..” sentiva la bolla fluttuare nello spazio onirico, mentre la voce si faceva più limpida e vicina.
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Lara riposava per disperazione di accumulo di sonno sul petto di Ruben: non c’era stato verso di convincerla ad allontanarsi da lui. Gorgo era molto preoccupato, il sortilegio che aveva colpito il ragazzo era potente e solo di rado aveva sentito che qualcuno ne fosse uscito. Solitamente il malcapitato restava intrappolato tra i sogni senza possibilità di nutrirsi, fino all’esaurimento fisico che lo portava a morte certa.
Il gigante si era allontanato poco e solo per procacciare cibo, controllando l’impellenza di continuare il viaggio, troppo consapevole dell’importanza di arrivare per tempo.
Brocco cantava quella nenia da quando Ruben era caduto nel sonno stregato, la cantava sempre anche nel sonno.
Lara si sentì stringere e d’impulso strinse Ruben più forte, premendo la guancia sul suo petto per sentire il suo cuore palpitare forte.
“Ciao bellezza.”
La ragazza scattò seduta coi palmi sulle spalle di lui, incapace di rinunciare al contatto.
“Ruben, sei sveglio?”
Il ragazzo rise sornione. “Non ne sono certo, se ti dico che stiamo sognando, cosa potremmo fare?” le disse con un sopracciglio alzato.
“Oh Ruben, sei il solito stronzo!” e si gettò su di lui singhiozzando senza pudore.
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