Il vento abbatte le difese degli irriducibili.
Trapassa le barriere e s’infiltra nelle ossa, scuotendoti dalle fondamenta.
Così fischiava tra le colline, mentre i ragazzi rincorrevano il pallone rapido.
Le finestre si chiusero una dopo l’altra, per forza di mano o perché obbligate dall’irruenza della folata rabbiosa.
Un colpo di porta, qualcosa che crolla e rotola.
Il cielo si fece scuro, cupo, mentre le ragazze strillavano rientrando di corsa nelle case illuminate, come fosse già sera.
I vecchi se la prendevano comoda, il vento non li spaventava mai, li annoiava tutt’al più .
Grida di madri affannate e il pallone rotolò giù, finalmente libero, mentre i ragazzi si affrettavano per evitare una sberla.
Chi di fretta, chi con rassegnazione, ogni abitante si ritirò nel calore della propria abitazione.
Tutti.
Il vento si indispettì e gridò più forte.
Nessuno rispose, nemmeno quel capo chino avvolto dalle ombre; seguitò a camminare tra i vicoli del paese, fischiettando indifferente.
Cadevano i vasi dai balconi, le porte tremavano, i cani guaivano spaventati e quella figura scura passeggiava placidamente.
Il cielo si tinse d’inchiostro e un boato esplose oltre l’orizzonte.
Il vento si gonfiò, si contorse e si lanciò con forza feroce sollevando l’uomo come fosse una silhouette di carta velina.
Grida disperate eruppero da ogni cortile e su per le colline, dentro le crepe nei muri, si immersero in ogni fessura.
La popolazione immobile in un solo palpitante cuore, tratteneva il fiato.
Terrore.
Il terrore gettò il capo indietro e rise, rise così forte, trasportato dal vento che coprì quasi le urla atterrite.
Quasi.
Che ne fu di quel paese, non so.
Tra le colline c’è solo un pallone che corre, su e giù, dal tempo che fu.
terrore
Odio
Non del volto l’espressione
l’umana vera condizione
di sogni nulla resta
un mirino sulla testa.
Il terrore devasta la sera
nulla è mai stato com’era
il dolore rosso devastante
alberga le menti affrante.
L’umano sogno è umile
dagli albori resta simile
un posto da abitare
un’anima da amare.
L’orgoglio offeso
veleno impietoso
ottenebrata é la mente
di rabbia intossicante.
Troppi i corpi caduti
i loro futuri perduti
silenzi che gridano
assenze che sfidano.
Ogni vagito si espande
nel mondo che attende
l’uomo che si formerà
le scelte che prenderà.
Incolpevoli che pagano
potenti che minacciano
il mondo dall’alto
è rosso scarlatto.
Condannato
Non ci sei.
Cosa ho fatto? Lo sapevo, ma non potevo, lo capirai che non volevo questo?
Solo un altro bacio. Il tuo odore mio Dio, fammi sentire la sua pelle, un’ultima volta abbi compassione!
Sarò forte, mentre il terrore mi assale, non ho più saliva, non riesco a chiudere le palpebre, ho già indosso l’ultima espressione che resterà sul mio volto cereo?
Perdonami mamma, ti prego, perdonami per questo, non volevo.
Fai che siano forti ti prego, mi vergogno per il dolore che arreco.
Ho le mie vite da scontare, quelle che ho tolto.
Punisci me, eppure sono loro a pagare, le persone che ho amato, pagheranno per le mie colpe.
Ho paura, una paura che mi toglie ogni controllo, le mie viscere mi abbandoneranno.
Non hanno nulla, il loro sguardo è completamente privo di ogni umana comprensione.
Dove Sei?
Ho bisogno di Te.
Non abbandonarmi, anche se ho sbagliato, Ti prego non lasciarmi.
Sarà atroce e non posso illudermi del contrario, sarà peggio di come posso immaginarlo.
Anche loro ti sono figli?
Anche loro e io: cosa sono?
Non importa, basta che Tu stia con me fino all’ultimo mio respiro e ti prego portami al sicuro, lontano.
Con Te.
Fuga dal terrore
Lo stringeva forte al petto, mentre correva, correva senza curarsi dei sassi, delle radici che affioravano sgambettanti, correva e non mollava la presa, mai.
Il sole era già lontano, nella sua discesa lenta, sembrava acquistare velocità.
Aspetta!
Lei correva e non si voltava mai, le braccia pesanti come tenaglie sul fagotto prezioso, le gambe andavano senza criterio, scompostamente goffe, ma procedevano.
Un urlo di terrore.. no!
Il fiato corto, le ginocchia rigide, spingeva più che poteva, senza più speranza che il cuore restasse in gabbia, ormai era così furiosamente in fuga dal suo petto, roboante ritmo che le percuoteva i timpani.
Tum-tum, tum-tum, tum-tum-tum…..
Il declivio alla sua sinistra, un manto d’erba fino alla stradina di terra battuta, ci pensò meno di un secondo e si lanciò, di fianco, rotolando come una biglia fino a frenarsi bruscamente piegando le ginocchia.
Faceva male, un male cane, tutto! Le ginocchia sbucciate, le escoriazioni che la ricoprivano su tutto il corpo e poi ancora l’urlo altissimo che le perforò le orecchie. Una promessa di morte, un’ira furibonda.
Corse, corse ancora.