Quel che resta di me


Oggi so che a vent’anni non capivo niente. Tutte le sfumature che adesso colgo, ogni briciola che raccolgo nel pensiero e assaporo del mondo. Allora il cuore era grande, grondante di sangue, dolente e mi chiedo come potessi scegliere tanto giovane il sentiero da prendere? Oggi, quel cuore è un po’ spento, stretto, quando si espande per battere fa male, i punti si aprono e le ferite prendono a suppurare. Sono fragile e un abbraccio può spezzare. Amo il coraggio e la forza di lottare, amo chi viene spinto indietro e rema contro per arrivare. Amo un po’ anche me, quel che resta d’ amare.

Ode al solitario


Non v’è scusa. Non dev’esserci. Per chi in solitudine beneficia del proprio vivere. Non si debba giustificare in trite giustificazioni, chi ama la compagnia nei suoi spazi e soluzioni. Ché il solitario s’accosta più volente se non accusato di sociali violazioni. Perché s’isola costui che gode della compagnia gradevolmente? Perché non si muove, non si mostra nei pressi dell’altra gente? Alla giuria di cotanti estroversi detrattori, non si palesa l’evidente diritto di stare per natura bene soli. Asociale, orso, eremita e ancora molti i sostantivi per chi non si vive fuori. Chi non marca la vita a passo di marcia, è un incerto enigma, possibile minaccia. Così, l’umanità che tutto rubrica, s’ indigna dell’introverso che osserva e mai la sfida.

Tamburi di carne


Sono confusa. Tutum tutum batte nel petto. Tutum tutum. Di giorno, in ogni momento. Copro il battito con le voci e lo innondo di silenzio. Offro il volto al sole e provo gioia e poi, di nuovo il tormento. Sono pensieri che sfuggono ed è inutile corrergli dietro. Sono le incertezze di ieri e un futuro ancora più incerto. Tutum tutum la notte. Tra lenzuola che si attorcigliano, una trappola di feltro. Ode ai sogni e ai cuori che si spezzano dietro. Ode all’amore e alle anime che ha perso.

Malinconia


Ci sono sogni, desideri custoditi nel cuore. Attese divenute illusioni. Nasce nel petto un dolore sordo per ciò che non è stato, il ricordo di un momento mai vissuto. Il fantasma di un sentimento intrappolato e caduto. La nostalgia graffia e lecca le ferite inferte. Un dolore così dolce da cercarne il tormento.

Nonna


Continuo a sognare la tua casa. C’è la chiave che mi lasci da qualche parte. Immancabilmente diventa difficile accedere. Le scale sono quasi impossibili o i vicini, non so perché, sono da evitare. So, nel sogno, che devo entrare senza che nessuno ne venga a conoscenza, cosa che mi ferisce. Il cielo si fa scuro e ho una pesantezza nel cuore, ma sono determinata nell’impresa: devo entrare in casa tua, la casa a cui penso per potermi rilassare, quando la testa viaggia troppo. Mi manchi sempre e rivivo la tua voce, la tua presenza vivace. Il mio bisogno di te nella mia vita, col dubbio di non essere abbastanza. Perché tu sei sempre stata la donna che più ho ammirato, la persona che ho amato e che mi ha ascoltato e visto. Restano i ricordi, ma ho perso i luoghi, le radici e anche quella casa, con le tracce di te che nessuno ha pensato fosse fondamentale tenere. Per me. Oggi sei nel mio cuore.

Diario di un’introversa #1


Ah, immagina un mondo in cui gli introversi, altamente sensibili, o come spesso vengono definiti con un certo fastidio ipersensibili, possano essere, agire secondo la propria natura! Non essere obbligati a essere educati secondo un’etichetta cucita sulla personalità di altri, sarebbe un sogno. La gente, la maggior parte, più bisognosa di rapportarsi socialmente secondo certe convenzioni, non si rende conto di quanto a volte (spesso), sia una forzatura estrema per gli introversi adattarsi. Nessun introverso vuole estraniarsi, anzi, solitamente amiamo stare con gli altri, ma è il modo in cui siamo “obbligati” a farlo che risulta faticoso. Fisicamente faticoso. Tanto che dopo una giornata di gruppo, anche in famiglia, si resta spossati, sfiniti. Noi vorremmo osservare, scherzare, spesso con una certa dose di sarcasmo e autoironia. I discorsi ripetitivi sono una tortura perché vogliamo parlare davvero, a cuore aperto, ma non con seriosità. Oppure, amiamo la leggerezza, l’ironia intelligente. È terribilmente spiazzante la risata di chi fa battute senza senso o diversamente, il monologo di chi si prende troppo sul serio e si offende di fronte l’ironia e non la comprende. Il modo totalmente sincero con cui ci viviamo, causa perenne di conflitto interiore (è impossibile mentire a se stessi), è anche lo sguardo che volgiamo sul mondo. Quindi, è grande l’insofferenza verso l’arroganza, il bullismo, la subdola manipolazione, soprattutto sentimentale. Viviamo l’eterno conflitto di chi vuole uscire e amare il mondo in toto, umani e natura compresa, ma la sofferenza di fronte a tante sovrastrutture, ci fa rifuggire nell’angolo sicuro. A volte soli con noi stessi ci sentiamo più amati, capiti. Non siamo tutti uguali, siamo simili nel modo di sentire e osservare e disperatamente agognamo un altro di noi da incrociare nel mondo per non sentirci troppo diversi. Poter essere come siamo e smettere di scusarci per essere sfuggenti; quando nessuno si scusa con noi per le angherie gratuite, le offese facili, perché dà un falso senso di potere all’insicuro ferire quello nel cui sguardo onesto si vede e non si piace. Sarebbe bello che chi è sensibilmente educato possa un giorno nuotare in questo mondo di squali, senza temerne l’attacco.

Diario di un’ introversa


Soffro di ansia e ci convivo. Perché vivo. So che ci sono traumi e quali sono. Non si cancellano, lasciano le tracce, come una mappa di cicatrici sotterranee tra mente e cuore. Sono la persona che non telefona, qualche volta scrive. Penso alle persone care e non le cerco. Devo averle di fronte. Abbandoni, bugie. Ci sono i motivi, ma non tutti reagiscono così. Se squilla il telefono non sono mai contenta. Neanche se ci fosse sullo schermo il nome di una persona che mi piace. Il primo pensiero è “cazzo!”, perché devo decidere entro un lasso limitato di tempo di accettare. Se la telefonata è lunga, è un supplizio. Non ho più spazio per la noia, ma ho bisogno di tempi “vuoti”, liberi da parole, persone, confronti. La delusione dei discorsi tanto per, di chi ti cerca per bisogno, per sentirti vicino, ma che non c’era o peggio, ha messo il carico da cento quando eri a un passo dal cadere è indelebile. Amare la gente, o piuttosto, esserne affascinata, ma temerne il potere di scalfirti l’anima con leggerezza, forse senza neanche saperlo, è una difficile creatura bifronte. Ognuno di noi sopravvive come può alle tempeste della propria esistenza. Non si può sempre scegliere, tra famiglia amici e il luogo in cui si vive. Trovo sia già una grande conquista riconoscere ed accettare la propria natura e scegliere di proteggerla. Quando con tono lieve dici di essere introversa e ti si ride in faccia, come se avessi detto una sciocchezza o avessi manifestato una troppo perversa attitudine. Allora, sembra meno grave e meno colpevole preferire la distanza da chi ama la tua empatia, ma non ti rende la stessa cortesia. Da un’introversa altamente sensibile a chiunque si riconosca simile. Vi vedo, vi sento, vi abbraccio.

Si Era


C’erano giorni di pioggia, da correre, il volto al cielo.
C’era un sole da scaldare la pelle, ogni odore e colore acceso.
Si coglievano i soffioni per spargerli in cielo;
si correva su colline per rotolare tra le risate.
C’era odore di cocco e mare, alghe e sale.
C’era la neve e scarponi per sciare.
Si scriveva sui diari le canzoni per amare.
Si prendeva un aereo per non tornare.
C’erano notti da ricordare e anonimi incontri.
C’erano momenti per piangere e sospirare.
Si sognava e imprecava tra lacrime sangue.
Si era piccoli battiti ribelli con anime grandi.