Vita


un taglio netto, inciso sulla pelle,
un sorriso sghembo
una lama che lacera e apre
parole di plastica che bruciano
l’odore è acre.

l’abisso fumoso intinge le vesti di inferno
volteggiando si cade
più in alto di ieri
nel mondo capovolto
si vola

case, cose, città di carta e fiamme di ossa,
volando si cade su
chi muore ricorda
e rimane affisso
sulla porta

l’uscio si chiude e tutto si scorda
di giochi, di brame
voglia di te
l’oblio lava
e culla.

non resta che il sogno e il bardo
il canto e l’illusione
la festa e il terrore
tra vita e morte
l’attesa.

Il ritorno di Ruben-I racconti di Lara e Ruben.9-


“Lara?”

Ruben s’incamminava tra vicoli bui, l’aria che s’infiltrava era gelida e lui si strinse nella sua casacca incurvando le spalle per proteggere il collo.

Si chiedeva dove fossero, sperava che fossero insieme, ma non capiva dove fosse lui, né come vi fosse capitato.

Quel posto gli dava i brividi e il freddo c’entrava poco.

Si sporse per sbirciare tra i vetri sporchi e scheggiati di una casa stretta e scalcinata, accerchiata dalle altre, in cerca del proprio misero spazio.

L’interno dell’abitazione era desolante, con l’aiuto di una debole luce lunare Ruben vide tutti i mobili gettati alla rinfusa, le ragnatele gli indicavano l’abbandono e il fatto che tutto fosse rimasto lì, seppure nel caos, suggeriva la fuga dei proprietari in tutta fretta.

Le case seguenti riproponevano lo stesso scenario e Ruben cominciò a sentirsi seriamente minacciato da qualcosa di ignoto.

Camminava aderente i muri esterni, con passo felpato, aspettando di sbucare in qualche piazza, in qualche spazio aperto.

Camminava e sbirciava e il freddo lo percuoteva dall’interno, riducendo le sue ossa ad alberi spogli che soccombevano al vento invernale.

Non capiva come mai non ci fosse anima viva, non riusciva a spiegarsi dove fossero i suoi amici, e non aveva nessuna intenzione di soffermarsi su Lara, sul suo viso, sul bisogno di lei che rischiava di soffocarlo.

Si fermò quando guardando ancora una volta attraverso il vetro capì che le case erano tutte copie l’una dell’altra, anche la posizione in cui i mobili erano gettati all’aria era la stessa, le ragnatele erano nello stesso punto, della stessa dimensione.

Cadde in ginocchio e si scompigliò i capelli ramati. Una risata folle lo colse alla sprovvista e si spaventò ancor di più riconoscendo la propria voce sguaiata.

“Ah, che cazzo di scherzo è questo! Laraaa!! Gorgooo!! Uscite fuori subito! Questa me la pagate chiaro? Non è divertente, capito?”

E mentre gridava e rideva, lacrime calde gli solcavano il volto, rigandogli il viso sporco.

Sembrava un pagliaccio triste, di quelli che dipingono con la sigaretta in bocca e gli occhi iniettati di sangue.

Pestò i piedi e graffiò il terreno disseminato di ghiaia con le dita, raccogliendo i sassolini.

Si alzò e lanciò i ciottoli contro un vetro “e ora non è più uguale agli altri !!”, poi corse per qualche metro e lanciò altri sassi contro un altro vetro. Ormai certo di essere solo al mondo, provò ad aprire la porta che era chiusa, ma non aveva serratura.

Si sentì innondare da una furia cieca, quella furia che nasce dalla perdita di tutto e prese a colpire la porta a calci.

“Laraaaa!! Ho capito, ho capito, ho capito..” e crollò giù.

Si voltò verso il cielo troppo compatto per essere vero, con le stelle equidistanti, in un disegno così preciso da fargli salire i conati di vomito dallo stomaco.

“In che incubo mi trovo? Forse è un mio incubo d’infanzia?”

Steso con le braccia e le gambe aperte apriva e chiudeva i palmi verso l’alto in cerca di concentrazione.

Cercava la calma che Lara tante volte aveva cercato d’inculcargli durante l’addestramento, lentamente riuscì a placarsi.

Chiuse gli occhi per entrare in sé e cercare la risposta. Visualizzò una bolla e cercò di farla avvicinare sempre più, finché si senti avviluppato. Ora si sentiva più sicuro, come un bimbo nel grembo materno.

Da lontano gli giungeva un suono trainante, una melodia struggente.

Era un canto che conosceva, un ricordo d’infanzia, la voce era dolcissima, e si rannicchiò sul fianco abbracciandosi le ginocchia.

“Mamma..” sentiva la bolla fluttuare nello spazio onirico, mentre la voce si faceva più limpida e vicina.

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Lara riposava per disperazione di accumulo di sonno sul petto di Ruben: non c’era stato verso di convincerla ad allontanarsi da lui. Gorgo era molto preoccupato, il sortilegio che aveva colpito il ragazzo era potente e solo di rado aveva sentito che qualcuno ne fosse uscito. Solitamente il malcapitato restava intrappolato tra i sogni senza possibilità di nutrirsi, fino all’esaurimento fisico che lo portava a morte certa.

Il gigante si era allontanato poco e solo per procacciare cibo, controllando l’impellenza di continuare il viaggio, troppo consapevole dell’importanza di arrivare per tempo.

Brocco cantava quella nenia da quando Ruben era caduto nel sonno stregato, la cantava sempre anche nel sonno.

Lara si sentì stringere e d’impulso strinse Ruben più forte, premendo la guancia sul suo petto per sentire il suo cuore palpitare forte.

“Ciao bellezza.”

La ragazza scattò seduta coi palmi sulle spalle di lui, incapace di rinunciare al contatto.

“Ruben, sei sveglio?”

Il ragazzo rise sornione. “Non ne sono certo, se ti dico che stiamo sognando, cosa potremmo fare?” le disse con un sopracciglio alzato.

“Oh Ruben, sei il solito stronzo!” e si gettò su di lui singhiozzando senza pudore.

Amore rosso sangue in un sogno di brace


I morti giacciono nei loro sepolcri e non si curano più degli affanni degli altri, dei peccati e di ciò che sfugge.

I giorni vuoti sono la bestemmia gridata che squarcia il cielo e fa cadere gli angeli, come grappoli d’uva raccolti nei tini.

Camminando a piedi scalzi, una dolce agonia, tra le punte al primo passo che trafiggono la carne vulnerabile, lasciando poi il piacere della terra soffice e calda.

I pensieri che rincorrono se stessi tra le risa acute, mentre lo sguardo si perde all’orizzonte, sempre nostalgico delle terre mai conosciute.

Percorreva così il sentiero che portava alla piccola baia nascosta tra le rocce e lasciando l’erba sicura per le pietre aguzze sospirava per darsi la tempra.

<< A camminar scalzi ci si fa la suola!>> gli avevano detto.

“A che pro le scarpe allora?” si chiese per l’ennesima volta imbronciato.

Scese con attenzione l’ultima parte del sentiero, ripido e sdrucciolevole, ma un paio di salti agili velocizzarono l’impresa.

L’acqua era limpida, così chiara che era certo fosse gelida.

Pigre onde sonnacchiose si infrangevano a riva, con una danza sensuale, seguendo l’antica melodia dai lombi della Terra.

Si mise seduto tra i ciottoli, prendendosi le ginocchia tra le mani in attesa.

La brezza mattutina gli scompigliava i capelli maliziosa e lui quasi si mise a ridere per quello scherzo insolente.

La camicia aperta sul petto veleggiava sulla schiena e un brivido frizzante lo percorse tutto.

“paradiso, felicità, bellezza..”

Chiuse gli occhi sorridendo, lasciandosi fare dalla natura di quel posto mistico.

“mistico? è tutto così concreto..”

Alzò un sopracciglio senza aprire gli occhi, colto dal proprio pensiero, ma fu un istante appena e tornò a rilassarsi.

Un dormiveglia di carezze e melodie di giochi d’acqua e refoli d’aria fresca lo cullava nella sua beatitudine.

La pelle rabbrividiva sotto il tocco di palmi di seta che ne seguivano ogni ansa, ogni contrazione del muscolo.

Sospirava felice, mentre dita sottili gli spettinavano le ciocche, tirandole piano, massaggiandogli la cute con unghie leggere.

Ad occhi chiusi si stese sui sassi lisciati dal mare e dal vento, aprendo le braccia arrendevole, i piedi scalzi rilassati.

Carezze sul volto, sul petto, baci delicati sulle piante dei piedi.

Le mani si chiusero istintive, per l’agonia di stringere, di afferrare.

Gli occhi si schiusero cercando di focalizzare nella luce nuova del giorno.

Giochi di colori danzanti, poi più nitidi via via fino a tracciare un percorso chiaro, ma inconcepibile.

Sbatté le palpebre tre volte e si tirò su sui gomiti, ma una mano pronta lo spinse sul petto lieve e lui inconsapevole la prese stringendola forte.

Lo guardava sorridendo con gli occhi grandi, pozze di mare profonde, sorrideva solare, con i denti perlacei, candidi e lucenti.

Si avvicinò piano al suo viso, le ciocche brune carezzandogli il petto che sussultava a ritmo spedito.

Lei ridacchiò con sguardo birichino.

<< A che pro le scarpe?>>

Per poco non svenne, allungò l’altra mano per sfiorarle il viso, non si aspettava che fosse reale, ma la pelle liscia e calda lo convinsero, lasciandolo ancor più sbalordito.

<< Lo penso anch’io..>> fu tutto ciò che riuscì a proferire.

Lei sorrise più forte con gli occhi che si illuminarono, fiammelle calde nelle pupille.

<< Andiamo?>>

Lui annuì alzandosi.

Accettando la sua mano capì.

<< Ti stavo aspettando.>>

La fine del mondo domani a mezzogiorno


 

In sedici ore e sedici minuti il cielo era cambiato.

Un lungo nero interminabile notturno oscuramento.

La gente camminava lungo le strade guardandosi l’un l’altro.

In ogni sguardo una muta richiesta d’aiuto, una spiegazione.

Chiamai quella donna in uniforme, un vigile, le toccai il braccio: “Che succede? Quanto durerà questa notte?”.

“E’ solo l’inizio. Il buio è l’inizio della fine, dicono che non tornerà più il sole.” Rispose con un’alzata di spalle, proseguendo il suo cammino, con sguardo assente.

Io guardavo tutti, cercando un guizzo di intelligenza.

Come era possibile?

E’ vero, era capitato ultimamente che le notti durassero di più, poi la luce faceva capolino e come sempre, la gente cercava di ignorare quella stranezza.

Ci eravamo abituati, l’avevamo accettato, come un cambiamento che si accoglie nel flusso del consueto.

Io volevo gridare, mi misi a correre, non potevo accettarlo, quel buio, non volevo.

Da una finestra aperta il televisore gracchiava: “E’ ufficiale, siamo giunti alla fine. Il mondo cesserà di esistere domani a mezzogiorno. La gente è invitata a riunirsi nelle piazze cittadine, per assistere insieme a questo evento. “.

Pensavo fossero tutti impazziti!

Mi ritrovai assieme a quei volti conosciuti, ai miei cari, mentre banchettavano tra una battuta e l’altra.

Avevo lo stomaco chiuso, come facevano?

Il conto alla rovescia era cominciato, il tempo stava scadendo inesorabilmente.

Pane formaggio, vino e gazzosa.. non riuscivo a crederci!

Io non volevo, e le lacrime presero a scorrere copiose, non loro, loro no, c’è ancora tanto da fare..

La gente intorno a me sedeva in terra con quieta accettazione, eppure ero certa che ci sarebbe stata un ressa impazzita, che ci saremmo calpestati gli uni con gli altri, in cerca di una via d’uscita, per quanto assurdo fosse.

Loro stavano lì, seduti in attesa dell’ora X.

E fu tutto un bianco accecante…

Sogno di essere viva


Praterie sconfinate,

bruciate dal sole,

cieli infiniti

specchiati nel mare,

orde di zoccoli scalpitanti,

lunghe criniere smosse dal vento,

e arrivano liberi

i cavalli selvaggi,

smuovendo le zolle

e battendo il tempo

del loro poderoso cuore

dall’istinto fiero.

Fammi provare

per un’istante appena

la libera gioia di essere

ciò che natura crea.

L’immenso piacere

di ubbidire istinto

senza schemi,

né chimere,

senza libero arbitrio.

Viva nella natura

vorrei sapere

per un attimo fugace

che si prova ad essere

pienamente felice.

Di notte


Ho corso, tra i vicoli bui. C’era lui con me. Lo desideravo, anche nella paura.Mi stringevo a lui, mentre lui mi trascinava in cerca di un rifugio.

Sapevamo di essere braccati, si stavano trasformando e noi cercavamo disperatamente l’ultimo approdo sicuro.

La luce fioca di una notte infinita. Forse era la paura folle, perché ogni tanto qualcuno cercava di prenderci e allora lui mi afferrava più saldamente e cercavamo di andare più in fretta, esausti, ma convinti fino all’ultimo.

Alla fine siamo arrivati all’appartamento. Ci hanno accolto e hanno subito serrato ogni possibile accesso.

Stavano scappando, partendo. Donne e uomini,erano pochi, con i volti severi e determinati.

Noi non li abbiamo seguiti. Ci siamo fermati e stesi su un giaciglio di fortuna. Ci siamo stretti l’un l’altro e io mi beavo del nostro abbraccio, nonostante tutto, volevo te e quel momento insieme. Per un istante è stato così emozionante, intenso, la certezza di me e di te, volevo restare lì.

Poi, i rumori, gli ululati. Ci siamo alzati velocemente, abbiamo capito subito di essere circondati: le imposte erano colpite con furia, la porta stava cedendo e quelle grida! Ringhiavano con una furia spaventosa!

Mi sono stretta a te, con più forza, cercando il tuo calore, la sicurezza del tuo corpo solido, concreto.

Mi hai guardata e con un lampo di comprensione ci siamo voltati mentre la gente ospitale di prima stava tornando, in una confusione di rantoli e vestiti strappati. Si grattavano con foga, mentre pelo animale gli spuntava dagli squarci sugli abiti.

Hai deciso in un attimo che non saremmo sopravvissuti e mi hai presa per mano, lanciandoti tra quei disgraziati, mentre io vedevo quelli che si stavano muovendo verso di noi.

Scappavamo col fiato corto in cunicoli interni alle case, con luci arancioni, e gente dalle sembianze di lupo. Affamati, erano affamati, con la bava sulle zanne ingiallite. Avevano fame, una fame dannata.

Poi, non so.. tutto si è fatto confuso .. tu sei diventato un vecchio ,mentre parlavi con un altro uomo simile a te all’interno di un pub. Ho pensato di averti perso, ma tu continuavi a nascondermi dietro la tua schiena, stringendomi e io capivo che eri sempre tu. Quale artificio stavi usando?

Mi sono svegliata ed era tempo di alzarsi .