Il vecchio calzolaio e il ragazzo


In una bottega nascosta, tra i vicoli cittadini, stava un vecchio calzolaio che pigramente svolgeva il suo lavoro.

Un monello passava ogni giorno di fronte, nel percorso per la scuola. Il calzolaio lo guardava passare e il ragazzo faceva un cenno, chinando il capo e toccando il berretto sghembo. Ogni giorno, stesso percorso, stesso saluto alla stessa ora.

Il calzolaio sapeva che il ragazzo era un po’ scapestrato, vivace e attaccabrighe, figlio di ragazza madre, un vero scandalo. Uno scandalo però che viaggiava sulle parole, perché il ragazzo era figlio del Conte e non c’erano santi che smentissero una tale palese verità: stesso naso importante, stessi occhi azzurro mare, ma il capello rosso era il marchio infamante. Rosso era il ragazzo, d’un rosso cupo, una tinta rara, affascinante, nobile. Chiaramente la madre del ragazzo la trovò attraente. Il Conte però era promesso e la ragazza non poté protestare, non ne aveva diritto alcuno, di certo una gravidanza inattesa non la alzava nella scala sociale! Il Conte l’amava teneramente e nessuno si stupì nel trasloco della ragazza, con la famiglia appresso, in un quartiere migliore, borghese, con tanto di approvvigionamento settimanale. Ma il Conte era un uomo onesto e si sposò con la cugina di primo grado, non rivide più l’ umile ragazza , né si rivelò al figlio. Il ragazzo però era chiamato da tutti il Conticino rosso, perciò il segreto era svelato di fatto, nonostante questo fingevano in famiglia che il padre fosse morto onorevolmente servendo la Patria. Lui accondiscendeva, ma facendo qualche marachella, aveva messo in condizione la madre coi suoi parenti, di sudarsi quella sicurezza economica.

Il ragazzo sapeva che il calzolaio era un pittore nato, un artista meritevole molto amato in gioventù, non solo per la sua pittorica capacità. Il calzolaio, ormai anziano, un tempo era arrivato in città a seguito d’un drappello di artisti amati dalla nobiltà locale.  La figlia del Barone si era incapricciata del pittore e aveva mosso ogni astuzia che la sua arguta mente femminile potesse ingegnare per averlo con sé. Bisogna tenere presente che il calzolaio a quel tempo amava spostarsi di corte in corte, tra una sottana e un’altra, e trovando la nobile di suo gradimento, non fece troppa fatica nel trovare intima amicizia da intrattenere. Come spesso accade nell’unione carnale, l’atto diede il suo frutto, ma la donzella era scaltra e avendo già intrattenuto un piacevole scambio ludico, nello stesso periodo, col promesso sposo, un conte francese, fece buon viso a cattivo gioco. Tutti felici alla fine, tranne il calzolaio, allora pittore, che al momento della nascita del piccolo Conte, finì la carriera, essendo il piccolo la copia sputata del povero artista. Nessun padre avrebbe osato ospitarlo in casa sua. Fu così che il pittore dalle belle speranza fece il calzolaio di carriera e vide crescere il figlio da lontano, senza osare di avvicinarlo.

Ogni giorno il ragazzo passava salutando il vecchio, con quel semplice gesto e un sorriso sincero e il povero calzolaio aveva ragione di esserne contento, perché non s’era atteso più nulla dalla vita, si era preso i suo piaceri, ma  alla fine era rimasto solo. Ora poteva osservare fieramente il proprio sangue scorrere nella vita del paese, attraverso gli occhi vivaci di quel ragazzo rosso di capelli, come il pittore d’un tempo chiamato Mogano . Passando le dita tra i capelli canuti, si ritenne soddisfatto e pronto per un cammino nuovo.

 

 

L’eroe è solo dopo la battaglia


Il guerriero in cima alla collina. Lo sguardo all’orizzonte volto.

Invece di fiori, corpi. Invece di freschi rivi, sangue rappreso a innondar li declivi.

Funereo e iracondo il cielo tetro. Non canti, non passi, non battito d’ali. Rimane lui solo, mesto, sul tumulo scoperto.

Leggende verranno cantate, tra i boccali innalzati, tacchi danzanti sulle assi, mani battute al ritmo di festa, in onore ricordando l’eroe d’un tempo.

Eppure è solo l’eroe, col volto ricoperto di morte, l’odore del sudore e del sangue lo avvolge e nulla è più in legame col passato, nulla vi resta del bimbo che è stato, dell’amore agognato e del focolare sicuro.

Solo grida nel silenzio immoto, gli ultimi scampoli di vita spenti nell’assalto feroce del guerriero indomito.

Ogni fuoco in brace e poi cenere a ricoprire il cuore.

Non c’è speranza per chi resta, non più sogni lievi, troppi volti nella mente a cercar vendetta, non c’è pace per l’eroe solo.

Prima del giubilo festante, dei nervi tesi, della mascella stretta, tra i cori esultanti, le dame in fregola e  la mano tesa, il guerriero si perde con lo sguardo lontano, salutando l’uomo ch’è stato e mai tornerà.