L’estinzione dell’ Eros (e la svendita del sesso)


L’erotismo è una spirale che sale verso l’alto come fumo che si perde tra i sogni appesi.  Il sesso che inizia e finisce per esprimersi in se stesso, è un segmento di scarsa immaginazione e poco intelletto. Il consumismo sportivo che viene assiduamente praticato, crea campioni del sesso ad ogni istante. Sprizzano come starnuti col raffreddore. Non c’è più tempo. Non c’è tempo per sfiorare col pensiero, solleticare il peccaminoso appetito. Sono corse di umani criceti sulla ruota di una vita che spreme e offre gadget su gadget di niente. Troppo distratti per l’amore. Per esplorare l’altro, scoprire il piacere e scartarlo piano, come un dono atteso, desiderato. Non c’è tempo per sognare i momenti da passare insieme, progettarli come il viaggio della vita, perdersi in ogni dettaglio per poi scoprire nicchie inesplorate e meravigliosie. Non basta una vita, perché la sprechiamo in cazzate su cazzate di frustrazioni e angosce. Usiamo l’ardore per odiare e incolpare senza vergogna chiunque, quando amare è un ormai un tabù e ben più intrigante. Donne appassite su romanzi che scottano ad ogni pagina, incomprese e trascurate. Uomini confusi che cercano conferme tra numeri di sesso che nessun circo propone. Io vedo giorni che scorrono come lacrime a un funerale, senza possibilità di ritorno. Sogni appesi che nessuna scala mi fa avvicinare. La mia pelle ha sete e ti allontano, perché ho bisogno da così tanto che la tua fretta mi ferisce. Non sono un gadget, sono una persona e vorrei che fosse ovvio. Per tutti noi. Vorrei essere vista. Vorrei che ciò che desidero e come lo desidero avessero un valore. Essere desiderata non mi basta. Non mi accende. Fanculo. A tutto e a tutti. Io mi appartengo, mi proteggo. Valgo anche quando sono invisibile. La nebbia copre e nasconde, non cancella. Aspetto un giorno di sole.

Lo stadio


Solita partita della domenica, soliti spalti, stesse urla.
L’entusiasmo è ciò che mi traina, dovrei essere ormai anestetizzato, sono troppi anni e non si illude più nessuno che il gioco sia pulito. Niente fair play.
Eppure, torno, non manco mai. Le pacche sulle spalle, le battute i cori, saranno anche un modo per sentirsi gruppo, ma a me non frega niente. Quelli più giovani mi chiamano zio, mi conoscono da sempre e a me non frega niente.
Gli altri mi chiamano amico e io racconto le solite buffonate, loro ridono e vedo lo sforzo, vogliono tutti avvicinarsi. Stare vicino a me sembra meglio di una vittoria in campo e perché? Perché non manco mai.Vengo qui da sempre e siccome mio padre era lo “zio” prima di me, ora sembra tacito che io abbia ereditato il titolo. Le trasferte sono il peggio, io non le sopporto, ma vai e diglielo.
Se non fosse, se non fosse per quello, li avrei mandati a cagare.
Mi volto e sorrido allo stesso sorriso di sempre.
Un’amicizia storica, solida e riconosciuta come sacra: nessuno osa sindacare. Un’alleanza intoccabile.
Eppure io penso a un bambino annoiato che finge di scalpitare per accontentare un padre che incute timore col solo sguardo e che nei silenzi minaccia cose impossibili da tollerare. Penso all’amico che mi accompagna ad ogni partita, perché è affidato a mio padre e la storia non si è mai capita. Ricordo solo un funerale pochi anni dopo in cui il mai visto padre del mio amico veniva celebrato e osannato da tutti, ma capivo dal suo sguardo smarrito che per lui era uno sconosciuto. Allora, quelle domeniche da sopportare in due diventavano man mano speciali e mentre Ricki si appassionava davvero, io mi appassionavo a lui.
Un abbraccio stretto mi riporta al presente e capisco dall’ovazione che abbiamo segnato, ma non me ne frega.
Lo stringo anch’io e mi immergo nel suo odore, mi aggrappo al suo entusiasmo che rischiara un po’ il lutto del mio cuore, le colpe che mi porto dentro e che mai ho permesso lo imbrattassero.
L’unica cosa che ho salvato è lui e lo rifarei ancora e un’altra volta.
Gli darei tutto e lui non vuole niente, gli basta starmi accanto e nessuno osa indagare.
Siamo sempre stati insieme, impossibile immaginare diversamente. Le mogli sono una rottura per tutti e nessuno si aspetterebbe che io vivessi con la mia, le lascio i soldi, a palate.
Io mi tengo Ricki e lo stringo e lo vezzeggio.
Lui solo ha le mie lacrime, i miei sospiri e i miei orgasmi.
Ricki è coraggioso, anche se tutti pensano che sia io il leone.
Il giorno del mio matrimonio è corso in camera mia, con gli occhi gonfi di pianto, mi ha picchiato come una furia e mi ha preso, sì lui ha preso me, e sì è assicurato che fossi suo e che mi fosse chiaro. Io ho pianto come un bambino e sono rinato tra i suoi baci e le sue promesse.
Non ho mai toccato mia moglie, non ho mai toccato nessun altro. Ho dato ciò che dovevo e ho preso ciò che non meritavo, ma non rinuncerò mai a Ricki.

La marcia degli ultimi


Sul viale del tramonto sette ladri e due soldati,
si mettono in marcia dall’alba del giorno,
rifiutano il senso del nostro abbandono,

Dieci in partenza, nove al tramonto,
chi ha incastrato Roger Rabbit?
mi hai tradito al primo ricordo.

Piccoli uomini marciano stanchi,
non riempiono le mani chiuse
le cose d’un tempo importanti.

Ladri e soldati all’alba partiti,
gesti allenati, passi felpati;
tra le meningi le loro armi.

Conta e riconta, ne manca uno,
sul viale infinito si affaccia
affranto il cielo notturno.

Hanno sparato, imbrogliato
sul cuore hanno giurato
e poi al vento il loro pianto.

Cuore di uomo che perdi
il suono del battito ritrovi
nel ritmo del passo sul selciato.

Nove si stagliano all’orizzonte,
l’ultimo raggio sul mondo si posa,
Gloria Gloria Alleluia.